Perù: tutt’altro che vinta la lotta al narcoterrorismo

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L’ultima risposta del governo, in ordine di tempo, é l’installazione di basi militari provvisorie in località chiave come Yuveni, Chihuanunquiri e Kepashiato, con il fine di esercitare un controllo capillare sul territorio, come parte di una più ampia strategia anti terrorista.

Località dai nomi esotici, che ai più – compresa buona parte dei peruviani - non dicono nulla. Per semplificare le cose, hanno chiamato la zona VRAE, territorio caldo, caldissimo, dell’ormai pluridecennale lotta continua tra militari e narcotrafficanti, tra stato peruviano e organizzazioni sovversive. VRAE significa Valle del Rio Apurimac y Ene – Valle tra i fiumi Apurimac e Ene. Si tratta di una zona agreste, montagnosa, per gran parte inospitale, nel cuore del Perù, tra le regioni di Cuzco, Junin e Ayacucho.

Per molti questa è terra di nessuno. La quasi totale assenza dello stato, ad eccezione del personale in tuta mimetica, ha fatto del VRAE uno dei territori più poveri di tutto il Paese, con indici di sviluppo umano tra i più bassi, inversamente proporzionali agli elevati tassi di denutrizione, analfabetizzazione e carenza di servizi minimi.

Se ancora la parola VRAE non contribuisce del tutto ad inquadrare i termini della questione, sgombriamo definitivamente il campo da ogni dubbio: Sendero Luminoso. Il VRAE ne é dagli anni ottanta rifugio e cuore economico. Da 30 anni a questa parte, il gruppo terrorista non ha mai del tutto abbandonato la zona. Ha cambiato leader, organizzazione, forza, intensità, strategie e – secondo molti – persino ideologia, ma non é mai completamente scomparso. Le catture del leader storico Abimael Guzman nel settembre del 1992 e del suo successore, il Camerata Artemio, nel febbraio di quest’anno, hanno azzoppato il movimento rivoluzionario ma non lo ha completamente ucciso.

Lo testimoniano numerosi macabri eventi, macchiati dal sangue e amplificati dai colpi di proiettile sparati tra il folto della vegetazione del VRAE e le mura dei villaggi sparuti. Solo per limitarsi agli anni più recenti, la morte di tre poliziotti intercettati da un’imboscata terrorista nel dicembre del 2010; l’uccisione di cinque militari a Choquetira, nel giugno del 2011, come rappresaglia per precedenti azioni di rastrellamento; e ancora, l’attentato alla commissaria di Pucyura, fino ad arrivare a pochi giorni fa, quando trentasei operai del Consorzio Camisea (un gruppo di imprese impegnato nella costruzione di un gasdotto tra Cuzco e Lima) sono stati rapiti (e successivamente liberati, non é chiaro se dietro pagamento di un riscatto) da una falange terrorista condotta da Manuel Quispe Palomino, alias Camerata Gabriel, uno degli attuali leader del movimento e tra gli uomini più ricercati del Paese. Nelle operazioni di riscatto, un elicottero delle forze di polizia é stato abbattuto e quattro membri dell’esercito sono rimasti uccisi. Due militari risultano tutt’ora dispersi nelle montagne.

Ma lo testimoniano, per primi, anche gli abitanti dei piccoli villaggi mimetizzati nella foresta o ubicati lungo le rive dei fiumi. Villaggi poveri, abitati da campesinos e operai abituati a convivere con la paura e le continue razzie dei criminali, che di tanto in tanto abbandonano i loro nascondigli per assaltare i centri abitati in cerca di provviste e giovani uomini e donne da reclutare nelle loro fila. Tra serrande abbassate e bocche cucite, i pochi che hanno voglia di parlare denunciano la totale assenza dello stato e l’abbandono delle istituzioni. In definitiva, ciò che ha reso fertile il terreno per il nascere e lo svilupparsi di gruppi sovversivi, la cui propaganda risulta inevitabilmente più efficace in contesti di povertà e mancanza di alternative. Molti degli abitanti ancora piangono i figli desaparecidos, i padri trucidati, le mogli rapite.

Nonostante i proclami propagandistici del governo, la lotta al Sendero Luminoso é tutt’altro che conclusa in Perù. Se é vero, come detto, che il movimento terrorista non ha più la dimensione ed il seguito degli anni ottanta e novanta, quelli delle autobomba che esplodevano nelle strade di Lima, é altrettanto vero come interi villaggi non abbiano mai di fatto smesso di convivere con la logica delle armi. Oggi, come ha analizzato lo stesso Guzmán dal carcere, le varie falangi del Sendero Luminoso appaiono abbracciare una ideologia maoista solamente di facciata, virando piuttosto verso interessi particolaristici, da difendere anche con il ricorso ai metodi più meschini, quali il ricorso ai minori soldati e l’utilizzo delle mine antiuomo. Il business della droga, in particolare della cocaina, é sempre più redditizio. Grazie all’azione violenta dei narcoterroristi, il Perù ha guadagnato il triste primato di maggior esportatore mondiale di cocaina. Dalle foreste peruviane i signori della droga proteggono con le armi il commercio di coca verso il Brasile e la Colombia e da lí verso tutto il mondo.

Accanto al narcotraffico, i sovversivi si spartiscono con i minatori illegali i proventi derivanti dallo sfruttamento del sottosuolo, in cambio di protezione fisica. Quello dello sfruttamento abusivo del suolo é uno dei problema maggiori oggi in Perù, causa di massiccio disboscamento e inquinamento dei corsi d’acqua e dei terreni.

Andrea Dalla Palma

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