Penisola arabica: è crisi diplomatica tra Qatar e Arabia Saudita

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Dopo un tempestoso incontro caratterizzato da scambi di accuse tra i ministri degli esteri del CCG (Consiglio di Cooperazione del Golfo arabo) a Ryadh qualche giorno fa, il triangolo composto da Arabia Saudita, Emirati Arabi uniti e Bahrain ha deciso di ritirare i loro ambasciatori dal Qatar. Una scelta senza precedenti dopo l’istituzione del Consiglio 30 anni fa. Secondo il comunicato ufficiale, Doha è accusata di aver sempre ostacolato le decisioni e le politiche adottate dagli altri membri del Consiglio, volte a costruire un blocco compatto per affrontare i problemi e i pericoli che minacciano l’area. La realtà invece parla di un conflitto implicito tra Arabia Saudita e Qatar per la conquista della leadership a livello regionale e quindi di tutto il mondo Arabo: un conflitto che non è certo una novità.

Le divergenze tra i due paesi sono numerose , e la rivalità risale al passato, quando non mancavano conflitti tra due delle più grandi tribu della Penisola Araba, la tribu di Al Saoud (Anzah) – da cui la famigla reale saudita è discendente- e la tribu di Al Thani (Tamim) -originaria della zona di Najd in Arabia Saudita, famiglia ora governante nel Qatar. Nel 1912 l’Arabia saudita, che ancora non si chiamava così, avrebbe voluto aggregare il Qatar al proprio territorio dato che era sempre stato considerato parte del Regno: questo  piano non ebbe successo, a causa dell’opposizione  del colonizzatore inglese. Ciò spiega il tardo riconoscimento ufficiale dei confini tra i due paesi, avvenuto solo nel 1965. Le relazioni  continuavano a peggiorare, man mano che il Qatar acquisiva importanza. Due esempi. Nel 1992, poco dopo la prima guerra del Golfo, il Qatar aveva rivendicato la propria sovranità sul punto strategico di frontiera “Al Khofos”; nel 1995 dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti era stato organizzato addirittura un golpe per rovesciare il regime dell’ex Principe qatariota Hamad Ben Khalifa Al Thani, padre dell’attuale giovane Principe Tamim. Lo stesso Hamad era arrivato al potere con un golpe ai danni del padre Khalifa: un colpo di stato che non era piaciuto ai vicini tanto che Abou Dhabi aveva offerto un rifugio di lusso per il deposto sovrano.

Durante la cosiddetta “primavera araba” Il Qatar ha scelto una sua propria linea politica, schierandosi con popoli contro i regimi, sostenendo il movimento dei Fratelli musulmani e movimenti simili sia in Tunisia che in Egitto, non solo con finanziamenti ma anche mediaticamente attraverso il famoso e potente canale televisivo AL Jazeera noto dalla sua larga diffusione non solo nel mondo arabo ma anche oltre.

Le politiche di Doha non sono mai piaciute a Ryadh soprattutto quando riguardano l’Egitto, Paese di grande importanza geopolitica nel Medio Oriente. L’Arabia Saudita e i suoi amici del golfo arabo (o persico) hanno offerto tutti i mezzi a loro disposizione al generale Abdelfattah Al sissi, con un sostegno assoluto, pompando enorme somme di denaro nelle casse egiziane (più di 20 Miliardi di dollari). Il Qatar invece è rimasto fedele ai fratelli musulmani con cui ha relazioni da ormai più di 25 anni, e non ha riconosciuto il regime Egiziano attuale, considerando ancora il leader incarcerato Mohammad Morsi come  Pesidente legittimo del Paese.

Gli ultimi discorsi di fuoco del famoso personaggio Youssouf Al Qaradawi - egiziano e cittadino  qatariota ormai da quasi 40 anni , non hanno fatto altro che gettare benzina sul fuoco. Al Qaradawi, adottato e molto stimato dal regime in Qatar, non è nuovo nell’attaccare, in moschea a Doha, il regime dell’Arabia Saudita e degli EAU: questa volta il leader religioso, ex membro dei fratelli musulmani, ha criticato pesantemente i due Paesi accusandoli di complotto in favore del generale Al sissi: questo il pretesto del ritiro degli ambasciatori.

Non è finita: l’Arabia saudita non ci ha pensato due volte a mettere i fratelli musulmani sulla lista dei terroristi assieme ad altri grande organizzazioni come Al Qaeda, Hezbollah e il gruppo yemenita di Al Houtyin. Una decisione temeraria, adottata senza valutare molto le possibili conseguenze.

La rivalità tra Il Qatar e l’Arabia Saudita passa anche attraverso il conflitto siriano. ma su questo quadrante sembra che i sauditi abbiano vinto la partita, dopo la nomina di Ahmed Al Jarba come presidente del fronte anti Assad, al posto di Ghassan Hitto, esponente sostenuto dal Qatar. Tra i due litiganti quello che gode è però il regime di Assad che ormai sta dominando il terreno.

Dalla decisione del ritiro degli ambasciatori, si può capire che il polo guidato dall’Arabia Saudita tenta di educare il “disobbediente” Qatar, che naviga contro il corrente delle politiche e gli interessi del CCG. Ma chi conosce bene lo sceicco Hamad ben Khalifa - ancora gestore effettivo del Paese – si accorge subito che si trova di fronte a un personaggio dal forte carattere, che ha molta stima di se stesso e che non cede facilmente alle minacce. Un uomo che ama le sfide.

Il Qatar è ben cosciente e consapevole che se non cambia la sua linea politica non sarà mai benvoluto dai cugini, in ogni caso Doha non è predisposta a fare tale passo, per motivi vitali e strategici, soprattutto le forti e influenti relazioni con i Fratelli musulmani in tutto il mondo arabo.

Per mantenere questi rapporti il Qatar è disposto a sopportare gravi conseguenze. Il peggio deve ancora venire, con un progressivo graduale isolamento del Paese: si parla addirittura di una chiusura delle frontiere terrestri e pure aree, con un notevole danno per l’economia.

Doha sembra essere all’angolo. Per questo sta cercando nuove strategie in termini di alleanze. Qualche giorno fa il ministro degli affari esteri Khalid Al Attyah è volato a Teheran cercando di sviluppare le relazioni con l’Iran sfidando gli altri Paesi membri del CCG e soprattutto gli Emirati arabi – che ha ancora il problema delle isole con l’Iran- , l’Arabia Saudita e ovviamente il Bahrain che soffre dalla presenza sciita sul suo territorio. Dall’altra parte lo sceicco Hamad Ben Jassim, un altro membro della corte qatariota, è andato per una visita segreta a Islamabad con  lo stesso obbiettivo. Ciò dimostra di converso l’aumentato ruolo dell’Iran, che registra una sorta di andirivieni di diplomatici di tutto il mondo.

Il CCG sta vivendo una delle fasi  più delicate nella sua storia, con una divisione che non fa che renderlo più debole. Da una parte c’è il triangolo Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrain, dall’altra c’è il Qatar. Restano due stati neutri: il Kuwait che preferisce continuare a fare il ruolo di mediatore e non interferire nei problemi tra gli altri membri (con una leggera vicinanza al triangolo sopra citato) e il Sultanato dell’Oman che si oppone al sistema bancario unito e alla moneta unica del CCG e che mantiene ancora stretti legami con “il nemico” Iran. Sono tutti segni che annunciano il futuro più complicato, e sintomi di divisione che potranno spianare la strada alla fondazione dell’Unione del Golfo Federale sulle macerie del Consiglio di cooperazione attuale.  

Gli arabi del Golfo, in realtà, si capiscono molto bene tra di loro; hanno la stessa cultura, le stesse abitudini, la stessa religione e anche la stessa lingua diplomatica. Ciò si riscontra sul loro modo di  comunicare e di decodificare i messaggi.  Hanno sempre avuto problemi e dispute, ma riuscivano spesso a superarli in qualche maniera. Ora la crisi si annuncia più seria e il problema non può più essere nascosto dietro  sorrisi  e dichiarazioni. Nessuno è in grado di pronosticare come finirà questa fase tesa. Riconciliazione ? o forse peggioramento? Tutto par possibile ma solo i giorni a venire potranno dare il loro verdetto.

Hicham Idar

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