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ONU: Ong chiedono indipendenza per Tribunale Internazionale del Rwanda
Conflitti
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Quattro importanti organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani hanno inviato il 9 agosto scorso una lettera al Consiglio di Sicurezza dell'Onu chiedendo di assicurare "indipendenza e imparzialità" al Tribunale Criminale Internazionale per il Rwanda (ICTR). Si tratta di Human Right Watch (HRW), del Lawyers Committee for Human Rights (LCHR) con sede a New-York, della Fédération Internationale des Ligues des Droits de l'Homme (FIDH) di Parigi e di Rencontre Africaine pour la Défense des Droits de l'Homme (RADDHO) di Dakar, Senegal.
Le organizzazioni chiedono che "ogni cambiamento che concerne l'ufficio del Prosecutore non indebolisca l'indipendenza del Tribunale o la sua possibilità di fare giustizia in modo pieno e imparziale". Il Segretario Generale dell'Onu, Kofi Annan, ha infatti recentemente proposto al Consiglio di Sicurezza di separare l'incarico di Prosecutore del Tribunale per il Rwanda da quello del Tribunale Criminale Internazione della ex Yugoslavia (ICTY). I due incarichi, attualmente ricoperti dall'avvocato svizzero Carla del Ponte, sarebbero troppo onerosi per una sola persona.
Dietro la motivazione ufficiale, però, vi sarebbero le pressioni di Usa e Gran Bretagna affinchè il Tribunale per il Rwanda non persegua per crimini di guerra e crimini contro l'umanità gli ufficiali militari ruandesi del Rwandan Patriotic Army (RPA), la milizia del Rwandan Patriotic Front (RPF) a maggioranza Tutsi che ha preso il potere nel 1994 dopo il genocidio perpetrato sotto la direzione di ufficiali dell'esercito dell'allora governo di maggioranza Hutu.
La Del Ponte, infatti, ha a più riprese manifestato la sua intenzione di perseguire non solo i responsabili dei massacri operati in quegli anni dall'esercito Hutu, ma anche quelli commessi in rappresaglia dalle milizie Tutsi del Rwandan Patriotic Front, che attualmente ricopre un ruolo centrale nel governo di Kigali.
Gli Usa e la Gran Bretagna sono però preoccupati che i procedimenti giudiziari nei confronti di importanti ufficiali del Rwandan Patriotic Front (RPF) possano indebolirne l'immagine e il ruolo, in un momento nel quale il governo di Kigali è considerato un alleato strategico nella "lotta al terrorismo" internazionale nello scacchiere dell'Africa orientale come baluardo del radicalismo islamista del Sudan. L'amministrazione Bush, inoltre, non ha mancato di manifestare a più riprese la propria ostilità verso tribunali internazionali come il Tribunale Criminale Internazionale favorendo invece tribunali locali, più facilmente controllabili, anche per quanto riguarda gravi violazioni dei diritti umani.
Nella loro lettera, le quattro organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani non manifestano valutazioni sull'operato del prosecutore Carla Del Ponte, ma richiamano argomenti da lei sostenuti soprattutto per quanto riguarda la possibilità di poter portare in giudizio tutti coloro che sono accusati di "genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità senza distinzione di appartenenza politica, etnica o nazionale": "deve essere chiaro che vanno inclusi anche i membri del Rwandan Patriotic Front (RPF)" -afferma la lettera.
In un comunicato di presentazione della lettera si sottolinea inoltre che la Del Ponte è stata costretta più volte a sospendere investigazioni nei confronti di ufficiali militari del RPF: un fatto ribadito dalla stessa Del Ponte che ha affermato di essere vittima di "pressioni politiche" da parte dell'attuale governo del Rwanda. L'operato della Del Ponte è stato però anche oggetto di dure critiche da parte di organizzazioni femministe, che chiedono che vengano perseguiti anche violenze e stupri perpetrati durante il genocidio del 1994.
Kofi Annan intenderebbe riconfermarla a settembre nel suo ruolo solo per il Tribunale della ex-Yugoslavia.
In Rwanda. la minoranza Tutsi ha sempre combattuto contro il regime Hutu, sorto subito dopo l'indipendenza del 1962. L'episodio più tragico risale al 1994, quando i governanti Hutu pianificarono e attuarono il genocidio sistematico di un milione di Tutsi. La reazione fu altrettanto violenta, e dopo mesi di combattimenti, e altre migliaia di morti, il Rwandan Patriotic Front (RPF), a maggioranza Tutsi, conquistò Kigali e il governo del Paese.
Nel 1994, una Commissione investigativa del Consiglio di Sicurezza dell'Onu riportò che vari membri del RPA avevano commesso "crimini contro l'umanità" e l'atto di costituzione del Tribunale Criminale per il Rwanda afferma che il Tribunale dove perseguire non solo i responsabili dl genocidio del 1994, ma anche "violazioni sistematiche e diffuse della legge umanitaria internazionale" ad esso connesse (Risoluzione 955/1994 del Consiglio di Sicurezza).
Lo scorso maggio è stata la nuova Costituzione che introduce in Rwanda il multipartitismo ed apre la strada al suffragio universale. Ma il ritorno dei partiti politici suscita nuove ansie soprattutto nelle popolazioni rurali che lo considerano all'origine delle lotte che portarono al genocidio del 1994 e il clima di riconciliazione sembra difficile da instaurare in un Paese tuttora sconvolto da quegli eventi.
Recentemente il Tribunale di Gikonko ha condannato condannati 105 responsabili del genocidio, tra cui alcuni degli organizzatori, che hanno ricevuto la pena capitale. Nelle carceri ruandesi vi sarebbero però ancora 120mila prigionieri in attesa di giudizio per quei fatti ma, nonostante i finanziamenti e l'alto numero di personale Onu impiegato, il Tribunale Criminale Internazionale per il Rwanda ha perseguito finora solo pochi e isolati casi.
Fonti: Oneworld; (HRW), del Lawyers Committee for Human Rights (LCHR)