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La Libia sprofonda nel sangue
Conflitti
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Un nuovo rapporto Onu denuncia che «Gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario sono commessi nelle città libiche di Tripoli e Bengasi con delle conseguenze disastrose per i civili e le infrastrutture civili». E’ il disastro libico che gonfia i barconi dei profughi e del quale un altro immemore ex ministro di Berlusconi ed ora di Renzi, Angelino Alfano, fa finta di non capire ragioni e radici, cercando di ritornare alle cannoniere in mare come ai bei tempi (per lui) di Gheddafi che abbiamo contribuito a far fuori. Il rapporto congiunto di UN Support Mission in Libya (Unsmil) ed UN human rights office (Ohchr) espone in maniera crudamente dettagliata una serie di abusi, soprattutto i bombardamenti contro i civili e gli ospedali e il rapimento, la tortura e gli omicidi.
L’Unsimil stima che almeno 100.000 libici siano diventati profughi a causa dei combattimenti e che 150.000 altre persone, tra i quali numerosi migranti, abbiano lasciato la Libia e sottolinea, forse rivolto anche all’Italia e all’Europa, che «I migranti, i rifugiati ed i richiedenti asilo sono particolarmente esposti nel contesto attuale ed hanno difficoltà a passare le frontiere».
Come spiega l’agenzia missionaria Misna, «A scontrarsi nella capitale e nel capoluogo orientale sono da una parte le forze del generale dissidente Khalifa Haftar – guida dell’operazione “Dignità” – e gli alleati di Zintan (ovest), dall’altra le milizie di Misurata, confluite nella principale alleanza islamica Fajr Libya (Libya Dawn). In posizione dominante sia a Tripoli che a Bengasi i combattenti islamici, che nella capitale hanno preso il controllo dell’aeroporto e dei ministeri».
Secondo il rapporto, «I combattenti sembrano non tener conto del probabile impatto delle loro azioni sui civili, sembrano non avere una formazione adeguata e mancare di disciplina. Inoltre, l’utilizzo di armi e munizioni mal manutenute e difettose aumenta l’inesattezza dei tiri». E’ una rapporto che farebbe bene a leggere chi si chiede da cosa scappino, sapendo bene di perdere la vita, i profughi Siriani, irakeni, eritrei che fuggiti dalle loro guerre e dittature arrivano sulle coste libiche teoricamente liberate dalla dittatura dall’intervento occidentale) e trovano la stessa guerra ed aguzzini forse anche peggiori.
Tra metà maggio e fine agosto, il periodo coperto dal rapporto, «Decine di civili sarebbero stati rapiti a Tripoli e Bengasi unicamente a causa della loro appartenenza tribale, familiare o religiosa, reale o supposta, e rimangono scomparsi. Questi rapimenti possono costituire scomparse forzate se le parti in conflitto non dicono dove si trovano queste persone». Insomma, siamo ai desaparecidos libici e nessuno sa davvero cosa succeda nella Libia profonda e tribale, lontano dalle grandi città, nello “scatolone di sabbia” di fascista memoria pieno di gas e petrolio.
Il rapporto ammonisce: «La protezione dei civili deve essere una priorità. Tutti i gruppi armati devono confermarsi ai principi di distinzione, di proporzionalità e di precauzione quando attaccano». Se non andiamo errati, la protezione dei civili fu la spiegazione per giustificare l’intervento Nato e quelle armi che oggi vengono usate contro i civili inermi sono quelle che noi occidentali e le monarchie assolute islamiche del Golfo nostre alleate abbiamo fornito a queste bande salafite e tribali di assassini per far furi Gheddafi. Poi ci sono le armi dell’esercito Libico saccheggiate tra gli applausi della Nato per i liberatori e democratici che avrebbero costruito la nuova Libia e che invece l’hanno frantumata…
Unsmil e Ohchr dicono che «Tutti I gruppi armati devono astenersi dalle violazioni dei diritti dell’uomo e del diritto umanitario internazionale (che poi era quello che faceva Gheddafi con il nostro consenso e i nostri soldi ai migranti, ndr), in particolare da ogni atto che possa costituire un crimine di guerra, soprattutto i bombardamenti indiscriminati, le sparizioni forzate, gli assassini, i rapimenti, la tortura, i maltrattamenti e la distruzione dei beni».
Il rapporto esorta tutti i gruppi armati a «Liberare o rimettere al sistema giudiziario le persone che detengono», ma il sistema giudiziario libico si è praticamente evaporato e i combattimenti hanno fatto cessare ogni attività nei tribunali delle due più grandi città della LIbia: Tripoli e Bengasi. L’Onu sottolinea anche che «La mancanza di rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario da parte di una delle parti, non dispensa le altre parti dai loro obblighi a conformarsi a queste norme». Tradotto, se le bande jihadiste salafite sgozzano i prigionieri, l’esercito e le milizie tribali e dei signori della guerra che lo appoggiano non devono fare altrettanto.
Il rapporto Onu avverte: «Tutti i gruppi armati devono ritirare dal servizio attivo e rimettere alla giustizia i loro membri sospettati di aver commesso degli abusi. I leader politici o militari possono essere ritenuti penalmente responsabili non solo se ordinano dei crimini, ma anche se sono in grado di impedirlo e non lo fanno».
Poi ci sono i giornalisti, uno tra i bersagli preferiti di tutte le bande armate che insanguinano la Libia, ripetutamente presi di mira, che subiscono restrizioni dei movimenti, com nfisca delle attrezzature, rapimenti ed omicidi. E non è finita, è l’intera Libia che sembra essere ormai uno Stato fantasma, dove «La polarizzazione politica è sempre più profonda, i combattimenti ed i rischi di rappresagli da parte dei gruppi armati creano un clima di paura nel quale la gente è reticente a parlare di alcune violazioni ed abusi. Questo ha portato anche numerosi militanti, in particolare le donne militanti, a lasciare il Paese». Erano questi gli uomini e le donne che avrebbero dovuto costruire quella Libia democratica, laica e tollerante che avevamo promesso, sono loro che abbiamo tradito abbandonandoli nelle mani degli aguzzini che abbiamo armato e spacciato per liberatori.
Umberto Mazzantini da Greenreport.it