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L’Iraq e il bilancio del 2013. Più petrolio e meno democrazia
Conflitti
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Quello del 2013 sarà il più grande bilancio della storia del paese, con 138.000.000.000.000 dinari (118,6 miliardi di dollari) di proventi del petrolio che confluiranno nella casse dello Stato iracheno. Ma a beneficiarne non saranno i cittadini: la fetta più grande della torta è destinata infatti a incrementare la produzione di greggio, a rafforzare la sicurezza e la difesa, e a soddisfare tutte le esigenze dell’ufficio del primo ministro.
Come rivelano i dati Opec, un simile bilancio si spiega tenendo conto che l’Iraq vanta la quarta più grande riserva di petrolio di tutto il mondo e può facilmente diventare il secondo produttore del pianeta.
Proposto dal ministero delle Finanze, il bilancio 2013 mostra un aumento del 18% rispetto ai 117 miliardi del 2012 ottenuto grazie - secondo Ali al-Dabbagh, ex portavoce del governo – alle previsioni sul prezzo medio del petrolio, che dovrebbe attestarsi sui 90 dollari al barile, con le esportazioni che dovrebbero raggiungere i 2,9 milioni di barili di petrolio (bpd), inclusi i 250 mila della regione curda (contro i 2,6 milioni del 2012 e i 2,2 milioni del 2011).
Sempre sulla base delle stime fornite dalle autorità, i ricavi della vendita dell’oro nero dovrebbero dunque contribuire a finanziare il 95% del nuovo bilancio.
Quanto il petrolio sia determinante lo dimostra la gravità dello scontro in corso tra Baghdad ed Erbil, e l’intervento del governo centrale per fermare gli accordi firmati dai curdi con alcune grandi compagnie americane come la ExxonMobil e la Chevron.
Conflitto generato dall’assenza di una legge sul petrolio e sul gas e dalla mancanza di determinazione dello sfruttamento delle aree contese, il cui sottosuolo è ricchissimo di oro nero.
Come verrà speso tutto questo denaro?
Prima di tutto sarà destinato a proteggere il tesoro che scorre nel viscere del suo territorio: per far ciò, secondo il governo serviranno almeno 19,86 miliardi di investimenti in sicurezza e difesa.
In seconda battuta servirà ad accrescere la produzione di greggio, con ulteriori 13,6 miliardi riservati a implementare i progetti delle grandi compagnie petrolifere (estere).
Ma tra le voci di bilancio c’è ne è una che non può passare inosservata e che riguarda direttamente il primo ministro: nel 2013, l’ufficio del premier Nouri al-Maliki spenderà fino a 405.88 milioni per soddisfare tutte le sue “esigenze” (esigenze che ovviamente non vengono menzionate né tantomeno giustificate, ma che rientrano nella generica voce “benefici sociali”, laddove per esempio si fa riferimento al mantenimento del dipartimento per le donne, che dipende direttamente dal bureau governativo).
E cosa resta ai cittadini? Sicuramente i 12,71 miliardi destinati all’istruzione e i 17,7 miliardi per i servizi sociali. Soldi del tutto insufficienti per far fronte a una situazione sociale già esplosiva.
Basti pensare a ciò che è accaduto a metà novembre, quando il governo ha annunciato la sua intenzione di eliminare le tessere alimentari, distribuite a partire dal 1990 quando l’Iraq era alle prese con l’embargo internazionale.
Decisione che è stata rapidamente accantonata in seguito alle numerose proteste di piazza di una popolazione stremata da anni di guerre e privazioni.
Sistema che comunque non ha mai funzionato, dal momento che l’80 per cento delle famiglie irachene in possesso di queste tessere ha dichiarato che negli ultimi due anni ha avuto accesso a solo una delle agevolazioni previste dal programma di aiuti.
Mancanze che rivelano l’incapacità del governo di fornire dei servizi sociali adeguati alle esigenze dei suoi cittadini, il 23% dei quali (7 milioni) vive al di sotto della soglia di povertà.
Secondo un recente sondaggio condotto dalla BBC, l’Iraq conta quasi un milione di bambini che hanno perso uno o entrambi i genitori.
Tuttavia, per il viceministro per gli Affari sociali, Dara Yara, “i soldi destinati ad aiutare gli orfani non sono sufficienti”, in linea con le carenze che riguardano tutto il sistema di protezione sociale destinato ai minori: l’UNICEF denuncia che uno su tre, quindi 5,6 milioni di bambini, non ha accesso ai servizi sanitari o a un’istruzione di qualità, così come soffre di traumi psicologici legati al perpetuarsi di uno stato di estrema violenza diffusa in tutto il paese.
E se fino qualche anno fa le mancanze del governo provavano ad essere in qualche modo colmate dagli aiuti internazionali, oggi non è più così.
Già nel 2008 i finanziamenti esteri ammontavano a 473,6 milioni di dollari, ovvero l’86% in meno del 2003. E si tratta di un calo divenuto ormai costante, nonostante l’Iraq figuri ancora tra i paesi della “categoria n. 3” dell’indice di crisi, la più grave a detta della Commissione europea, e nella “categoria n.2” di quello che misura la vulnerabilità di uno Stato.
Francesca Manfroni
Fonte: osservatorioiraq.it