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Iraq: rapito chi scriveva l'assedio di Falluja
Conflitti
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A Baghdad, questa mattina alcuni professori di Storia e Lingua Italiana dell'Università di Baghdad, con il preside della Facoltà di Architettura e Belle Arti si sono recati all'Hotel Palestine di Baghdad, che ospita gran parte dei giornalisti stranieri per promuovere una raccolta firme tra i loro colleghi e gli studenti dell'Università per rilanciare e fare proprio l'appello promosso dai giornalisti de Il Manifesto in favore della liberazione della loro collega Giuliana Sgrena. L'appello subito dopo è stato tradotto in inglese e in arabo e firmato dagli studenti e dai professori ed è stato distribuito davanti le Moschee e la stessa Università. Questa iniziativa, in accordo con la redazione de Il Manifesto, è stata presa da Tusio de Juliis, presidente dell'associazione "Passage to the South", da anni impegnato in operazioni di solidarietà verso la popolazione irachena e da tutta la redazione di Reporter Associati.
Del rapimento di Giuliana Sgrena si sa poco o niente. Secondo la redazione di Radio Città Aperta "si sa anche che in Iraq ogni giornalista o cooperante che ha voluto indagare su quanto avveniva a Falluja è stato sequestrato e in qualche caso ucciso come avvenuto a Baldoni". Sul sito di "Liberation" è apparso un articolo dedicato a Giuliana Sgrena, nel quale il quotidiano francese sottolinea che anche Florence Aubenas [l'inviata di Liberation scomparsa a Baghdad il 5 gennaio], come Giuliana, stava lavorando ad un servizio sui profughi di Falluja. Giuliana Sgrena è stata rapita mentre si recava in una moschea sunnita per parlare con dei profughi di Falluja, scrive il quotidiano francese, aggiungendo che ''dieci giorni fa, un giornalista occidentale, che si era recato in quel settore per il medesimo argomento, è sfuggito ad un rapimento. Una macchina ha cercato d'intercettarlo, ma il suo autista è riuscito a compiere una manovra e fuggire''. ''La giornalista di Liberation Florence Aubenas, scomparsa a Baghdad da un mese - conclude Liberation - preparava anche lei un servizio sui rifugiati di Falluja''.
Tre mesi dopo l'offensiva americana e la presa di questo bastione sunnita, che è iniziata l'otto novembre 2004, appena il 20% della popolazione è tornata. Una città sinistra, svuotata, sepolcrale viene descritta nell'articolo di Michel B㴀le-Richard pubblicato su "Le Monde" e tradotto dall'Osservatorio sull'Iraq. "Come dopo un terremoto di terra, uno tsunami di fuoco e di bombe che non ha praticamente risparmiato nulla, neanche le moschee", racconta lo sceicco Taghlib Al- Alusi, presidente della Choura, l'assemblea dei dignitari religiosi. "Praticamente non una casa è stata risparmiata. Il 20% sono state bruciate e almeno il 10% totalmente distrutte", afferma questo ingegnere, che denuncia i bombardamenti massicci degli americani ogni volta che i marines si trovano di fronte ad una qualche resistenza. Cheickh Taghlib non ha assistito ai combattimenti. E' partito prima. Al contrario, Abu Ahmed ha vissuto l'inferno, asserragliato in una moschea da cui gli americani lo hanno fatto uscire con altre persone per seppellire i morti che ricoprivano le strade.
"Ce n'erano ovunque, corpi bruciati, decapitati, mutilati. Alcuni avevano ancora le cinture esplosive. Altri erano stati sorpresi dalla morte nella loro vettura. Bisognava fare attenzione a tutto. Li si metteva in dei sacchi e poi nei camion per portarli al cimitero o seppellirli così come si trovavano, senza gli usuali preparativi, nello stadio. Quelli che erano con me non hanno resistito, all'eccezione di un sudanese". Nel corso di questo viaggio, Abu Ahmed ha ritrovato dei sopravvissuti rintanati nelle loro case, che uscivano guardinghi con delle bandiere bianche. Racconta la storia di una giovane donna, Souad, che gli aveva telefonato all'inizio dell'assalto e che lui ha salvato dalla paura e dalla follia dopo dieci giorni di terrore. "Io non auguro a nessuno di provare questo", aggiunge. "I soldati scrivevano una X sulle case già perquisite, una X circondata da un cerchio su quelle che bisognava far esplodere e un teschio su quelle dove c'erano dei cadaveri. Posso assicurarvi che ce ne sono ancora tra le macerie".
I negozi sono vuoti, saccheggiati. Gli ospedali danneggiati e chiusi. Le scuole e i mercati sono deserti. L'elettricità e l'acqua cominciano a malapena a tornare. Le macchine sono solo eccezionalmente autorizzate ad entrare in città. L'esercito iracheno si è installato sulla piazza principale e pattuglia. Composto essenzialmente da sciiti e peshmerga (combattenti kurdi) compie razzie nelle case, saccheggiando, sparando sulla mobilia, sui muri, sugli elettrodomestici, come raccontano diversi testimoni delle scene. Secondo i testimoni, i mudjahidin sono fuggiti a Mosul o altrove. Alcuni, come i cecchini o i kamikaze, tentano ancora qualche incursione in quello che fu il loro feudo. Nessuno ha mai visto Abu Mussab Al Zarqawi, il giordano di Al Qaeda, che gli americano hanno sempre localizzato a Fallujah. "Per noi, è un fantasma. Gli americani lo hanno fabbricato perché hanno bisogno di un nemico per giustificare le loro azioni", dice Cheick Taghlib. [AT]
Altre fonti: Osservatorio Iraq