Iraq: censura su spari italiani e su Garen

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L'aviazione statunitense ha bombardato per ore la città santa sciita di Najaf dove da giorni sono in corso scontri con le milizie di Moqtada al Sadr. Ieri il mullah aveva accettato di evacuare il mausoleo di Ali, dove i suoi uomini sono asserragliati, ma rifiuta di deporre le armi. Nuovi bombardamenti aerei Usa questa mattina su Falluja con il lancio di almeno tre missili contro la zona industriale della città, roccaforte della guerriglia sunnita, a circa sessanta chilometri a ovest di Baghdad. Atti di aggressione militari che lo scorso 6 agosto hanno visto coinvolta anche la missione italiana. Secondo il giornalista americano Micah Garen le truppe italiane hanno sparato un'ambulanza lanciata a tutta velocità nel cuore della notte a Nassiriya, uccidendo 4 persone tra cui una donna incinta. Il comando militare spiega di aver sparato contro un veicolo che non si era fermato all'alt e sventato così l'attacco di un'auto-bomba lanciata contro di loro. Nei giorni a seguire il giornalista americano è stato rapito insieme al suo interprete Amir Doushi da una sedicente "brigata dei martiri", che in un filmato messo in onda dalla tv araba Al Jazeera minaccia di ucciderlo entro 48 ore se le truppe americane non si ritireranno da Najaf. Reporter senza frontiere ha rivolto un appello a Moqtada Al Sadr in cui chiede al leader sciita di intervenire per ottenere la liberazione del giornalista.

Tornando ai fatti del 6 agosto si scopre che dopo la messa in onda delle immagini e delle testimonianze sul Tg3 e Tg2, Garen è stato interrogato dalla polizia militare italiana fino alle 5 del mattino che gli ha chiesto i filmati della sparatoria. Dopo l'11 agosto Garen lascia il campo italiano per andare a Baghdad nella sede del New York Times per poi tornare a Nassiriya dove viene rapito. Nel frattempo, la Rai non parla pià della notizia dell'ambulanza. L'Associazione Articolo 21 parla di censura e chiede che a 48 ore dalla scadenza dell'ultimatum la tv pubblica fornisca una ricostruzione ampia e comprensibile della vicenda. Garen ha potuto fare le riprese perché è un free lance e non un "embedded", cioè un reporter al seguito dei militari. Una condizione in cui devono vivere i giornalisti presenti a Nassiriya senza poter fare alcun passo in assenza dell'autorizzazione, mediazione o scorta dei militari italiani. Dallo scorso aprile, con la missione giornalistica freelance di Bernardo Valli, l'informazione è tutta "embedded" e pertanto non libera. Lo scorso 15 agosto è stato ucciso Mahmoud Hamid Abbas, un giornalista iracheno di 32 anni che lavorava per la rete televisiva tedesca ZDF. Abbas è il 20mo giornalista ucciso dall'inizio del 2004 e il 34mo dall'inizio del conflitto, nel marzo 2003.

Intanto la rivista scientifica britannica "The Lancet" lancia forti accuse sul personale medico militare statunitense per le torture perpetrate sui prigioneri del carcere di Abu Ghraib e degli altri centi di detenzioni afghani e iracheni. "I documenti del governo - scrive Steven Miles, un professore dell'Università del Minnesota - mostrano che il sistema medico militare degli Stati Uniti ha fallito nel proteggere i diritti umani dei detenuti, a volte ha collaborato con i responsabili degli interrogatori e i carcerieri che si sono macchiati di abusi, e non ha riportato le ferite e le morti causate dai pestaggi". Ci sono casi di medici che hanno preso parte alle torture: una volta "un detenuto è crollato al suolo incosciente dopo essere stato picchiato, il personale medico gli ha fatto riprendere i sensi e se ne è andato, mentre la violenza continuava". In generale, conclude The Lancet, "il sistema medico ha collaborato nel pianificare e mettere in pratica gli interrogatori coercitivi, da un punto di vista fisico e psicologico". Altri episodi documentati parlano di cure negate ai prigionieri vittime degli abusi, come quello di un uomo lasciato con una ferita purulenta alla mano. La complicità dei medici militari è andata anche oltre, nel tentativo di occultare le violenze quando ormai era troppo tardi, e dimenticando di notificare ai familiari dei prigionieri le morti, le malattie o i trasferimenti in centri di cura.[AT]

Altre fonti: Uruknet, Articolo 21, Peace Reporter

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