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Iraq: appello di Amnesty contro pena di morte a Alì il Chimico
Conflitti
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La Sezione Italiana di Amnesty International ha lanciato oggi un appello on line per salvare la vita di tre ex alti funzionari del regime di Saddam Hussein, a rischio imminente di esecuzione dopo che il 4 settembre il Tribunale penale supremo iracheno (Sict) ha respinto il loro ricorso. Si tratta di 'Ali Hassan al-Majid, Sultan Hashim Ahmad al-Ta'i e Hussain Rashid al-Tikriti, condannati a morte il 24 giugno di quest'anno per l'uccisione di circa 180.000 curdi iracheni durante la cosiddetta campagna di sterminio "Anfal" (Bottino), ordinata da Saddam Hussein nel 1988. Secondo lo statuto del Tribunale, la condanna a morte deve essere eseguita entro 30 giorni dalla sentenza e non è possibile per i condannati ricevere la grazia dal presidente.
"Il processo, aperto nell'agosto 2006 e terminato nel giugno 2007 con la triplice condanna a morte, è stato caratterizzato da interferenze politiche ed è stato ampiamente criticato per non aver rispettato gli standard internazionali di un equo processo" - denuncia il comunicato Amnesty. Dal 2004, anno in cui è stata reintrodotta la pena capitale in Iraq, sono state condannate a morte numerose decine di persone: solo nel 2006 sono state portate a termine circa 65 esecuzioni, molte delle quali a seguito di processi iniqui, come nel caso dello stesso Saddam Hussein, impiccato alla fine dello scorso anno. Secondo la legge irachena, i condannati a morte possono chiedere la grazia presidenziale, a eccezione di coloro che sono stati processati dal Sict.
Amnesty International chiede alle autorità irachene di commutare la condanna a morte inflitta ad 'Ali Hassan al-Majid, Sultan Hashim Ahmad al-Ta'i e Hussain Rashid al-Tikriti e di intraprendere le azioni necessarie al fine di abolire la pena di morte nella legislazione e nella pratica. "Ci troviamo di fronte a un copione più volte rappresentato nell'Iraq di questi ultimi anni: queste condanne a morte si configurano come un regolamento di conti col regime di Saddam Hussein, verso persone che pure hanno diretto ed eseguito con scrupolo e violenza inaudita una campagna di sterminio contro la popolazione curda" - ha dichiarato Paolo Pobbiati, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International.
"Ma come ci dimostra la recente abolizione della pena di morte in un paese come il Rwanda, devastato da una stagione di crimini efferati, la strada per ottenere giustizia è un'altra e non può comprendere forme di 'giustizia' che si avvicinano alla vendetta e alla ritorsione. Se l'Iraq vuole veramente gettarsi alle spalle un passato d'isolamento, violenza e repressione, non può ignorare quanto la concezione della pena di morte come punizione crudele, inumana e degradante, oltre che inutile, sia oggi largamente condivisa dalla maggioranza della comunità internazionale" - ha concluso Pobbiati.
Nei mesi scorsi, dopo l'impiccagione di Saddam Hussein, sono stati numerose le condanne a morte nei confronti di funzionari del suo governo. Nel gennaio scorso era toccato al fratellastro di Saddam Hussein, Barzan Ibrahim al-Tikriti e all'ex presidente del Tribunale Rivoluzionario, Hamad al-Bandar al-Sad'un: un'esecuzione che Amnesty ha definito una "brutale violazione del diritto alla vita e un'ulteriore opportunità persa per gli iracheni di veder rispondere del proprio operato i responsabili dei crimini commessi sotto il regime di Saddam Hussein". Amnesty ha successivamente deplorato anche la condanna a morte per impiccagione emessa nei confronti dell'ex vicepresidente iracheno Taha Yassin Ramadhan, definendola "un diniego di reale giustizia per le vittime del regime di Saddam Hussein e un ulteriore attentato ai diritti fondamentali a un processo equo e alla vita". Anche l'Alto Commissario Onu per i diritti Umani, Louise Arbour aveva deplorato la punizione capitale a causa delle irregolarità del processo. [GB]