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I confini disumani dell’Europa
Conflitti
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In occasione dei suoi 10 anni di attività in mare, la NGO tedesca SOS Humanity ha presentato ieri il report Borders of (in)humanity (Confini di disumanità). Nel documento vengono riportate le testimonianze di 64 persone migranti sopravvissute, raccolte a bordo della nave di SOS Humanity, la Humanity 1, durante 13 operazioni di salvataggio dall’Ottobre 2022 all’agosto 2024. Lo scopo del report è quello di rimettere al centro della discussione politica il vissuto di queste persone, le cui testimonianze portano alla luce la complicità dell’Unione Europea nella violazione dei più basilari diritti umani delle persone migranti.
Le cosiddette politiche UE di esternalizzazione – cioè di delega delle attività di gestione delle frontiere, incluse le attività di ricerca e soccorso in mare – non sono altro che un’abdicazione delle proprie responsabilità. Dal 2014 in poi, l’Unione ha demandato progressivamente attività che sono obbligatorie secondo il diritto internazionale a soggetti extra-europei, come Libia e Tunisia. Le testimonianze descrivono il trattamento disumano che i migranti sono costretti a subire in questi Paesi, dove vengono imprigionati, seviziati, torturati. Subiscono discriminazioni e ogni genere di vessazione, vengono venduti e ridotti in schiavitù, minacciati e abbandonati nel deserto. La lista di violazioni sembra essere infinita.
La Libia è descritta come “l’inferno”, dove «nemmeno il tuo corpo morto è al sicuro». Dopo la guerra civile del 2014, il Paese è piombato nel caos. Un buco nero dove anche le Nazioni Unite hanno avanzato l’ipotesi fondata di crimini contro l’umanità. Fosse comuni con i corpi dei migranti sono state scoperte recentemente.
In Libia i migranti sono sistematicamente discriminati e vittime di razzismo. I testimoni riportano di essere stati vittime di forme di schiavitù, di traffico di esseri umani e di abbandono nel deserto. Quelli di loro che hanno tentato più volte il viaggio nel Mediterraneo, raccontano che è la stessa Guardia Costiera libica, dopo averli riportati in Libia, a venderli a miliziani o membri di altre autorità semi-ufficiali. Questi, a loro volta, li detengono arbitrariamente in condizioni terribili. Una connivenza che è stata provata anche da una missione di monitoraggio delle Nazioni Unite del 2020-’23.
Così i membri della cosiddetta Guardia Costiera libica, che noi europei finanziamo profumatamente con i soldi delle nostre tasse, sono parte del “business” dei trafficanti.
Dentro e fuori le prigioni, i migranti sono puntualmente vittime di violenza: «Gli uomini vengono picchiati ogni giorno, finché paghi per uscire, ti picchiano col metallo, coi bastoni, o qualsiasi cosa gli passi per le mani. Chiamano tua madre, la tua famiglia e li spaventano dicendogli 'Lo uccidiamo'. Registrano i suoni e glieli mandano, così loro pagano.» Le donne e le ragazze sono spesso vittime di violenza sessuale e abusi, ridotte in schiavitù sessuale: «Molte, molte donne, molte ragazze vengono rapite e vengono costrette a tutto. Forzate ad avere rapporti sessuali. Le obbligano a cucinare e a pulirgli la casa. Dormono con loro. Per questo motivo molte ragazze sviluppano gravidanze indesiderate e problemi mentali.»
Anche la Tunisia, con cui più recentemente la UE ha stipulato accordi, è un Paese drammaticamente deteriorato negli ultimi anni ed è diventato sempre più autocratico. Anche in questo caso la discriminazione dei migranti – in particolare quelli provenienti dall’Africa subsahariana – e delle minoranze si è trasformata in vera e propria persecuzione.
La Tunisia non dispone di un appropriato sistema di accoglienza dei rifugiati e i migranti raccontano di discriminazioni sistematiche, violenza (inclusa quella sessuale), schiavitù e il desert dumping: «A Sfax le autorità e i miliziani prendevano le persone e le deportavano nel deserto tra Tunisia e Libia. Un mio amico mi raccontò che era stato portato nel deserto con un gruppo di altre persone. Lì aveva visto 37 donne che erano state violentate. Quelle che avevano provato a difendersi erano state minacciate e picchiate con le armi. Gli uomini deportati con loro avevano dovuto assistere a tutto questo e alcuni di loro erano famigliari e amici.»
È da questo tipo di situazioni che i migranti provano a scappare, spesso mettendosi nelle mani di trafficanti che li caricano su piccole imbarcazioni inadeguate, dietro pagamento o costrizione. Anche il viaggio non è esente dalla violenza.
Così, vengono abbandonati in mare senza equipaggiamento, senza giubbotti salvagente, senza cibo e acqua da bere, con i motori che spesso perdono carburante. Il carburante, mescolandosi all’acqua salata, provoca ustioni di secondo grado, mentre i fumi causano intossicazioni e svenimenti.
Questi sono i luoghi che l’Unione considera “porti sicuri”. Tutta l’ipocrisia europea si rivela nell’uso del pretesto di salvare vite in mare, supportando l’istituzione delle cosiddette zone SAR (nel 2018 quella libica e nel 2024 quella tunisina) cioè le zone di ricerca e soccorso in mare, i Centri di Coordinamento per il salvataggio e le Guardie Costiere libica e tunisina.
Le testimonianze dei sopravvissuti rivelano come questi siano semplicemente dei tentativi di mascherare i respingimenti, che niente hanno a che fare con il salvataggio delle persone in mare: «La prima volta che abbiamo provato a scappare, sono arrivati i libici. Ci hanno preso i soldi e hanno sparato alla nostra barca, così abbiamo iniziato a capovolgerci. Ho perso i miei due fratelli nel mare, entrambi affogati.» Delegare il coordinamento dei soccorsi in mare alle autorità libiche e tunisine ha significato un incredibile aumento dei respingimenti.
Ma accade spesso che le chiamate di soccorso vengano completamente ignorate finché diventa troppo tardi per agire.
I respingimenti sono illegali non solo per la loro brutalità, ma anche perché riportano le persone migranti in luoghi da cui hanno cercato disperatamente di scappare. E allora, la domanda che questo report vuole porci è: quali sono i confini morali dell’Europa? È questa l'Europa che vogliamo?
A parte il costo in termini di violazione dei diritti umani, quindi in termini di credibilità e integrità morale, la quantità di denaro dei contribuenti europei impiegata per finanziare le politiche di esternalizzazione è enorme. Il report riferisce che nell’arco di 10 anni la cifra spesa ammonterebbe a più di 242 milioni di euro. Visti i trend, è stato calcolato che nell’arco di tempo 2015-2027 verranno spesi circa 290 milioni di euro per il mantenimento dello stesso regime ai soli confini con Libia e Tunisia. Dunque L’Unione Europea paga milioni di euro per questa complicità, raccontando ai suoi cittadini che sia l'unica soluzione possibile.
Purtroppo, abituarsi ai numeri è facile. Ed è una tecnica furba quella di parlare sempre di numeri e mai di persone, perché i numeri non hanno un volto, non hanno una storia, non hanno una famiglia, desideri e speranze. Si calcola che dal 2014 siano affogate in mare quasi 25.000 persone, voci e storie che non potremo mai più ascoltare.
Ma per molti cittadini europei non è così. Come detto ieri dal direttore generale di SOS Humanity, Till Rummenhohl: «Da dieci anni il nostro lavoro è sostenuto da un forte movimento della società civile che sostiene il valore umanitario di non lasciare annegare consapevolmente le persone. I cittadini finanziano le missioni che comportano costi elevati, lavorano a bordo su base volontaria e sostengono il nostro lavoro a terra. Città, iniziative e centinaia di migliaia di persone sostengono noi e la richiesta di soccorso umanitario. Questo sostegno è indispensabile, dimostra che l'umanità non è una questione marginale, ma un elemento centrale dell'identità europea. Nonostante tutti gli ostacoli: continueremo, nel quadro del diritto internazionale, dei diritti umani e della nostra responsabilità umanitaria».
Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.