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I centri antiviolenza: dal territorio agli atenei e viceversa
Conflitti
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Raffaella Passoni - Foto di N. Benedetti
Secondo l’Istat (2018) in Italia abbiamo mediamente 150 femminicidi all’anno; dati più aggiornati dalla stessa fonte riportano come, oltre ai femminicidi, il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) abbia subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). E questi sono solo i dati conosciuti – il sommerso è difficilmente misurabile. Se parlare di violenza contro le donne è importante sempre, per forza di cose il punto lo si fa spesso in occasione del 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Quest’anno abbiamo intervistato Raffaella Passoni, socia dell’associazione Differenza Donna da circa 20 anni, operatrice di Centri Antiviolenza (CAV), attualmente psicoterapeuta in formazione e responsabile del Centro Antiviolenza Elena Gianini Belotti, attivo all’interno dell’Università di Tor Vergata a Roma da febbraio 2023.
Un CAV dentro l’università: come nasce?
Si tratta di un’iniziativa della regione Lazio e dell’Ente Regionale per il Diritto allo Studio ed alla Conoscenza, Discolazio. Con luglio 2022 si sono istituiti dei CAV all’interno degli atenei della regione. Nello specifico da luglio 2022 è stato istituito quello dell’Università della Tuscia a Viterbo; poi ce n’è un altro alla Sapienza a da dicembre 2022 a Roma Tre. È un’iniziativa per permettere alle donne, alle studentesse ed al personale docente ma anche al territorio tutto di avere altri punti di accoglienza e di ascolto.
Cosa sono i CAV, e cosa fanno nel concreto?
I CAV nascono dai movimenti delle donne, quindi dalle donne e per le donne; proprio perché ci si era resi conto che serviva un luogo gestito da donne per poter comprendere quelle che sono le discriminazioni e gli stereotipi. Nel CAV accade un processo politico che rivendica una sua specificità ed esperienza rispetto ad un’analisi critica della cultura patriarcale. I CAV accolgono e credono alle donne: non solo oggi, storicamente la paura più grande delle donne è quella di non essere credute. Il CAV si pone in una posizione di ascolto non giudicante, lavorando in un percorso che si struttura insieme alla donna.
Quindi non dite alle donne cosa fare.
Assolutamente no. Le mettiamo nelle condizioni di saper rinarrare la propria storia e di conoscere quali sono i propri diritti rispetto a quello che accade nella relazione violenta. Si tratta di donne che essendo vissute in una condizione di violenza - e quindi di subalternità -prendono come proprio il punto di vista del maltrattante. Proprio per le violenze che hanno subito, le donne arrivano a credere di non avere nessun diritto, che verranno tolti loro i figli e che non avranno la possibilità di lavorare. Quindi agiamo sulla rielaborazione e la consapevolezza di quello che è il loro vissuto, generando una rilettura della loro storia di violenza. Partendo da questo poi in base alla volontà della donna si struttura il percorso. Uscire da una situazione di violenza è un lavoro enorme, quindi è importante che le donne sappiano che non sono sole.
Qual è l’ostacolo più grande quando le donne vengono da voi, su quale aspetto si fatica di più?
È importante lavorare sul senso di colpa e sulla ri-attribuzione della responsabilità. Molte donne provano vergogna: per non aver capito prima, per non essere uscite da sole da quella situazione nonostante il contesto esterno amicale e famigliare rimandasse loro che c’era una pericolosità. Viviamo in una società dove tendiamo a dare la responsabilità della violenza alle donne, quando loro in realtà questa violenza l’hanno solo subita.
Avete notato dei cambiamenti nella violenza che vi viene raccontata?
Se 10 anni fa le donne più o meno chiedevano aiuto dopo 8-10 anni di maltrattamenti, oggi lo fanno molto molto prima. Questo sicuramente per una maggiore sensibilizzazione; poi anche perché – questo lo abbiamo riscontrato soprattutto nelle giovani– l’escalation della violenza, l’arrivo all’aggressione fisica, è più rapido, e quindi chiedono aiuto prima.
Di cosa vi occupate nello specifico, qui in università?
Il CAV in generale offre un ascolto, un sostegno psicologico ed un’accoglienza a 360 gradi per le donne, unitamente ai loro figli e figlie, in fuga dalla violenza. Come Differenza Donna tra i servizi che forniamo vi sono anche quelli legali, sia per il penale sia per il civile, minorile, immigrazione, lavoro, nonché l’orientamento lavorativo. Questa è la nostra prima esperienza dentro un ateneo. Inizialmente ci siamo cercate di ambientare, di capire come arrivare agli studenti ed alle studentesse per poterci confrontare con loro. Abbiamo contattato i presidi e le presidi, i coordinatori e coordinatrici delle facoltà, con loro abbiamo spiegato chi eravamo e che avremmo avuto piacere e necessità di confrontarci in aula con gli studenti e le studentesse.
Quindi siete entrate in aula.
Sì. Ci siamo adattate anche a quelle che sono le conoscenze, perché i giovani e le giovani pensano che questo sia un problema distante da loro. Abbiamo cercato di far capire qual è la cultura in cui viviamo, come sia ancora discriminatoria nei confronti delle donne. L’importanza di un CAV all’interno di un ateneo è anche quello di diffondere ciò che cerchiamo di fare, portare avanti una cultura di genere che storicamente è stata esclusa dai campi del sapere. Sarebbe auspicabile realizzare dei progetti, creare delle borse di studio, far sì che la cultura di genere entri a pieno titoli in tutti i campi disciplinari. In università abbiamo cercato di declinare i nostri interventi: invece di parlare del CAV, seguivamo il percorso di studi dei ragazzi. Ad esempio ci siamo concentrati sulla violenza assistita nel corso di pedagogia sperimentale, o sulla violenza digitale nel corso di psicologia. Ci mettiamo d’accordo con i docenti in base a quali sono gli interessi più funzionali per un corso di laurea.
Riscontri?
A fine lezione si avvicina sempre qualcuna che racconta qualcosa che l’ ha riguardata o la volontà di fare volontariato/tirocinio. L’associazione inserisce nei propri centri donne che hanno seguito un corso di formazione specifico. Organizziamo questi corsi sia per le socie che vogliono diventare operatrici, che per le aspiranti volontarie.
Dicevi che il CAV è dentro l’ateneo ma è aperto al territorio.
Sì, è aperto tutti i giorni dal lunedì al venerdì e poi ha una reperibilità telefonica H24 (06.72595184 / 347.8547714). Questo CAV è collegato e gestisce lo sportello codice rosa all’ospedale di Tor Vergata, che è aperto mercoledì e venerdì. Lì si accolgono le donne che accedono in pronto soccorso, e si realizza una valutazione del rischio.
Il CAV a Tor Vergata è aperto lunedì, martedì, mercoledì, e venerdì con orario 9-16; giovedì con orario 9-17. Email di riferimento: [email protected]
Novella Benedetti

Giornalista pubblicista; appassionata di lingue e linguistica; attualmente dottoranda in traduzione, genere, e studi culturali presso UVic-UCC. Lavora come consulente linguistica collaborando con varie realtà del pubblico e del privato (corsi classici, percorsi di coaching linguistico, valutazioni di livello) e nel tempo libero ha creato Yoga Hub Trento – una piattaforma che riunisce varie professionalità legate al benessere personale. È insegnante certificata di yoga.