Gig economy, non solo lavoretti

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C’è chi pedala in sella a una bicicletta o sfreccia col motorino per consegnare pizze e pasti pronti, chi opera nel servizio di baby-sitting e di pulizie, chi svolge dei mestieri come l’idraulico. Ma sono tutti accomunati dal lavorare tramite piattaforme online: sono i lavoratori della“Gig Economy”, tradotto in italiano come l’Economia dei lavoretti, un settore cheoccupa tra 700mila e un milione di giovani in Italia. Sono i primi dati del report della Fondazione Debenedetti presentati a giugno 2018 al Festival dell'Economia di Trento, che ha messo al centro del dibattito il rapporto tra lavoro, tecnologia e diritti.

Negli ultimi anni, le piattaforme digitali hanno facilitato lo sviluppo di un mercato molto dinamico, che per molti aspetti ci facilita la vita. Pensiamo alla “sharing economy”, l’economia della condivisione, che mette a profitto la tecnologia e comprende realtà come Blablacar e AirBnb, in cui si guadagna o si diminuiscono i costi di un servizio condividendo risorse o azioni.La Gig Economy invece, che pur si basa su questa tecnologia, ha parecchi aspetti d’ombra: secondo diverse analisi, il vero problema sono le tutele dei lavoratori per i quali non sussiste una regolamentazione adeguata (ma il fenomeno in Italia è appena agli inizi) motivo per cui, pur svolgendo mansioni con vincoli che possono essere equiparati al lavoro subordinato, i lavoratori della Gig Economy non sono riconosciuti come tali, ma piuttosto come “quelli dei lavoretti saltuari” e sono di fatto sottoposti e condizioni di lavoro inique e privati di alcuni diritti.

Qual è la situazione in Italia?

La prima fotografia sui nuovi lavori “on demand'” che si offrono e si scambiano su app e piattaforme web, è stata scattata dalla Fondazione Debenedetti nel report sopra citato e presentati da due dei maggiori player della consegna dei pasti a domicilio, Deliveroo e Foodora. Dall'analisi emerge che per 150mila persone l’attività nella Gig Economy non è solo un lavoretto per arrotondare ma è l'unico lavoro. Questi lavoratori vengono contrattualizzati nel 10% dei casi come cococo, mentre il 50% con collaborazione occasionale a ritenuta d'acconto. Più del 50% viene pagato a consegna, mentre meno del 20% è pagato a ora. Il guadagno medio si attesta sui 839 euro per chi lo fa come lavoro principale e 343 euro per chi lo fa come lavoretto (in media circa 12 euro lordi l'ora). In Italia i rider (i ciclo-fattorini che effettuano le consegne dei pasti su due ruote) sono circa 10mila, emerge dalla ricerca, e sono soprattutto giovani o giovanissimi, che arrotondano, magari durante il percorso di studi, incassando in media circa 12,5/12,8 euro lordi l'ora. “Mestieri da fare per pochi mesi prima di passare a qualcosa di meglio” si afferma. 

Tuttavia, bisogna considerare anche altri fattori, come viene riportato dal sito Sindacato-Networkers.it, piattaforma di consulenza sindacale rivolta ai lavoratori dell’ICT in un’intervista aValerio De Stefano e Antonio Aloisi dell’Università Bocconi di Milano “I vantaggi della Gig Economy sono un veloce incontro tra domanda e offerta di lavoro e il taglio dei costi di transazione. Alle imprese permette la flessibilità nella gestione della manodopera, cioè di pagare i lavoratori solo nel momento esatto in cui svolgono la prestazione. Questa impostazione è però anche un limite per i lavoratori, che non sono coperti in alcun modo quando c’è un calo di domanda o in caso di malattia, per esempio”.

La recente “sentenza Foodora” (aprile 2018), azienda tedesca leader della consegna del cibo a domicilio, ha aperto il dibattito sulla necessità di una regolamentazione ad hocdella Gig Economy, che per le sue peculiarità non può essere regolamentata con le attuali forme contrattualistiche. La vicenda ha ad oggetto la richiesta dei ciclo-fattorini non accolta dal Tribunale di Lavoro di Torino, di avere il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato. “Ben 6 fattorini sono stati licenziati, o meglio, esclusi dall’applicazione sui cellulari, per aver protestato per le disagevoli condizioni di lavoro cui erano sottoposti. Si era passati da una retribuzione di 8 euro lordi l’ora al pagamento a consegna di € 4,00.”si legge sul portale Diritti e Consumatori, un sito d’informazione e consulenza curato da un pool giuristi.  Da un lato, si spiega che le caratteristiche del lavoro subordinato apparentemente non sussistono: i ciclo-fattorini dichiarano la loro disponibilità attraverso un’app sui cellulari, l’azienda indica le consegne da effettuare, i cellulari e le biciclette devono essere messe dai lavoratori. Non vi è dunque nessun datore di lavoro che impartisca direttive, tipiche del rapporto di lavoro subordinato, o che predetermini il loro orario di lavoro. Tuttavia, sottolinea il portale Diritti e Consumatori, è importante considerare le peculiarità create dalle nuove tecnologie“le quali sono arrivate ad una potenzialità di controllo virtuale molto invadente e inimmaginabile fino a qualche anno fa”e che nella sostanza avvicinano questo tipo di prestazione ad un lavoro subordinato, ma senza nessuna delle tutele da questo previste. Si conclude che “La cosiddetta Gig economy dà solo l’illusione di scegliere se fare o no piccoli lavoretti al fine di arrotondare” inficiando così la flessibilità tipica del lavoratore autonomo.

Il fenomeno della Gig Economy è rilevante anche in Europa tanto che a marzo 2018, la Commissione Europea ha invitato i Paesi dell’Unione a formulare nuove normative per garantire una maggiore sicurezza a questi lavoratori, dando seguito alle raccomandazioni contenute in un report del Parlamento Europeo.

Per quanto riguarda l’Italia, esiste una regolamentazione promossa dal Comune di Bologna valida a livello comunale e firmata il 31 maggio 2018, mentre è ancora più recente la Proposta di legge al Parlamento nazionale presentata l’11 luglio dal consigliere regionale della Regione Piemonte Marco Grimaldi (Leu) in materia di lavoro mediante piattaforma digitale. Inoltre, a fine giugno è nato a Milano il primo sportello in Italiadi informazione per i lavoratori della Gig Economy che operano nelle piattaforme digitali.

È vero che l’Italia ha recuperato tutti i posti di lavoro persi con la crisi economica, ma in un quadro completamente mutato:tra i 23 milioni di occupati in Italia, ritornando al livello del 2009, ci sono 800 mila occupati in più nei servizi. Ed è qui che si annidano i 700 mila lavoratori della Gig Economy, secondo i dati della Fondazione Debenedetti. Il futuro della Gig Economy dipenderà dalla capacità dei politici di adeguare le leggi a queste nuove forme di lavoro. Così da tutelare sia i dipendenti che le aziende.

Lia Curcio

Sono da sempre interessata alle questioni globali, amo viaggiare e conoscere culture diverse, mi appassionano le persone e le loro storie di vita in Italia e nel mondo. Parallelamente, mi occupo di progettazione in ambito educativo, interculturale e di sviluppo umano. Credo che i media abbiano una grande responsabilità culturale nel fare informazione e per questo ho scelto Unimondo: mi piacerebbe instillare curiosità, intuizioni e domande oltre il racconto, spesso stereotipato, del mondo di oggi.

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