Ecuador: si fermerà il futuro?

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Il 19 di febbraio il popolo ecuadoriano andrà alle urne per votare il loro prossimo Presidente della Repubblica e conformare la nuova Assemblea Nazionale. Lo scarno dibattito politico indica una lettura disordinata ed eufemisticamente preoccupante, oltre ad aggravare la crisi economica che colpisce il paese dal 2015. Una breve premessa.

I 10 anni di Correa

L’Ecuador viene da un decennio di governo travagliato, firmato Rafael Correa, un umanista, cristiano di sinistra e principale fautore del Socialismo del XXI secolo, profondamente ispirato dalle stagioni politiche di Hugo Chavez in Venezuela ed Evo Morales in Bolivia. La “Revolucion Ciudadana”, instaurata dal leader di Guayaquil, trionfa alle elezioni del 2007 e inizia ad inanellare una serie di misure audaci di fronte agli osservatori internazionali. Viene indetta un’Assemblea Costituente per rivoluzionare le regole della carta costituzionale e sciogliere il Parlamento, che al tempo non rappresentava la sua maggioranza. Denuncia le imposizioni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale nella definizione del piano economico nazionale. Dopo una tentata rinegoziazione del debito pubblico, nel 2008 dichiara la bancarotta dell’Ecuador, additando come immorale il debito contratto "a causa della corruzione" dai regimi militari precedenti, di fatto poi riacquistando nel 2009 il 91% dei titoli di stato al prezzo stracciato del 30-35%.

Forte degli introiti petroliferi (dettati da prezzi che oltrepassano i 100 dollari al barile), dai quali il paese dipende considerevolmente, nei dieci anni di stabilità politica il paese ha vissuto un innegabile sviluppo economico, sociale e culturale. Ciò ha permesso la costruzione di infrastrutture ambiziose che hanno cambiato il volto dell’Ecuador rurale, l’avvallo di riforme che hanno canalizzato percentuali dei ricavi petroliferi a programmi sociali e una netta riduzione del tasso di povertà a meno del 25%. Il governo si rende autore di opere di nazionalizzazione, un ampliamento del controllo e dell’ingerenza statale nella sfera privata e la creazione di una macchina burocratica senza precedenti, che ha il merito di generare occupazione, sicurezza sociale, reti di ospedali e l’affermazione di una nuova classe media ecuadoriana. Sono, però, altrettanto incontestabili, alcune critiche mosse al presidente sui tanti giri di favoritismi e inefficienze nella gestione “politicizzata” delle agenzie nazionali, assieme alla massiccia speculazione dei giacimenti petroliferi, che ha portato alla recessione attuale e fatto precipitare il suo consenso negli ultimi 2 anni. Dopo 3 mandati presidenziali, la resistenza ad opposizioni agguerrite, tensioni internazionali con gli Stati Uniti e la Colombia, ed essere uscito illeso da un fallito colpo di stato, si chiude il ciclo Correa - peraltro tanto osannato in Italia dal M5S e da Beppe Grillo, il quale si ispirerebbe al modello ecuadoriano per districare il proprio programma elettorale.

Purtroppo, l’attualità del 2017 ci rende spettatori di un’angosciante polverizzazione di candidati alla presidenza, dove tutti vogliono un cambio, si sciacquano la bocca di parole accattivanti e nessuno si prende la calma di spiegare con che soldi le realizzerà.

I candidati presidenti più quotati

Lenin Moreno è il candidato di Alianza Pais, il partito fondato da Correa, e incarna la prosecuzione della sua linea di governo, dopo esserne stato il vice (2007-2013). Seppur meno critico verso le politiche neoliberiste e l’accordo di libero commercio sottoscritto con gli Stati Uniti, Moreno cavalca e rivendica i risultati ottenuti in questi dieci anni, sostenendo che il futuro non si ferma. Basa il suo programma sulla necessità di cambiare la matrice produttiva a favore di uno sviluppo più sostenibile, amico dell’ambiente e di una distribuzione più equa delle risorse. Promuove l’implementazione di un programma di crediti per nuove attività imprenditoriali, un’attenzione particolare in settori quali l’energetico, il tecnologico e la creazione di 350 istituti tecnici superiori che potenzino settori quali l’agricoltura e l’allevamento, oltre ad assicurare un’istruzione di qualità. Restano purtroppo da decifrare alcune cose, come l’effettiva autonomia rispetto al suo predecessore e alle gerarchie di partito, o la fattibilità di certe promesse che richiedono un ricorso smisurato alla spesa pubblica. C’è poi da sottolineare la sua riluttanza al confronto pubblico su certi temi delicati: non ha mai attaccato gli scandali sulla corruzione legati alle concessioni del settore petrolifero e idroelettrico, aree strategiche di produzione nazionale; ha sostanzialmente taciuto sulla violazione della libertà di stampa e dei diritti umani delle popolazioni indigene della foresta amazzonica; non ama essere controbattuto e non ha partecipato al dibattito politico andato in onda il 25 gennaio, forse perché già abbondantemente coccolato da tutti i sondaggi elettorali che lo danno come favorito. Naturalmente, non solo in America Latina, la differenza la fa anche chi li foraggia i sondaggi.

Gode di un ampio consenso pure Guillermo Lasso, dell’alleanza di centro-destra CREO-SUMA. Ex banchiere sconfitto alle elezioni del 2013, conosciuto per essere stato il presidente esecutivo del Banco Guayaquil, secondo istituto finanziario dell’Ecuador, di cui resta uno dei principali azionisti. Le sue pillole puntano a dare maggior impulso al settore privato, attraverso la creazione di un milione di posti di lavoro. Riforme volte alla liberalizzazione dei servizi, l’alleggerimento dell’apparato burocratico e un contenimento della spesa pubblica, già fin troppo abusata. Inoltre afferma di voler derogare 14 tasse, tra cui l’anticipo dell’imposta sul reddito, l’imposta sull’uscita di divisa e sulle plusvalenze: si impegna a eliminare le cosiddette “salvaguardias”, cioè restrizioni temporali sulle importazioni di particolari prodotti, e gli esosi dazi doganali sulle importazioni di forniture e materie prime, rincarati dalla politica protezionistica di Correa. Ciò nonostante la sostenibilità della politica monetaria ecuadoriana potrebbe essere insidiata da queste misure. Infatti, essendo l’Ecuador un’economia dollarizzata, detiene nel controllo delle sue importazioni uno dei principali strumenti per mantenere il corretto equilibrio sulle sue riserve valutarie. A questo proposito Lasso intende istituire una banca centrale indipendente per recuperare la riserva monetaria andata sperperata negli anni e in questo modo promuovere gli investimenti privati. Altra idea, orientata soprattutto ai giovani, è la creazione di un fondo per capitalizzare nuove piccole imprese, col fine di stimolare un tessuto di PMI in tempi brevi e con agevolazioni fiscali. Tuttavia persistono i dubbi sulla credibilità del personaggio e sui potenziali conflitti d’interessi con il ruolo che copre, oltre ai pericoli legati a una brusca apertura al mercato globale per un’economia che dipende da Washington.

È doveroso parlare di Cynthia Viteri, esponente del Partito Sociale Cristiano e calamita del pensiero conservatore, ancora molto popolare da queste parti. Cynthia, avvocata, classe 1965, vistoso capello biondo, avrebbe l’occasione più unica che rara di diventare il primo Presidente donna del suo paese. Il suo piano di governo si focalizza negli investimenti stranieri e nella proliferazione di occupazione. Riaffermerebbe una netta indipendenza delle funzioni dello Stato, un predominio della proprietà privata, lo snellimento delle pratiche burocratiche per rendere più competitive le imprese locali e l’accelerazione delle opere pubbliche fondamentali. Non poteva mancare la menzione all’abbassamento generalizzato di tasse, l’inasprimento delle pene per delitti come omicidi, molestie sessuali, sequestri recidivi e maggiori controlli alle frontiere. Tra le altre cose l’offerta di prestiti agevolati per i settori dell’agricoltura e l’allevamento, sui quali L’Ecuador deve puntare per garantire sicurezza alimentare, maggiori esportazioni e sviluppo sostenibile. Nonostante una lunga carriera politica, molti criticano il suo percorso e le tante malefatte insabbiate dal partito che primeggia, che senz’altro minano la sua affidabilità come figura politica.

Paco Moncayo è l’espressione del movimento di Sinistra Democratica, raccolto sotto il partito Acuerdo por el Cambio. Già sindaco di Quito per 8 anni, Moncayo vanta una prolungata carriera nell’esercito, di cui fu generale fino al 1998, anno in cui fu eletto deputato nazionale. Tra gli aspetti più rilevanti della sua proposta: credito a tassi accessibili per i settori che danno maggiore occupazione come le costruzioni, il turismo, il cooperativismo, la piccola e media impresa e relativi incentivi tributari; sradicare il lavoro infantile, assicurare un’eguaglianza salariale tra uomini e donne, valorizzare le distinte espressioni culturali, più inclusione sociale per le persone vulnerabili, migranti e la depenalizzazione dell’aborto. In qualità di alto difensore della patria, aspira a un commercio estero guidato dall’artigianato ecuadoriano, con l’impegno di sostenere soprattutto l’attività produttiva. Le idee sono condivisibili, lo slancio e il riconoscimento popolare molto meno.

Speranze e disillusioni

Tutti sono d’accordo sulla creazione di lavoro, la revisione e diminuzione del regime tributario per rilanciare i consumi e l’attività imprenditoriale, l’attrazione di investimenti stranieri e la diversificazione dell’economia. Tuttavia il futuro presidente dovrà fare i conti con una nazione che nel 2016 è decresciuta economicamente del 1,7%, a causa degli shock esterni che ha affrontato il paese, come la caduta del prezzo del petrolio, la rivalutazione del dollaro, le svalutazioni monetarie di paesi limitrofi e partner commerciali e il terremoto ad Aprile. Ciò ha comportato entrate statali in calo, una disoccupazione in incremento ed una contrazione nelle esportazioni. Con la limitatissima capacità d’indebitamento di cui dispone il paese e le prospettive di stagnazione economica, sarebbe conveniente farsi un bagno di onestà. Ma sappiamo bene che non è cosí che si arriva al ballottaggio. E forse, proprio in quel frangente, si potrebbe attivare la dinamica anti-governo: la gente si unirebbe nel voto contro Moreno, premiando l’esponente in grado di rappresentare la maggior fetta di ecuadoriani.

La realtà è che il popolo ecuadoriano non ha bisogno di essere abbindolato per l’ennesima volta da slogan, sorrisi mascherati, padri e madri di famiglia ipocriti. Non ha bisogno di facili ricette spinte dalle demagogie partitiche tanto compenetrate nei sistemi latini. L’Ecuador ha bisogno di essere re-unificato, dopo anni di scissione sociale e culturale tra correisti e anticorreisti. Il popolo conosce bene le sue priorità. Ha solo una gran paura ad affidarle alla persona sbagliata.

Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.

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