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Dall’URSS di Gorbaciov alla Russia di Putin: 30 anni di mutamenti
Conflitti
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Foto: Marjan Blan da Unsplash.com
Mikhail Gorbaciov, il padre della perestroika è morto. Ricordiamo il suo ruolo politico con questa analisi del 2015.
“Perestrojka” e “glasnost”, ristrutturazione e trasparenza: mai due parole russe avevano inciso così profondamente sull’immaginario collettivo. Trenta anni fa, l’11 marzo 1985, Mikhajl Gorbaciov diveniva il nuovo Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. In pochi mesi avrebbe introdotto, in politica interna, un’inedita riforma dell’economia e dell’apparato sociale dell’URSS, innanzitutto con la privatizzazione di molti settori economici statali e attraverso forme di implementazione della libertà di informazione. Ma non solo. Anche la politica estera sarebbe passata attraverso i due nuovi paletti riorganizzativi: una riduzione del controllo militare e politico sui Paesi dell’Est europeo e l’avvio di un negoziato per il disarmo con gli Stati Uniti sarebbero state le principali azioni adottate. Per dirla con un linguaggio entrato oggi in voga, la salita al potere di Gorbaciov “rottamava” l’Unione Sovietica descritta nei libri di scuola, quella dei kolchoz e del sistema economico centralizzato, e conferiva alcune libertà civili e politiche sino ad allora negate. Il ricambio nei vertici di partito, l’adozione di nuovi sistemi di rappresentanza ed elettorali, il moderato liberismo economico, il riconoscimento delle opposizioni interne si accompagnava alla diffusione delle notizie politiche, economiche, culturali tramite i mezzi d’informazione, e alla garanzia ai cittadini della libertà d’espressione, di critica e di denuncia.
Fu però impossibile per Gorbaciov controllare i processi da lui stesso avviati e individuare i limiti che il sistema poneva alla sua azione riformatrice. Come noto, il sistema politico ed economico crollò nel giro di pochi anni, rivelando tutta la sua fragilità. La guerra fredda giunse, tanto improvvisamente quanto inaspettatamente, alla sua conclusione: con lo smantellamento della “Cortina di ferro” che divideva Est e Ovest, la disintegrazione dell’Urss fu consumata in meno di 2 anni con le dichiarazioni di indipendenza delle ex Repubbliche sovietiche e infine, il 26 dicembre 1991, l’avvicendamento sul Cremlino del tricolore russo alla bandiera sovietica.
Nella memoria storica Gorbaciov resta l’uomo che ha assistito alla disfatta dell’Urss nel confronto bipolare con gli Stati Uniti, innestato alla conclusione delle seconda guerra mondiale. Il politico che ha ceduto la “vittoria” all’unica superpotenza rimasta in piedi, oppure venduto secondo alcuni. Tesi che secondo gli amanti del complotto sarebbe avvalorata dal Premio Nobel per la Pace assegnato a Gorbaciov nel 1990: una sorta di ricompensa dell’Occidente per i suoi “servigi”. Una polemica emersa sin da quei concitati momenti che videro il presidente del Pcus essere messo da parte dal colpo di stato di Eltsin dell’agosto 1991 e che è stata rispolverata di recente da alcuni deputati della Duma. L’esposto alla Procura Generale russa per l’avvio di un’indagine contro Gorbaciov per “azioni criminali”, in sintesi per “tradimento”, che avrebbe condotto alla distruzione dell’Unione Sovietica, non parte da ambienti lontani a Putin e ai suoi più fedeli colleghi del partito Russia Unita.
Oggi Gorbaciov resta l’ultimo leader sovietico ancora in vita. Una memoria ma, come egli stesso si definisce, anche un monito per l’attuale presidente russo, Vladimir Putin. Coi suoi 84 anni, e a 30 anni dalla sua nomina ai vertici del Politburo, Gorbaciov parla apertamente delle responsabilità che Putin gli attribuisce nel crollo dell’Urss, definito da quest’ultimo (e non solo) la peggior catastrofe geopolitica del XX secolo. Un rimprovero che l’ex presidente sovietico si scrolla di dosso, parlando invece di un tradimento nei suoi confronti e proponendo un’ennesima difesa del proprio programma per una nuova URSS. È un Gorbaciov che, a dispetto della facezia con cui commenta l’uso dei metodi autoritari e l’eccessiva sicurezza in se stesso di Putin, ritiene che l’ex capo del KGB “abbia giocato un grande ruolo nella stabilizzazione della situazione dopo Eltsin, quando la sfida era salvare la Russia dalla disintegrazione”. Un politico solido dunque, che ha consentito alla Russia di recuperare al meglio quella che era la posizione dell’Unione Sovietica nel panorama delle relazioni internazionali.
Che Putin sia “da sempre un uomo grintoso, ma perbene” è riportato da un altro testimone di eccezione, seppur di tutt’altro calibro rispetto a Gorbaciov, con cui condivide solo il fatto di aver calcato il palco dell’Ariston al Festival di Sanremo. Albano Carrisi non è di certo né un protagonista né un affidabile interprete della politica internazionale, ma recentemente di ritorno da un tour storico in Russia, all’insegna del riavvicinamento a Romina Power, non manca di condividere con la stampa la sua interpretazione del crollo sovietico, indicando eroi e responsabili del fallimento. E se Putin ha il merito di “aver tirato fuori la Russia da una crisi economica impressionante”, di Gorbaciov è il demerito di aver contribuito con la sua politica a innescare tale recessione.
Una valutazione che riporta alla constatazione dell’incidenza dell’economia negli affari politici. Anche oggi la Russia è attraversata da una forte crisi economica: con il caduta del prezzo del petrolio, il crollo del rublo (che nel 2014 ha perso il 50% del suo valore rispetto al dollaro), la forte inflazione e il ribasso del Pil, a cui si aggiungono le sanzioni occidentali, lo sforzo militare in Ucraina e in altre storiche regioni instabili, come la Cecenia, dove da tempo il terrorismo di matrice islamica è una realtà. Una crisi che mina alla credibilità del presidente russo. È di Gorbaciov la voce che, in questi giorni di comunicati, manifestazioni e inchieste seguiti all’efferato omicidio di Boris Nemtsov, identificato come “l’ultimo oppositore a Putin” e sepolto simbolicamente vicino alla giornalista Anna Politkovskaia, anch’essa tragicamente uccisa, richiama a una riflessione all’insegna del “cui prodest”. Secondo l’ex leader sovietico si tratta chiaramente di un delitto politico che “va nella direzione di una ulteriore complicazione, forse per destabilizzare il Paese e rafforzare l’opposizione”; il dito non andrebbe però puntato contro Putin ma piuttosto verso “una mano esterna al Cremlino e forse anche alla Russia stessa”. Dunque una trama neanche troppo ardita (né innovativa) per mettere ulteriormente in difficoltà Putin in questo momento. Paradossale che a parlare di un complotto dell’occidente sia proprio chi da sempre è accusato di esserne stato una pedina nel grande gioco della disgregazione sovietica.
La perestroika, il crollo del Muro di Berlino, la fine della guerra fredda, il disarmo nucleare, il ritiro dall'Afghanistan: il nome di Mikhail Gorbaciov, spentosi in ospedale all'età di 91 anni dopo una lunga malattia, evoca un'intera epoca di cambiamenti storici conclusasi nel '91 con il crollo dell'Urss, di cui fu l'ultimo presidente prima di cedere il potere al suo rivale Boris Ieltsin. Il suo impegno a favore della pace, della democrazia e dell'ambiente è continuato sino a poco tempo fa, tra conferenze, incontri e critiche aperte alla deriva autoritaria di Putin. Anche se nel 2014 era tornato a difenderlo come paladino degli interessi russi, a partire dall'annessione della Crimea, contro l'imperialismo Usa. Ma chiedendo anche, fino alla fine dei suoi giorni, di evitare il rischio di uno scontro nucleare.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.