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Da Nablus, Michela del Servizio Civile Internazionale
Conflitti
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Nablus. 4 agosto 2004
Purtroppo dopo un po' di tempo vissuto a Nablus, ci si abitua anche riconoscere qualche suono particolare, come i fischi della gente e associarli immediatamente all'arrivo delle jeeps dei soldati in citta'. Come oggi pomeriggio, ma come decine di altre giornate passate qui. E poi le stesse scene, la gente che si affretta ad allontanarsi, i ragazzi che accorrono a vedere e ad esser pronti a tirar le pietre alle jeeps.
Ma ci sono cose a cui mai ci si puo' abituare, come il vedere in una strada che la vita scorre come sempre, normale, negozi aperti, bancarelle nelle strade e gente che chiaccchiera e che fa aquisti. Ma nella parallela, a soli 100 metri, l'inferno: soldati che sparano su chiunque e bambini, giovani e adulti che rischiano la propria vita ad ogni pietra lanciata alle jeeps.
Mi sono accorta di quanto il mio umore finisca per risentirne, ogni volta che mi trovo davanti a queste scene surreali. E' dura far i conti con un inevitabile scoraggiamento, e con la difficolta' di attribuire un senso a tutto cio'.
Mi dico che per loro forse e' 'normale', se vogliono sopravvivere o anche resistere possono affrontare la presenza dei soldati forse solo in questa maniera, tentando di ignorarla. Perche' e' quotidiana, perche' fa parte della loro vita, piu' di qualsiasi altra attivita'. Ma finisco anche col rendermi conto che nulla di tutto cio' e' normale. Non e' umano dover supportare giorno dopo giorno tutto cio'. Come si fa a ritornare alla propria attivita', ai propri affetti, dopo aver appreso che a 100 metri hanno ucciso un altro ragazzo, che, come il piu' delle volte, e' solo colpevole di aver assistito all'irruzione dei soldati?
Oggi dopo gli scontri e dopo aver saputo della morte di un giovane nel centro della citta', siamo andati ad ASkar per organizzar una classe di teatro. Chiacchierando, il direttore del centro con una voce cosi' normale ci dice "si, in effetti ancora non sappiamo, sappiam solo il cognome, o viene da Balata o e' di Askar ed e' il mio vicino di casa." Dopo 3 minuti eravamo gia' a parlare delle nostre attivita'.
E' cosi' difficile per me che sono consapevole di stare qui solo per un certo periodo di tempo. Come fa uno studente ad avere ancora voglia di studiare, o qualsiasi altra abitante di questa citta' ad avere la forza di andare avanti e credere che possa esistere un futuro a Nablus?
Domani ci sara' la commemorazione della morte, avvenuta 40 giorni fa, del professore universitario e di suo figlio uccisi durante un'azione dell'esercito finalizzata alla cattura di due attivisti, i quail anche loro poi sono stati uccisi. La colpa del professore e del figlio e' stata quella di essersi affacciati alla finestra per comunicare ai soldati che la loro porta di casa era stata danneggiata da un missile ed erano impossibilitati a lasciare l'appartamento dopo che il comandante aveva dato l'ordine di evacuazione. Senza esitare, a sangue freddo, i soldati hanno sparato ad entrambi.
Quella notte noi abbiamo assistito a tutta la lunga vicenda, da una collina. Terribile trovarsi di fronte ad una vera e propria notte di guerra, vedere come in un videogioco gli elicotteri sganciare missili sulle case, immaginando, a differenza dei videogiochi, quali terribili ore potessero vivere gli abitanti di quel palazzo e di tutta la zona.
Ma e' normale qui trovarsi immersi in queste situazioni e in questo dolore e poi tornare alle nostre attivita', con i nostril bambini ed i nostri ragazzi che non smettono mai di mostrarci la loro riconoscenza e dirci che il solo pensiero di saperci qui non gli fa abbandonare l'idea che c'e' sempre qualcuno comunque nel mondo spinto da buoni sentimenti. E la nostra speranza ovviamente, al di la' del nostro lavoro e delle nostre attivita' qui, e' che davvero la nostra presenza li aiuti a credere che possa esistere un futuro, e ritrovare la capacita' di sperare e sognare.
Questo nonostante fra meno di due settimane io abbia il mio volo di ritorno per l'Italia. E mi sembri assurdo e difficile dover abbandonare tutte le persone a cui siamo cosi' legati, a questa assurda vita.
Ed anche ora che sto terminando questa mail, il suono di diverse ambulanze fa intendere che probabilmente nel cuore della citta' ci sono di nuovo problemi.
di Michela del Servizio Civile Internazionale