Cipro, crocevia delle tensioni mediterranee

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Da tempo ormai Cipro non è più la dimora di Venere, l’isola crocevia di traffici culturali e commerciali che l’immaginario collettivo sogna essere una meta per vacanze rilassanti. Cipro in realtà è un’isola contesa, divisa tra greci e turchi, entrata nell’Unione Europea mutilata della parte settentrionale (occupata dall’esercito turco) e ora, come i cugini ellenici, colpita da una crisi economica e finanziaria che potrebbe portarla alla bancarotta. In questi ultimi mesi Cipro si è trovata nel mezzo del cambiamento geopolitico che sta investendo non solo il mondo arabo ma anche il posizionamento strategico della Turchia e il ruolo dello Stato di Israele. Non c’è più soltanto l’annosa questione dei rapporti tra i greco-ciprioti e turco-ciprioti che dal 1974 si contendono il controllo dell’isola, tra manifestazioni di piazza, tentativi falliti di mediazione, scontri di confine e toni bellicosi: ora lo scontro sembra essersi alzato di livello per alcune scelte – che eufemisticamente potremmo definire poco distensive – dei due vicini/nemici.

Due esempi. Si è capito senza ombra di dubbio che la Turchia di Erdogan non è più l’avamposto della Nato in medio oriente, il fedele alleato amico di Israele e soprattutto patrocinatore degli interessi americani nell’area. Per troppo tempo l’occidente non si è curato dei continui colpi di Stato militari che impedivano lo sviluppo democratico turco ma erano funzionali al mantenimento di un’alleanza priva di contrasti. Questo rapporto ambiguo è proseguito nel defatigante e inconcludente processo di adesione della Turchia all’Unione Europea: reiterati stop and go della sospettosa quanto incerta dirigenza di Bruxelles, veti dei singoli paesi timorosi di perdere consensi tra cittadini pervasi dal “mamma li turchi!” e miopie culturali hanno dato il pretesto al partito islamico moderato AKP di volgere lo sguardo verso est, in un disegno di lungo periodo etichettato da molti analisti come “neo-ottomano”. E così le positive riforme costituzionali di Erdogan (che hanno tolto potere all’esercito e aumentato l’indipendenza della magistratura) sono offuscate dal tono di certe dichiarazioni muscolari del primo ministro turco, in fondo controproducenti per la sua stessa strategia. Cosa importa alla Turchia che la repubblica di Cipro, con capitale Nicosia, assuma la presidenza dell’Unione Europea nel giugno 2012? Eppure per questo fatto la dirigenza turca ha minacciato la rottura dei rapporti diplomatici con l’Europa. Possono essere soltanto parole provocatorie per smuovere le acque, tuttavia il Vecchio continente non sembra prestare ascolto ai rimbrotti della “Sublime porta” (così era chiamato l’Impero ottomano), anch’essa forse più attenta a prendere la leadership di un mondo arabo ancora in cerca di autore.

Un secondo elemento di tensione riguarda lo sfruttamento greco-cipriota di un tratto di mare considerato da Nicosia (e da quasi tutta la comunità internazionale, in primis dagli Stati Uniti) “zona economica esclusiva”, quindi di pertinenza cipriota, ma ritenuto da Ankara facente parte delle acque internazionali. Una disputa in punta di diritto del mare che non può trovare soluzione in quanto la Turchia non ha sottoscritto la Convenzione UNCLOS che dovrebbe regolare questi contenziosi. Questa zona detta “Aphrodite”, concessa in licenza per 500 milioni di euro l’anno alla multinazionale americana Noble Energy, è situata a soli 12 km da una analoga area di trivellazione israeliana, denominata “Leviathan”: Israele e Cipro, con la benedizione degli USA, hanno concluso un accordo di “spartizione” che ha fatto infuriare Erdogan. Alcuni osservatori dicono che dietro la recente rottura con Tel Aviv ci siano queste tensioni sugli idrocarburi. Ora la Turchia oltre che ventilare l’ipotesi di mandare in quella già turbolenta zona del Mediterraneo aerei e fregate da guerra, minaccia di svolgere ricerche al largo della parte di Cipro occupata, contravvenendo così ad accordi presi anche con l’Europa.

Tuttavia anche la repubblica di Cipro riconosciuta internazionalmente è al centro delle rotte delle armi che giungono, più o meno clandestinamente, in medio oriente. Nel luglio 2011 è scoppiato (verbo da intendere alla lettera) un caso che ha messo in grave crisi il governo di Christofias: nella base navale di Mari un’esplosione ha causato 13 morti e numerosi feriti; si trattava di armi che, secondo quanto riportato dall’Osservatorio dei Balcani, erano state sequestrate due anni fa. “Nel 2009 la nave russa Monchegorsk, battente bandiera cipriota e diretta dall’Iran verso la Siria, venne intercettata dalla corazzata statunitense San Antonio e costretta ad attraccare a Cipro. A bordo della nave viaggiavano 98 container carichi di armi e vari tipi di esplosivi”. Questo piccolo arsenale doveva essere ispezionato dalle Nazioni Unite ma, inspiegabilmente, le autorità cipriote non hanno dato il permesso rinviando sempre per motivazioni poco chiare quasi che bisognasse nascondere qualcosa e che si temessero le reazioni di Siria e di Iran. Dopo la tragedia dell’11 luglio il governo ha cercato di dare spiegazioni e il ministro della difesa si è dovuto dimettere. Insomma, il solito mare torbido che circonda il traffico d’armi, lecito o illecito che sia.

Cipro sta diventando l'emblema dell'incapacità europea di risolvere in maniera definitiva ma innovativa le questioni che la riguardano da più vicino: il Mediterraneo è un mare senza politica, solcato da interessi contrapposti, sicuramente portatori di ulteriore confusione. Eppure l'orizzonte strategico di lungo periodo prevede un'alleanza tra le due sponde, tra le due storie, tra le due civiltà, quella europea e quella araba/turca (a cui si aggiunge Israele). Pena l'aumento dell'instabilità ma anche dell'irrilevanza sullo scenario globale.

Piergiorgio Cattani

 

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