“Ain El Helweh”: capitale della diaspora palestinese

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“Saida”, Sidone, chiamata anche in arabo Arouss al Janoub, “la sposa del sud”, Sidùn della canzone di Fabrizio De Andrè è il volto sunnita del Libano meridionale. Da lungo tempo è un luogo di rifugio per  profughi fuggiti da vari conflitti: durante la guerra civile, quando infuriavano le battaglie nel nord tra il movimento islamico di unificazione e le altre fazioni libanesi filo siriane, la città cominciò ad ospitare un’ulteriore ondata di rifugiati palestinesi in fuga dalla famosa guerra dei campi, guidata dal movimento sciita di Amal nella capitale Beirut e nel sud del Paese, e dagli scontri tra palestinesi stessi, combattenti di Fatah e quelli che supportavano il regime siriano.

A distanza di due chilometri a sud-est della città di Sidone si trova il più grande e popoloso campo profughi palistinese sul territorio libanese: Ain El Helweh, considerato come la capitale della diaspora palestinese e testimone sulla tragedia di un popolo. I primi rifugiati sono arrivati durante la Nakba (catastrofe), aprile-maggio 1948, quando lo Stato di Israele è stato creato dopo la partizione della Palestina dalle Nazioni Unite, il 29 novembre 1947 senza previa consultazione e accordo dei palestinesi. Dopo i ripetuti attacchi israeliani  ai villaggi e le città Palestinesi – soprattutto quelli del nord-, tanti palestinesi sono stati costretti a lasciare il proprio Paese cercando rifugio altrove, nel  Paese limitrofo cioè il Libano. A Sidone il Comitato Internazionale della Croce Rossa aveva fondato uno dei 12 campi per ospitare i profughi. Durante la guerra civile in Libano, molti rifugiati, in particolare dalle vicinanze di Tripoli,  sono stati spostati a Ain El Helweh che è diventato il più grande punto di caduta per profughi in Libano, sia in termini di popolazione o area. La superficie su cui si estende il campo non supera i 2km quadrati, le case sono costruite una sopra l’altra, per risparmiare spazio.

I profughi palestinesi sul territorio libanese sono 270 mila, circa 85 mila vivono nel campo di Ain El Helweh di cui il 60% sono bambini. La maggior parte della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà con un enorme tasso di disoccupazione soprattutto tra i giovani laureati. Vivono in un vero stato di discriminazione e negazione della loro identità, sono privi dai diritti fondamentali per una vita dignitosa. A parte le condizioni difficili all’interno dei campi – come per esempio l’assenza delle infrastrutture, dei servizi igienico-sanitari, di acqua potabile, di elettricità (che va e viene) -  i profughi si trovano davanti ad una realtà ancora più difficile al di fuori dei campi: il Libano infatti vieta loro qualsiasi possibilità di lavorare secondo le proprie competenze, con ben 72 mestieri che i palestinesi non possono esercitare, in particolare per le qualifiche più esigenti (medico ingegnere avvocato giornalista,ecc..).

Non hanno accesso all'istruzione primaria o secondaria nelle scuole libanesi, non hanno praticamente nessun accesso al sistema universitario  perché le tasse di iscrizione richieste sono molto elevate. La gente di Ain-el-Helweh trovano impiego principalmente come lavoratori temporanei nei cantieri, nei campi di agricoltura e laboratori di ricamo, o come personale di pulizia. C'è un numero piuttosto elevato di abbandoni scolastici poiché i ragazzi sono spesso costretti a lasciare la scuola per aiutare le loro famiglie.

L'unico organismo ufficiale responsabile per le esigenze quotidiane dei rifugiati, fornendo posti di lavoro, borse di studio, scuole e ospedali  è l’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione). Agenzia creata dalle Nazioni Unite nel 1949, appositamente e solo per i palestinesi al posto della IRO (Organizzazione Internazionale per i Rifugiati). Le sovvenzioni UNRWA rimangono  molto deboli per risolvere i problemi della disoccupazione e della povertà.

Nonostante quello l’UNRWA è riuscita a restaurare gran parte del campo di Ain El Helweh dopo che è stato parzialmente distrutto durante l’incursione israeliana nel 1982. Ha anche costruito multipiattaforme complessi residenziali per ospitare famiglie sfollate, principalmente dal campo di Nabatieh completamente distrutto da Israele nel 1973. Ora il campo di Ain El Helweh comprende otto scuole e due cliniche oltre a due piccoli ospedali.

Con la guerra in Siria, l’arrivo dei profughi palestinesi e siriani (ricordiamo che nel Paese dei cedri ci sono un milione di profughi su una popolazione di 4 milioni) ha portato al collasso a Ain El Helweh. Circa 1400 famiglie – molte provenienti dal campo di Yarmouk a Damasco – sono venute a cercare rifugio in un  campo già sovrapopolato e privo dei requisiti minimi per una vita dignitosa. Un gran numero di loro continua a vivere ai margini del Campo in condizioni di precarietà e insicurezza.

Il governo libanese da parte sua preferisce mantenere la situazione così come è da anni in tutti i campi profughi sul suo territorio. C’è una paura che la popolazione sunnita palestinese diventi maggioranza, circostanza che può ribaltare le equilibri politici nel Paese: questo è un motivo per cui i profughi trovano tante difficoltà a vivere normalmente in una società che non gli offre la possibilità di integrarsi.

Nel 1950, ci sono stati 800.000 rifugiati che vivono al di fuori della Palestina, sono diventati 5 milioni nel 2005. Oggi, sono quasi 7 milioni. Questa è la popolazione di rifugiati più antica del mondo. La speranza di poter un giorno tornare alla terra che furono costretti ad abbandonare più di 60 anni fa rimane  un filo che unisce i milioni di profughi palestinesi sparsi in tutto il mondo. È in nome di questo sogno e questa speranza che diverse generazioni hanno vissuto, sopportando discriminazioni, violenze e condizioni di vita a volte insopportabili.

Hicham Idar

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