Afgana, Tavola pace e RID: “Convertire la spesa militare in cooperazione civile”

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A dieci anni dalla Conferenza di Bonn in cui si varò la nascita del "nuovo Afghanistan" sotto tutela internazionale, il prossimo 5 dicembre i leader di 90 Paesi si ritroveranno nella città tedesca per la "International Afghanistan Conference". In vista della Conferenza, la rete della società civile italiana “Afgana”, insieme alla Tavola della pace e alla Rete Disarmo (RID) hanno tenuto ieri a Roma una conferenza stampa nella quale hanno presentato la proposta inviata al Parlamento italiano che, una volta avviato il ritiro del contingente militare, sia trasferito il 30% di quanto risparmiato nella spesa militare a investimenti di cooperazione civile. Le associazioni chiedono inoltre che anche le modalità di intervento e di spesa siano concordate in un forum tra il titolare dei fondi civili (il ministero degli Esteri) e la società civile e che il Parlamento si impegni a rendersi garante delle scelte operative che ne emergeranno. Ecco il testo della proposta.

 

IL 30% DEL RISPARMIO DERIVANTE DAL RITIRO DELLE TRUPPE ITALIANE IN AFGHANISTAN IN INVESTIMENTI DI COOPERAZIONE CIVILE

L'appuntamento di Bonn

A dieci anni dalla Conferenza di Bonn che nel 2001 varò la nascita del "nuovo Afghanistan" sotto tutela internazionale, il prossimo 5 dicembre i leader di 90 Paesi si ritroveranno in Germania a fare il punto sui risultati ottenuti in questi due lustri. Il giudizio della società civile italiana ed europea, di recente espresso in un documento comune reso pubblico a metà novembre*, non è lo stesso che presumibilmente verrà enunciato a Bonn, sede nella quale si corre il rischio di far apparire le luci assai più forti delle ombre.

Nell'Afghanistan di oggi, soltanto il settore dell'istruzione ha fatto passi avanti significativi. Sul fronte della sicurezza per gli afgani la situazione è peggiorata, a fronte di un processo negoziale che non sembra procedere e che manca di mediatori credibili (una figura terza tra governo e talebani che sia garanzia di una mediazione autonoma).

Ogni anno il conflitto produce quasi tremila vittime civili (2777 nel 2010 con un aumento del 15% e con 1500 persone uccise nei primi sei mesi del 2011) e la politica dei bombardamenti indiscriminati (altrimenti tradotti come "mirati") sembra ancora essere la scelta preferita da Isaf/Nato, nonostante i ripetuti richiami dello stesso governo Karzai.

Benché sia infatti diminuito l'uso della guerra dall'aria, il numero dei civili uccisi dalle forze pro-governative (esercito afgano e NATO) è diminuito solo del 9% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. E, sebbene le persone che rimangono uccise da azioni ed attentati delle forze anti-governative rappresentino l'80% dei morti, le donne, gli uomini e i bambini uccisi in raid della NATO e in azioni delle forze afgane sono ancora il 14% del totale: i circa 300 raid notturni condotti ogni mese continuano inoltre a seminare paura, distruzione, morte, sfiducia e rabbia nella popolazione.

La situazione

Sul fronte dei diritti di base, l'accesso all'acqua potabile e all'elettricità resta, specie nella campagne, ancora a livelli minimi e la possibilità di accedere a servizi di sanità pubblica, in un Paese che si sta pericolosamente avviando verso la privatizzazione del servizio e che il rapporto sullo Sviluppo umano dell'Onu ha classificato al 147 posto tra i Paesi con le performances peggiori, resta privilegio di pochi (un bambino su cinque continua a morire prima del compimento del quinto anno di età). Quanto alla condizione della donna, sbandierata come uno dei grandi successi assieme alla diffusione dei media e di una nuova indubitabile crescita della coscienza dei propri diritti, meno del 15% delle donne afgane sono alfabetizzate mentre l'87% fra loro è oggetto di diversi tipi di abuso (matrimoni combinati, violenza sessuale etc) tra le pareti domestiche.

Proprio questa condizione del Paese impone dunque un vasto ripensamento del mondo in cui finora sono state utilizzate le risorse impegnate dalla comunità internazionale in Afghanistan. Mediamente il 90% di queste risorse sono andate a sostenere l'intervento militare e solo il 10% (per l'Italia anche meno) è stato impiegato in progetti di cooperazione civile; di questa somma inoltre, oltre un terzo è stato speso per garantire la "sicurezza" al progetto stesso. Infine il completamento del ritiro della forza militare entro il 2014, come Bonn dovrebbe definitivamente sancire, corrisponde alla percezione generale, largamente diffusa tra gli afgani e tra le agenzie umanitarie, che la transizione possa trasformarsi nell'abbandono di un Paese che invece richiede ancora sforzi per la ricostruzione e il rafforzamento delle conquiste sul piano dei diritti umani e sociali.

La nostra proposta

Per questo motivo la rete italiana di Afgana, la Tavola della pace e la Rete Italiana per il Disarmo, chiedono al parlamento italiano che, a partire dall'inizio del ritiro del contingente italiano, per ogni euro risparmiato per le spese della missione militare, 30 centesimi vengano stanziati per interventi di cooperazione civile. Che in sostanza, una volta avviato il ritiro del contingente militare nel 2012, sia trasferito il 30% di quanto risparmiato nella spesa militare a investimenti di cooperazione civile. Chiediamo infine che anche le modalità di intervento e di spesa siano concordate in un forum tra il titolare dei fondi civili (il ministero degli Esteri) e la società civile e che il parlamento si impegni a rendersi garante delle scelte operative che ne emergeranno.

Afgana” - Tavola della pace - Rete italiana per il disarmo

 

Per approfondire si veda il dossier:
Bonn conference: joint position paper of European Ngo's and Civil Society. International Afghanistan Conference, December 2011, Bonn: 
Priorities for Action

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