Dighe: da Myanmar al Senegal minacciano i popoli indigeni

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L'Associazione per i popoli minacciati (APM) teme che fino a 100mila appartenenti ai popoli dei Karen, Shan e Karenni possano essere deportati a cuasa della costruzione di quattro mega dighe sul fiume Salween nel Myanmar orientale (ex Birmania). Il piccolo gruppo etnico degli Yintalai che conta solamente 1.000 appartenenti, rischia anch'esso l'annientamento a causa del megaprogetto, in quanto il suo spazio vitale verrebbe completamente distrutto. 96 villaggi sul fiume Salween sono già stati forzatamente evacuati e distrutti. Le mega dighe dovrebbero garantire fino a 16.000 megawatt che dovrebbero però servire soprattutto a coprire il fabbisogno energetico della Thailandia.

Pechino ha comunicato che il progetto sarà realizzato dall'impresa statale cinese Sinohydro Corporation insieme alla EGAT, impresa energetica tailandese. Sinohydro è anche pesantemente coinvolta nella costruzione della diga di Merowe in Sudan. Il progetto da un miliardo di dollari è il più grande mai siglato dai tre Paesi. I particolari dell'accordo per la serie di dighe e i risultati degli studi effettuati in loco, sono stati dichiarati "confidenziali" dai firmatari; attivisti thailandesi ritengono che questo vada contro la Costituzione nazionale - riporta Asianews.

Poiché i militari ormai da anni eseguono sistematicamente sgomberi e reinsediamenti forzati, tre quarti ormai degli 85 villaggi che esistevano nella zona interessata dalla diga di Weigyi sono stati cancellati dalle cartine. Ancora 28 villaggi dovranno essere sommersi e i relativi abitanti, circa 35.000 persone, saranno deportati. Nell'area dove scorre il fiume Salween per circa 2.400 Km. La presenza militare è drasticamente aumentata.

Inizialmente l'esercito birmano manteneva in quest'area solamente 10 basi: nel frattempo son state create 54 postazioni militari difese con artiglieria pesante. Costretti dai militari i Karen hanno dovuto lavorare forzatamente alla costruzione dell'infrastruttura stradale, che è stata anche assicurata con campi minati. La maggiorparte dei Karen che vivono in questa zona particolarmente adatta alla frutticoltura a causa del terrore dell'esercito sono dovuti fuggire nella vicina Thailandia, dove vivono in campi profughi in condizioni umane drammatiche. Ma circa 5.000 Karen vivono tutt'ora nascosti nelle foreste e vivono come possono senza cibo e senza medicine.

Dal 1948 sia i Karen, in maggioranza cristiani, sia altre nazionalità lottano per avere garantita la promessa autonomia nel Myanmar multietnico. Solamente nella primavera del 2006 con una nuova offensiva militare della giunta di Myanmar è riuscita a cacciare altri 15.000 Karen.

Intanto, la Campagna per la riforma della Banca Mondiale riporta che dopo alcuni anni di maggior cautela, la Banca Mondiale ha ripreso a finanziare a passo spedito i grandi progetti idroelettrici. Sono di questi giorni, infatti, le notizie riguardanti l'approvazione del progetto del West Africa Power Pool (WAPP) (75 milioni di dollari di prestiti concessi a Mauritania, Mali e Senegal) e della quasi certezza del finanziamento per la diga di Basha-Diamer, in Pakistan. Soprattutto quest'ultima opera suscita da tempo numerose perplessità da parte della società civile internazionale e delle organizzazioni che si occupano della corretta gestione dei fiumi e delle risorse idriche.

E va ricordato anche che nel 2005 la Banca Mondiale ha deciso di finanziare in Laos la costruzione della Nam Theun 2, autorizzando un investimento di 1,2 miliardi di dollari americani. Verrà completata nel 2009 e produrrà 1.070 Mw di elettricità: sarà in grado di inondare un'area di 450 km quadrati nell'altipiano Nakai. A causa della nuova diga, oltre allo spostamento dei 6.200 nativi dell'altipiano, altre 100 mila persone - che vivono a valle della diga - subiranno conseguenze: la diga distruggerà infatti le industrie ittiche e renderà impossibile l'irrigazione per i raccolti. Il varo del progetto è molto controverso. La World Bank da anni sostiene soltanto progetti che consentono di diminuire la povertà del paese, garantiscono sicuri vantaggi ai diretti danneggiati e riducono al minimo gli inevitabili danni ambientali. Molte organizzazioni private internazionali temono invece che il progetto distruggerà la vita di queste persone oltre a recare un grave danno all'ambiente. [GB]

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