DePiliamoci (l'ossessione della crescita)

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Nel marzo 1968, tre mesi prima di essere assassinato, Robert Kennedy pronunciava, presso l'Università del Kansas, un discorso rimasto memorabile nel quale evidenziava - tra l'altro - l'inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere degli stati.

«... Il PIL - affermava Kennedy - comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari ... Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta ...».

Da quella lontana primavera sono passati quarantaquattro anni e nel frattempo il mondo è profondamente cambiato, ma quelle parole mantengono intatte la forza di un messaggio profetico. Per la semplice ragione che il PIL è diventato una sorta di ossessione delle economie nazionali, tanto da diventare impropriamente lo strumento di misurazione del benessere collettivo.

Una "dittatura" di cui è bene liberarsi. Eppure sono anni che in diversi ambiti culturali, politici ed anche istituzionali si sperimentano forme di misurazione della qualità del vivere, alternative a quelle degli indicatori tradizionali, dall'Indice di Sviluppo Umanodi UNDP (Nazioni Unite) al Better Life Index di Ocse. Senza dimenticare che quello "che rende la vita veramente degna di essere vissuta" non sempre è misurabile.

Fra questi nuovi strumenti, l'indice Quars che - a differenza di altri indicatori - misura la qualità dello sviluppo nelle Regioni italiane. Fornendo così un quadro che ridisegna il nostro paese a partire dalla qualità dell'ambiente, dell'economia e lavoro, dei diritti e cittadinanza, della salute, dell'istruzione e cultura, delle pari opportunità, della partecipazione. Sette macroindicatori, articolati a loro volta attraverso 41 indicatori specifici, per guardare con occhi diversi un paese che evidenzia profonde distanze da una Regione all'altra. Ponendo il Trentino Alto Adige - Sud Tirolo al primo posto.

Proprio nel presentare nei giorni scorsi a Trento il Rapporto Quars 2011 ci siamo posti l'obiettivo di mettere alla prova ognuno degli indicatori alternativi con altrettante brevi storie del vissuto sociale e culturale. Non uno spot per la nostra terra, che pure siamo orgogliosi di vedere in cima alla classifica, ma lo stimolo a fare meglio. Che poi significa interrogarsi sulla qualità dello sviluppo, sul peso della nostra impronta ecologica, sulla sostenibilità delle scelte che vengono compiute, sulla valorizzazione delle persone e dei territori, sui livelli partecipativi del nostro autogoverno.

Significa, in altre parole, interrogarsi sul limite. Proprio a questo tema è dedicato il percorso annuale del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani . Il titolo che abbiamo scelto per questo itinerario è "Nel limite. La misura del futuro", a testimoniare due aspetti che ci paiono decisivi.

Il primo riguarda la volontà di non considerare quello del limite come un territorio di propaganda, bensì il dispiegarsi di quella contraddizione che splendidamente veniva rappresentata da Andrea Zanzotto nell'epigramma che poi ha dato il là al suo testamento politico: "In questo progresso scorsoio, non so se vengo ingoiato, o se ingoio".

Stare "nel limite" significa accettare di abitare questa contraddizione, facendosene carico allo scopo di farla evolvere in maniera virtuosa, evitando di finire in un vicolo cieco privo di vie d'uscita, dove si vince o si perde, dove la mediazione politica scompare. Prendere atto di essere al secondo posto fra le Regioni italiane nell'indice Quars relativo alla qualità ambientale, ma anche di avere a che fare con situazioni di degrado come quelle di Tremalzo o Marilleva, a cui una cultura senza limite vorrebbe mettere mano riproducendo quello stesso schema di sviluppo che ne ha causato l'insostenibilità.

Il secondo aspetto riguarda il futuro, ovvero la consapevolezza che nel giro di pochi anni saremmo in 9 miliardi di esseri umani sul pianeta e che - se vogliamo dare a tutti una analoga speranza di vita - dovremmo per forza mettere in discussione i nostri livelli di consumo. Se questo non avverrà, sarà la guerra. Una guerra che non avrà bisogno di essere dichiarata, quale esito della "non negoziabilità degli stili di vita" che abbiamo sentito echeggiare anche in queste ore nella campagna elettorale per le presidenziali francesi. O che verrà proposta come un irriducibile "scontro di civiltà", solo per nascondere i ben più materiali meccanismi di esclusione e di inclusione.

"La misura del futuro" sarà quella che ci aiuterà a fare meglio con meno. Penso che la sobrietà di cui oggi molto si parla non debba necessariamente essere pensata come decrescita, associandola alla povertà o alla rinuncia. La sobrietà è uno stile diverso, è la responsabilità nel proprio lavoro, è il non spreco delle risorse in opere faraoniche o nelle spese militari, sono le filiere corte, è la riduzione dei privilegi e dei costi della politica, è la capacità di mettersi in ascolto della natura...

Nel limite, una strada obbligata.

Michele Nardelli, presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. Questo intervento viene pubblicato oggi dal quotidiano "Trentino" come commento in prima pagina.

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