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Colombia: ratificato il Trattato di libero commercio con gli USA
WTO/OMC
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Cinque anni ci sono voluti per passare dalla approvazione alla ratifica del Trattato di Libero Commercio (TLC) tra la Colombia e gli Stati Uniti. Dal novembre del 2006, quando nella città caraibica di Cartagena gli allora presidenti George W. Bush e Alvaro Uribe diedero vita all’accordo, fino al 12 ottobre di quest’anno, data esatta della definitiva ratifica da parte degli attuali presidenti Barack Obama e Juan Manuel Santos. In mezzo, la ferma ostruzione da parte dell’ala democratica del Congresso americano, poco incline a stringere accordi bilaterali di tipo economico-commerciali con un paese nel quale il rispetto dei diritti umani e la lotta al narco-terrorismo presentano basi tutt’altro che solide.
Nei giorni scorsi, sciolte le resistenze, la Camera dei Rappresentanti ed il Senato hanno approvato il testo definitivo, che sancisce il via libera all’entrata in vigore del Trattato. A far pendere l’ago della bilancia in direzione dell’approvazione, l’impegno del Presidente Santos a sviluppare un piano di azione “per proteggere i diritti lavorativi e sindacali riconosciuti a livello internazionale, per prevenire la violenza contro i dirigenti sindacali e per processare gli autori di queste azioni”.
Il TLC é un accordo commerciale bilaterale che gli Stati Uniti hanno firmato con differenti paesi dell’America Latina e del Centro America (ad esempio, Ecuador, Perú, Costa Rica, Nicaragua, Repubblica Dominicana), per l’apertura di nuovi canali di scambio di beni e servizi, l’abbattimento di barriere in entrata/uscita e lo stimolo agli investimenti privati, all’interno di un sistema di regole definito per mutuo accordo tra i paesi coinvolti.
In Colombia, la ratifica del trattato riveste un’importanza particolare, non solo per il travagliato iter che ne ha ritardato l’adozione di cinque anni, ma anche in considerazione della peculiare posizione della Colombia stessa, mercato di grande importanza per gli Stati Uniti nella regione, il terzo dopo Messico e Brasile. La Colombia é il paese con il più elevato tasso di disoccupazione di tutto il continente latino, con un livello di lavoro nero ed informale che sfiora la preoccupante soglia del 60%; la salvaguardia dei diritti dei lavoratori é ad alto rischio, così come la sicurezza personale degli esponenti sindacali.
Se il Presidente Santos ha salutato l’accordo come “una tappa storica nelle relazioni tra Colombia e Stati Uniti, una tappa storica per l’ingresso della Colombia nel sistema economico mondiale, una tappa storica per gli imprenditori e i lavoratori colombiani”, non mancano le voci di dissenso. Attraverso un comunicato ufficiale indirizzato direttamente al Presidente Santos, la Rete Colombiana di Azione di Fronte al Libero Commercio (RECALCA) ha espresso il proprio disappunto e la propria preoccupazione per la recente firma del Trattato. Secondo le organizzazioni che la compongono, realtà quali Acción Campesina Colombiana, Acción Permanente por la Paz, Mesa Mujer y Economia, tra le tante, il Trattato é pura espressione dell’ingerenza statunitense in America Latina. L’accordo rappresenta, secondo la Rete, un passo indietro nell’applicazione di politiche pubbliche di sviluppo e benessere sociale, a favore degli strati più vulnerabili della popolazione colombiana, vista la palese asimmetria tra i due paesi (a vantaggio dell’economia statunitense), all’interno del sistema dei reciproci diritti-obblighi previsti.
Sulla stessa linea di pensiero, la Central Unitaria de Trabajadores (CUT), una delle maggiori sigle sindacali del Paese, secondo la quale settori chiave come quello agricolo subiranno svantaggi enormi, dal momento che negli Stati Uniti i lavoratori agricoli sono sussidiati, mentre in Colombia no. Ciò si rifletterà, nelle parole del Presidente della CUT Tarcisio Mora, in una perdita di competitività e di posti di lavoro. A maggior ragione in un periodo di congiuntura economica globale e di alta volatilità dei prezzi nel comparto agroalimentare.
Di opposta opinione l’Associazione degli Industriali (ANDI), per la quale il TLC aprirà le porte ad una maggior produttività e competitività in ambito agricolo, oltre che uno stimolo a nuove infrastrutture e ad una riforma tributaria che consentirà di contrastare la corruzione e progredire nella lotta alla povertà e alla disuguaglianza.
Da una prospettiva statunitense, per l’ambasciatore in terra colombiana Michael McKinley il TLC sarà il motore del progresso e dell’occupazione in Colombia. Un progresso che sarà presto tangibile non solo in termini commerciali, ma anche finanziari, telecomunicativi e legislativi. Il timore di una sottomissione del mercato colombiano a quello statunitense é, secondo McKinley, ingiustificato, perché l’abbattimento delle barriere consentirà la commercializzazione di prodotti complementari, ovvero che si producono da una parte ma non dall’altra.
Da un ambasciatore ad una congressista, la rappresentante democratica Nancy Pelosi, che ha votato contro la ratifica del TLC, attraverso il suo account Twitter, ha fatto sapere di essere di parere opposto a McKinley: “Il Trattato di Libero Commercio non è giusto nè per i lavoratori colombiani nè per quelli americani”.
Il TLC tra Colombia e Usa si unisce a quelli già in corso tra il Paese latino ed il Canada, la Unione Europea e alcuni Paesi asiatici. Il timore é che la ratifica dell’accordo con gli Stati Uniti (che sempre il 12 ottobre hanno firmato un trattato similare anche con Panama e Corea del Sud), conduca la Colombia alle stesse sorti che toccarono al Messico, dove la approvazione del TLC nel 1994 causò la perdita di un milione e trecentomila posti di lavoro nel settore agroalimentare e zootécnico e la chiusura di trentamila aziende locali, sostituite da imprese nord-americane di più grandi dimensioni.
Andrea Dalla Palma
(Inviato di Unimondo)
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