Libia: il sogno/incubo di Haftar

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Se quello di Khalifa Haftar, ex generale gheddafiano, a lungo in disgrazia, è un colpo di stato, si tratta di un golpe senza Stato. Al tradizionale mosaico di clan e tribù, si unisce la debolezza di un apparato pubblico che controlla aree limitatissime di territorio. L’esercito regolare è lontano dall’essere una forza organizzata ed egemone; la coscienza nazionale non si è mai imposta sui numerosi interessi particolari. Quale significato assume, dunque, il colpo di mano del vecchio ufficiale? è il sogno di un visionario, posto ai margini del nuovo progetto libico? o si tratta di un piano ben più concreto, dietro al quale si agitano altre forze e più ampi obiettivi.

L’uomo. Qualcuno lo ha definito “il ritorno di Haftar” e non c’è dubbio che lo sia. L’anziano generale ha fatto ritorno sulla scena politica libica dopo una lunga assenza: era il 2011, l’anno del crollo (repentino) del regime di Gheddafi. Nel suo passato, l’adesione alla rivoluzione del 1969, guidata dallo stesso Muammar Gheddafi e da un gruppo di giovani ufficiali, di simpatie nasseriane. Poi l’ascesa, fino all’assunzione di un ruolo strategico di primo piano nella guerra col Ciad, che impegnò il Paese dal 1978 al 1987. Un momento importante nella carriera di Haftar, e tuttavia sfortunato, poiché coincise con la cattura da parte dei ciadiani e con il conseguente declino della sua immagine. Seguì l’ira del “Colonnello” ed un ripudio che portò alla sua liberazione non per mani libiche, ma americane. Dunque, la lunga permanenza negli U.S.A, durata fino al ritorno in patria. Una vicenda umana ed una tempistica che dicono molto sui legami politici e sulle possibili “sinergie” del militare.

Gli eventi. Dopo una ripresa di contatto con alcuni uomini chiave del potere libico ed un fallito tentativo di entrare (con un proprio partito) nell’Assemblea Costituente, l’oblio. Fino ad oggi. Ora, l’alto ufficiale sembra volersi proporre come uomo forte del Paese, portando avanti un ambizioso programma di contrasto delle milizie islamiche integraliste. Un programma che viene visto con favore da un certo numero di forze laiche, da settori dell’esercito regolare e da quei cittadini che guardano con sempre minore fiducia alle capacità di reazione delle Istituzioni di Tripoli. Che un simile piano -così come viene presentato- possa riuscire, è dubbio: il contesto politico-militare risulta così frastagliato che non vi sono gruppi in grado di prevalere sugli altri. Almeno allo stato attuale. Tuttavia, un risultato significativo è già stato ottenuto dal Generale: la sorpresa e i timori seguiti all’attacco condotto dai suoi fedelissimi, a danno dell’Assemblea legislativa (il General National Congress), hanno portato il Premier uscente, il dimissionario Ali El-Thani, a richiedere l’annullamento dell’elezione del suo successore, quell’Ahmed Maiteeq considerato troppo vicino alle realtà islamiste.      

Il dietro le quinte. Al di là di questo, l’azione pone in luce un punto fondamentale: la macchina degli interessi internazionali, senza la quale un’operazione di questo tenore non sarebbe stata (con ogni probabilità) concepibile, comincia ad accusare insofferenza per la cronica instabilità della Libia. Paese che rappresenta uno snodo centrale, sulla via degli approvvigionamenti petroliferi. Soprattutto a seguito delle sanzioni imposte all’Iran, in vista delle ambizioni nucleariste degli Ayatollah. L’assenza di un interlocutore unico, il blocco dell’estrazione di greggio dovuto ai conflitti (anche economici) fra i diversi gruppi armati, il mancato controllo sul commercio di armi e sui flussi migratori, cominciano a rappresentare una minaccia concreta, sia per i partner occidentali che per i vicini arabi. Lo testimoniano le molteplici incontri, ufficiali ed ufficiosi, che stanno avendo per oggetto il “caso Libia”.

Gli orizzonti. Occorrerà attendere gli esisti dell’azione per comprendere quali siano le reali finalità e i margini di manovra dell’operazione “Dignità della Libia”, con cui il generale Haftar ha lanciato la sua sfida alle autorità tripoline. Sono due le possibili direzioni che prenderà la vicenda: la prima è una effettiva (e improbabile) emersione di una leadership forte, cosa che in Libia ha sempre coinciso con soluzioni autoritarie; la seconda è una maggiore (e relativa) stabilizzazione del teatro politico, soluzione cui potrebbe mirare il “messaggio” di Haftar e dei suoi alleati, interni ed internazionali. Qualunque sia la forma che prenderanno gli eventi, è forte il sospetto che il sogno di Haftar, di giocare un ruolo centrale nella Libia di domani, converga con gli scopi di non poche cancellerie.

Omar Bellicini

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