Clima: compromesso a Bali, bene l'Europa

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"Grazie allo sforzo congiunto dell'Europa e dei Paesi in via di sviluppo è stato evitato un passo indietro nella lotta ai cambiamenti climatici: gli USA sono stati isolati e costretti a ritrattare le loro posizioni": così Legambiente commenta le conclusioni della Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici UNFCCC) tenutasi a Bali. L'accordo di compromesso trovato per non emarginare del tutto gli Stati Uniti non indica, infatti, nel documento finale l'obiettivo di riduzione dei gas serra dal 20% al 40% entro il 2020 - riporta La Nuova Ecologia che ha dedicato un dossier al Summit di Bali.

Dopo una frenetica maratona notturna, la Conferenza sul clima ha formalmente adottato la "la road map" di Bali: l'accordo prevede che il processo dei negoziati sul seguito da dare al protocollo di Kyoto dovrà iniziare "prima possibile e non più tardi dell'aprile 2008", dal momento che la prima fase del protocollo di Kyoto si esaurirà nel 2012.

"Se il miope ostruzionismo di Washington ha impedito di raggiungere un risultato efficace, si è aperta comunque una nuova prospettiva" - commento Vittorio Cogliati Dezza, ne-presidente nazionale di Legambiente. "Il merito del risultato di Bali va ascritto all'Europa, che si è presentata ai negoziati con la decisione già presa di tagliare unilateralmente le emissioni del 30%, e ai paesi emergenti, come Cina, India e Sud Africa, che hanno capito l'urgenza e l'inderogabilità della riduzione dei gas serra e hanno saputo giocare un ruolo fondamentale nella trattativa". "Dal canto suo, l'Italia oggi è ferma al palo e deve recuperare il distacco dal resto dell'Europa, mettendo in atto una profonda revisione della politica energetica che punti su fonti rinnovabili, efficienza e mobilità alternativa" - conclude il presidente di Legambiente.

L'accordo di Bali assume come punto di riferimento fondamentale l'ultimo rapporto dell'Onu sul cambiamento climatico: implicitamente gli Stati Uniti riconoscono la necessità di un taglio delle emissioni di gas tra il 25 e il 40% rispetto ai livelli del 1990, entro il 2020. I firmatari dell'accordo riconoscono la necessità di finanziamenti dai Paesi ricchi a quelli poveri e in via di sviluppo per metterli in grado di fronteggiare i disastri naturali e gli effetti del riscaldamento globale: il Fondo di adattamento stabilito da Kyoto (oggi di 37 milioni di euro) comincerà a funzionare dal prossimo anno, ma la sfida è arrivare a un fondo di 207 milioni di euro. C'e', inoltre, l'impegno a trasferire tecnologie ai Paesi emergenti perchè questi possano rispondere al cambiamento climatico e per la prima volta saranno concessi aiuti ai Paesi in via di sviluppo per la conservazione e protezione dei boschi e delle giungle. Inoltre, si riconosce la "necessita' urgente" di lavorare per la riduzione delle emissioni di carbonio provenienti dalla deforestazione e che sono responsabili del 20 per cento dei gas. I Paesi si impegnano a raddoppiare le foreste fino ad arrivare a 16 chilotoni trattenuti di biossido di carbonio.

Al termine di due settimane di colloqui è arrivata dunque l'approvazione di una "road map" per adottare un nuovo trattato che succederà a quello di Kyoto, in un incontro che avverrà nel 2009 a Copenhagen. Kyoto vincolava tutti i paesi industriali, con l'eccezione degli Stati Uniti, al taglio delle emissioni di gas serra tra il 2008 e il 2012, mentre i paesi in via di sviluppo non erano coinvolti: il patto che uscirà dai nuovi negoziati dovrebbe essere invece vincolante per tutti i paesi a partire dal 2013. La rotta verso il 2012 è partita quindi con gli schieramenti disposti nel modo prevedibile: l'Europa dovrà fare a meno delle quote, ma ha dimostrato, finalmente coesa, di essere un interlocutore forte e coerente e il tono dimesso del commissario Dimas, che ha evitato proclami spettacolari a favore di un pragmatico basso profilo, ne è la migliore rappresentazione. Gli Usa non manterranno le posizioni attuali anche perché lo scudo offerto da Cina ed India è venuto meno. Il Giappone e la Russia, invece, rivedranno le proprie posizioni appena verrà insediata una nuova amministrazione Usa. [GB]

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