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Il Festival della frugalità
Banca mondiale e Fondo monetario (Fmi)
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Altro che “crescita”. È stata la parola “limite” la più pronunciata al Festival dell’economia di Trento con sorpresa di molti opinionisti e partecipanti. Consumare di più, produrre di più, risparmiare di meno sembra una litania d’altri tempi. Sale piene, invece, per chi indicò, non da ora, meno “spendi e spandi” e più sobrietà.
Iniziò Johan Galtung che prefigurò la caduta della Goldman Sachs, dopo il rovinoso tonfo dei fratelli Lehman che stiamo ancora pagando. I prodotti finanziari stanno inquinando il mercato e saranno guai per l’ultimo anello della catena. “Un’economia buona, proseguì il prof. norvegese, deve rispettare tre principi: diversità, simbiosi ed uguaglianza. Il capitalismo che conosciamo bene è esattamente il contrario”.
L’eco viene da Noreena Hertz, Università di Cambridge, esperta di cooperativismo: “è passata l’epoca in cui si credeva che il mercato si regolasse da solo, come meccanismo capace di garantire uguaglianza, giustizia e libertà. Dopo 30 anni di questo esperimento i paesi sono più diseguali. Italia in testa”. La soluzione in 3 mosse, a suo dire. 1) incentivare gli investimenti a lungo termine sull’emergenza; 2) riconoscere che ove c’è cooperazione c’è maggior resistenza alla crisi; 3) credere in una ripresa al femminile. Ma per cosa?
Per un’economia della sufficienza come ama chiamarla Andrea Segrè – Università di agraria di Bologna. Il promotore della campagna “un anno contro lo spreco“ afferma che vengono sprecate 1.300.000 tonnellate di cibo al giorno che potrebbero dare da mangiare a 3 miliardi di persone bilanciando il miliardo di sottonutriti con il miliardo di ipernutriti (entrambi malnutriti). Economia ed Ecologia hanno la stessa radice. Ma economia significa “gestione della nostra casa” mentre ecologia “gestione della nostra casa più grande”. Come possiamo far stare la casa più grande in quella più piccola? Impossibile. Allora dovremo acquistare solo ciò che ci serve e provare ad affittare, noleggiare, scambiare, o trovare in ottimo stato al mercato dell’usato. Donare ciò che non ci serve più. In fondo donare è l’anagramma di denaro.
Christian Felber propone un altro nome: “l’economia del bene comune” e cita diverse costituzioni ove il “bene comune” è tra i principi fondamentali. Oggi, purtroppo, il successo economico è misurato attraverso il profitto su scala micro ed il Pil sul macro ma il denaro (mezzo e non fine) non riesce a misurare la soddisfazione dei bisogni. “Dobbiamo imparare a vedere attorno a noi. Se vediamo tanta gente felice o tanta gente ricca”. In un’azienda prevale il “bilancio sociale” o quello “finanziario”? Ebbene saranno ben 300 le aziende coinvolte che faranno prossimamente un primo “bilancio del bene comune”. “Queste imprese, rigorosamente verificate da enti indipendenti, conclude il giovane economista, potrebbero avere sconti sull’Iva o esser favorite con un maggior punteggio negli appalti”.
Antonio Tricarico, coordinatore della “campagna per la riforma della banca mondiale“ ci ricorda che il cibo è quotato in Borsa e da 15 anni la finanza è diventata preponderante nel determinare i prezzi. “Prima il mercato dei prodotti agricoli dipendeva da produttori, commercianti e consumatori per il 70% ed il restante 30% era finanza. Oggi è il contrario, con punte speculative sino all’85%”. “L’esplosione dei prezzi alimentari del 2007-2008 ha avuto un impatto diretto su 115 milioni di persone; nel 2010 e 2011 è stata la base di rivolte e cambi di regime soprattutto nel mondo arabo. Il 19% della soia, a titolo di esempio, è in mano a fondi di investimento speculativi”. Per fermare questa deriva serve una tassa come la Tobin tax sostenuta ormai da 22 paesi UE su 27. Invece che con i “derivati finanziari” ci si può coprire anche con i “derivati sociali”, come il pagamento in anticipo ai contadini da parte del commercio equo o la creazione di imprese cooperative come la cooperativa Mandacarù che ha organizzato l’incontro con Tricarico. A tal proposito un dato: “in alcune coop inglesi il 70% dei prodotti sono già del commercio equo e solidale”.
Serge Latouche chiude il Festival “cicli di vita e rapporto tra generazioni” con una battuta di Marx: “perché mai dovremmo occuparci dei posteri se i posteri non si sono mai occupati di noi?” Groucho Marx, of course. Il più famoso “obiettore di coscienza della crescita” vuole rompere il circolo vizioso: “per la crescita bisogna consumare e per consumare necessitiamo di “debito” che, a sua volta crea crisi dei mutui subprime”. “Questa crescita ci porterà alla catastrofe. Basteranno 2 gradi centigradi in più, se ci va bene, che arriveranno 300 milioni di ecoprofughi”. Alla domanda “I nostri figli ci accuseranno?” risponde il filosofo economista francese: “di certo non ci ringrazieranno!” “La società della crescita infinita, del benessere che aumenta senza soluzione per arrivare chissà dove, è una società che non conosce alcun tipo di limite. Siamo tutti responsabili. Le élite politiche ed economiche sono più disponibili a salvare il destino delle banche, invece che quello della banchisa polare”. “I nostri figli – continua - non avranno più alluminio, non avranno più petrolio, non avranno più giacimenti di uranio per far funzionare centrali nucleari a quel punto del tutto inutili.” Come uscirne? “Se vogliamo evitare il collasso – ha concluso Latouche e assicurare alle future generazioni una vita la più armoniosa possibile, la prima cosa da fare è rifiutare l’idea di una società della crescita. Dobbiamo cambiare paradigma e costruire tutti assieme una società della prosperità senza crescita, un consesso umano in cui trionfi l’abbondanza frugale, proprio come disse e testimoniò fino alla morte il Mahatma Gandhi!”
Ma attenzione, afferma Andrea Segrè invitato da Trentino Arcobaleno, “non basta solo far critica, bisogna anche far massa e, quindi, massa critica”.
Vista la vasta partecipazione agli eventi direi che quasi ci siamo. Possiamo esser ottimisti.