Vaticano e “Città proibita”: similitudini e contrasti

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Bianca la nuvola italiana che ha annunciato il nuovo Papa, mentre il governo cinese c’entra con il fumo a causa dell’omonimia tra la sua sede, chiamata Zhongnanhai, e una delle tante marche di sigarette. Non è la fumata che accomuna i due edifici, ma il clima interno ed esterno fatto di chiusura, attesa e mistero: due luoghi dove i cambiamenti storico-politici s’incarnano e incantano l’occhio del mondo osservatore.

Noi Francesco e loro Xi: il 14 marzo Xi Jinping è stato eletto Presidente della Repubblica Popolare Cinese con circa 2955 voti su 2963 deputati. Poche ore dopo aver conosciuto il nostro Papa, gli abitanti della Repubblica Popolare hanno avuto conferma del nome del nuovo “Emerito” cinese.

Mentre le nostre dita dettavano ai tablet cosa la mente suggeriva per descrivere l’emozione del momento, l’eco cinese della notizia di Papa Francesco non ha riempito le pagine di Renren, né tanto meno quelle di Weibo (l’equivalente cinese di Facebook il primo e di Twitter il secondo).

In Cina si dormiva alla fumata bianca, ma non è stato il fuso orario il perfetto complice ad ostacolare la divulgazione del cambio nello Stato dentro la città di Roma. Soltanto piccoli e sporadici input. Le autorità che si sono espresse sono state essenzialmente due: Hua Chunying il portavoce del Ministero degli Esteri, e Antonio Liu Bainin il Presidente onorario e portavoce della Chiesa patriottica cinese.

I commenti sono stati più che altro di buon auspicio per un migliore dialogo futuro, un po’ come il messaggio arrivato quando Ratzinger si era dimesso. Le parole-slogan di Pechino che hanno riempito le casse del palcoscenico mediatico mondiale, sono state quelle di “un atteggiamento pragmatico e flessibile” auspicato e da adottare dal Vaticano nei rapporti fra le parti.

Spiegare gli effetti della notizia del nuovo Papa in Cina soffermandosi su alcune parole dette da autorità cinesi è riduttivo. È invece fondamentale riconoscere che il linguaggio diplomatico, soprattutto nel caso cinese, è spesso il mezzo che utilizziamo per leggere l’altra realtà. Nel caso in questione – ad esempio – l’assenza di quella massa critica dal basso inquilina di social network, non ha donato riflessioni sostanziose per innescare una dialettica informativa, né ufficiale né ufficiosa.

Conclave e Zhongnanhai: due scatole simili per essere luoghi con ingressi numerati, ma incapaci di dialogare per via di profonde differenze culturali, storiche e politiche. La Chiesa e la Cina non hanno rapporti diplomatici da più di sessant’anni. Nel 1951 Mao interruppe qualsiasi tipo di rapporto con la Santa Sede, incoraggiando il Partito Comunista e tutti i fedeli ad adottare questa linea. Nel frattempo Roma riconosceva quello che ancora oggi è l’amico antagonista della Repubblica Popolare Cinese: l’isola di Taiwan. Anche se questa di fatto è una nazione indipendente, sono appena 25 i paesi che la riconoscono tale, e in Europa il Vaticano è l’unico.

La ricerca sembra immancabilmente dirigersi in rapporti dove la diplomazia è l’unica chiave di dialogo e lettura. Il limite, palese ma latente, è l’oppressione al culto che vige in Cina – di cui non si può omettere di parlarne – e dall’altra – senza giustificare comportamenti che personalmente fanno ribollire il sangue –, è bene anche soffermarsi sui confini che limitano l’osservazione ad un solo modo e mondo di vivere la storia e il presente, offrendo visioni e conoscenze solamente parziali.

In Cina i cattolici sono pochi: 4 milioni i dati ufficiali, ossia gli iscritti alla Chiesa Patriottica cinese, circa 12 milioni invece se si contano tutti quei fedeli che gravitano fuori dai recinti politicamente protetti.

L’associazione patriottica è nata nel 1957 e da allora è controllata dal Partito Comunista Cinese. Da questa data si è venuta a formare una “doppia Chiesa”, quella ufficiale da una parte e quella “sotterranea” un po’ ovunque. Non sempre sono completamente scisse, molteplici i casi in cui s’instaurano ponti mettendo in difficoltà sia l’una che l’altra sponda.

La Costituzione (riferimento al testo del 1982, ultimo emendamento del 2004) riconosce il diritto di culto (diritto esistente formalmente dal 1976) e dedica l’art. 36 alla libertà religiosa xinjiao ziyou. Come tutti gli altri però anche questo è da interpretare sulla base e in stretta connessione con i “Principi generali”, che definiscono limiti e/o aperture giuridiche per scandire e mantenere un ritmo, per dirla alla cinese, che sia sempre in armonia con l’ideologia politica in vigore.

Il tema è complesso, come sempre quando dall’Europa ci si inoltra in comprensioni cinesi. L’invito è quello di provare a scostarsi da quelle finestre esposte ai domani di discorsi unicamente diplomatici, o da prospettive immobili, ancorate in indiscutibili radici eurocentriche.

Francesca Bottari

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