Chiesa cattolica e Repubblica popolare cinese: così lontane, così vicine

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Ad uno sguardo disattento non ci potrebbero essere due realtà più contrapposte della Chiesa cattolica e della Cina popolare. Natura, ideologia, metodi e finalità divergono come è lontano l’est dall’ovest, come si distingue il giorno dalla notte. La vittoria del comunismo in Cina ha segnato l’inizio di una persecuzione verso tutte le forme organizzate di religione, siano esse autoctone o “straniere”. Un’ondata di repressione ha coinvolto tutte le comunità cristiane, in particolare quella cattolica presente maggiormente nel paese. Da allora fino ad oggi è stato tutto un susseguirsi di violazioni della libertà religiosa, con sparizioni e incarcerazioni di vescovi, con la creazione di associazioni patriottiche fedeli al regime che hanno costituito gerarchie alternative a quelle ufficiali, e di vani tentativi di ricomposizione, come è recentemente avvenuto per la lettera conciliante che Benedetto XVI ha inviato nel 2007 ai cattolici cinesi.

Lontani sono i tempi della dinastia imperiale Tang quando nel 638 d.C. l’imperatore Taizong, dopo aver fatto tradurre la Bibbia dal siriaco, aveva promulgato un editto di tolleranza religiosa valido per un impero che si estendeva dalle steppe dell’Asia centrale fino alla penisola coreana e che vedeva la sua cosmopolita capitale Chang an popolarsi di ambasciatori e di dignitari di tutto il mondo.

Passati più di 13 secoli, la situazione è completamente diversa. Vero è, tuttavia, che il parallelismo tra religione e ideologia comunista nasce ancora ai tempi di Marx. I comunisti formarono via via una vera e propria “chiesa”, con i suoi dogmi (ateismo, materialismo storico, lotta di classe…), le sue gerarchie (sezioni, partito, comitato centrale), i suoi riti (bandiera, inni propagandistici, ricordi rivoluzionari), i suoi santi (considerati quasi immortali, da Lenin a Mao), le sue eresie combattute secondo uno stile inquisitorio più medievale che moderno, le sue speranze ultra mondane (sole dell’avvenire, società degli uguali).

Il comunismo cinese, se si vuole, ha accentuato questi lineamenti. Sostanzialmente diverso dall’impostazione sovietica, il maoismo, ma soprattutto la Cina contemporanea, aperta al capitalismo, fa della gerarchia e del centralismo democratico il cardine di qualsiasi politica e di qualsiasi idea di società. Retaggio molto antico, risalente ai tempi di Confucio, quello di considerare l’armonioso equilibrio gerarchico tra le relazioni (sovrano-suddito, padre-figlio…) e l’adempimento dei doveri insiti nella posizione familiare, sociale e politica, le virtù necessarie per essere un uomo autentico e per essere un degno reggitore dello Stato.

La libertà individuale – forse il bene più prezioso e desiderato dalla sensibilità occidentale – è un aspetto secondario se rapportato all’obbiettivo di preservare l’armonia del gruppo. All’interno di esso ci potranno essere le più accese discussioni (seppur con i modi cerimoniosi tipici dei cinesi), ci si potrà dividere ma alla fine la decisione dovrà essere presa all’unanimità e non potrà più essere criticata. La trasparenza, il dissenso, il controllo esterno – da parte dell’opinione pubblica oppure di agenzie istituzionali – sono sacrificati sull’altare dell’interesse generale e del progresso del paese.

A ciò si aggiungono tutti gli eccessi dell’autoritarismo politico. Censura, coercizione, arresti indiscriminati, sospensione dello stato di diritto. Clima generale di paura superato solamente da una crescita economica e di benessere che paiono inarrestabili. Eppure anche nella Cina popolare ci sono canali per la discussione, c’è una forte selezione interna ed esiste un ricambio di classe dirigente ai vertici dello Stato, invidiabile da qualsiasi democrazia. Come cercare di comprendere almeno un poco questo meccanismo? Sembrerà provocatorio ma il parallelismo con la Chiesa cattolica è possibile e istruttivo.

A differenza dei totalitarismi europei novecenteschi, in Cina non è obbligatorio iscriversi al Partito comunista. Lo fa chi vuole fare politica e, ovviamente, chi vuole fare carriera magari nell’esercito o in qualche azienda o istituzione pubblica. L’avanzamento nel partito avviene per cooptazione dei quadri superiori: il livello di grado superiore sceglie e premia quanti, di grado inferiore, sono giudicati degni o capaci. Per intenderci i vescovi, nella tradizione cattolica, non vengono eletti da almeno dieci secoli ma nominati dal Papa. Il quale in teoria è sovrano assoluto ma che in pratica deve rispondere responsabilmente ai vari meccanismi della Curia romana, spesso oscuri, sicuramente non conosciuti né modificabili dai semplici fedeli. Fin quando le vocazioni sacerdotali erano numerose e la possibilità di scelta ampia, vescovi e cardinali erano personalità di elevatissima caratura, grandi intellettuali, ora invece che la massa critica sta diminuendo è più difficile trovare uomini di valore su cui investire.

In Cina non ci sono di questi problemi, vista la popolazione di un miliardo e trecento milioni di individui. Gli iscritti al partito si aggirano intorno agli ottanta milioni. Si capisce allora perché ai vertici del partito e dello Stato ci siano ingegneri, tecnici, calligrafi e intellettuali certo di regime, comunque ben preparati. Ai livelli più alti il modo in cui si giunge a prendere le decisioni che contano e i criteri per la scelta delle cariche sono quanto mai misteriosi. Il Comitato permanente del politburo del PCC, l’organo più importante composto da 5 a 9 membri, agisce secondo logiche difficili da individuare ma probabilmente se un consenso unanime non si raggiunge, si voterà a maggioranza. Persino il Papa viene eletto “democraticamente” dal conclave. E una cosa del genere deve essere accaduta per la scelta di Xi Jinping che sarà il prossimo presidente della Repubblica popolare cinese.

C’è un ultimo punto da sottolineare. La Chiesa, che per fortuna ha rigettato qualsiasi tipo di violenza (non da molto tempo però) non è una democrazia, questo è chiaro. Però non vuole essere democrazia. Si basa su altri presupposti. Dal punto di vista prettamente sociologico si può dire che la Chiesa cattolica sopravvive ancora perché possiede il cemento “ideologico” unificante che è la fede. Le religioni dunque hanno una configurazione ideale ben definita che permette loro di superare molte asperità della storia, di aprirsi al futuro, di rinnovarsi, di durare per millenni.

La “chiesa” comunista cinese, dissolto il mito di Mao, sta cercando un nuovo collante ideologico per poter sopravvivere. Bisogna però trovare qualcosa di fortissimo che attizzi l’orgoglio, che alimenti i sogni, che giustifichi l’assenza di libertà, che fondi la dottrina del nuovo impero. Questa ideologia si chiama oggi nazionalismo. Per ora economico, poi si vedrà. Basterà per tenere in piedi la Repubblica popolare?

Piergiorgio Cattani

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