Kosovo: "tensione chiama tensione". Un’intervista

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Pristina - Foto: Besart Ademi da Unsplash.com

KOSOVO – In seguito alle proteste di fine maggio, abbiamo chiesto a Ilir Beqiraj di raccontarci come la popolazione del Kosovo – in particolare la maggioranza di etnia albanese – stia vivendo l’escalation della tensione nel Paese.

Classe 1982, Ilir Beqiraj è nato e cresciuto a Peja, una piccola città del Kosovo occidentale. Laureato in psicologia, dopo la fine della guerra si è impegnato in diversi progetti e iniziative proposte da Ong italiane, riguardanti l’integrazione delle comunità, l’elaborazione del conflitto, lo sviluppo locale e il turismo sostenibile. Per quasi 10 anni, ha lavorato nell’ambito della cooperazione allo sviluppo italiana, e per progetti della cooperazione trentina in particolare. Attualmente, lavora come traduttore di italiano freelance.

MD: Come si è arrivati a questa situazione? 

IB: Qualche mese prima degli scontri, la tensione era già salita nella zona del nord del Kosovo, dovuta al fatto che il governo del Kosovo si è dimostrato determinato ad espandere il rispetto della legge nei tre municipi al nord, dove la maggioranza degli abitanti è di etnia serba.

 

L’anno scorso c’era stata la vicenda delle targhe serbe: le targhe serbe (recanti i nomi delle città del Kosovo ndr), sono diventate illegali perché, a scadenza di un accordo del 2011, dovevano essere sostituite dalle normali targhe del Kosovo RKS (Repubblica del Kosovo ndr).

La tensione è cresciuta in seguito alla pressione che la Serbia ha fatto sui cittadini serbi di Kosovo a causa delle sanzioni che la polizia del Kosovo applicava a coloro che non avevano sostituito le targhe. Belgrado ha spinto i cittadini serbi del Kosovo a lasciare le istituzioni (le municipalità, i tribunali e la stessa polizia).

Prima ancora che si arrivasse all’accordo di marzo – che però Vučić, il presidente serbo, non ha voluto firmare –, i serbi di Kosovo avevano “abbandonato” le istituzioni in maniera organizzata. Il primo atto dimostrativo erano state le dimissioni di circa 500 poliziotti serbi, con la riconsegna delle loro divise. Queste dimissioni avevano lasciato uno “spazio vuoto” in termini di sicurezza al nord del Paese. 

Insomma, tensione chiama tensione, e così siamo arrivati alla situazione che abbiamo visto, culminata con le proteste violente e il ferimento dei soldati della KFOR, ma anche con l’arresto di due poliziotti kosovari da parte serba. La Serbia dice che quei poliziotti sarebbero entrati nel suo territorio, ma questo è parso poco probabile. 

Invece, quello che a me, cittadino kosovaro, ha fatto molta impressione – e che ritengo sia ingiusto – è stata la reazione della comunità internazionale nei confronti delle istituzioni kosovare: abbiamo l’impressione che la comunità internazionale stia “accarezzando” la Serbia per farla uscire dall’orbita russa. Però, di conseguenza, il prezzo maggiore lo sta pagando il Kosovo.

Infatti, la comunità internazionale non sta facendo pressione sulla Serbia, cioè sulla parte che alimenta la tensione e gli scontri e che è anche quella più potente. Fa pressione sul Kosovo, che è in una posizione di maggiore debolezza.

I richiami al Kosovo di abbassare la tensione mi sembrano poco sensati in una situazione in cui è stata la Serbia ad alimentare alcuni gruppi che hanno attaccato violentemente le forze della polizia e la KFOR. 

C’è da aggiungere che, nei giorni successivi a questo episodio, sono stati aggrediti anche i giornalisti kosovari presenti al nord, che stavano coprendo gli eventi delle ultime settimane. 

MD: Quando parla di “pressione esercitata sui serbi di Kosovo” dalla Serbia, cosa intende?

IB: L’accordo stipulato nel 2013 a Bruxelles tra Kosovo e Serbia prevede un’Associazione o comunità dei comuni a maggioranza serba. L’accordo era stato firmato, ma era anche stato scritto in modo ambiguo, interpretabile.

Uno dei punti dell’accordo prevedeva che quest’Associazione dei comuni, una volta creata, dovesse essere vagliata dalla Corte costituzionale del Kosovo.

La Corte avrebbe dovuto valutarne la costituzionalità. 

Nel 2013, il partito oggi al potere, Vetëvendosje!, era all’opposizione. Vetëvendosje aveva mandato quell’accordo alla Corte, la quale aveva stabilito che alcune parti del testo non erano nello spirito della costituzione. La Corte raccomandava il governo del Kosovo di modificarne 18 articoli. Ma l’accordo non venne annullato del tutto.

D’altra parte, la Serbia si oppose al fatto che l’Associazione dei comuni dovesse essere giudicata dalla Corte costituzionale del Kosovo. 

Da quel momento, le forze politiche kosovare si sono fortemente opposte alla creazione di questa Associazione. L’Associazione – guardando alla Republika Srpska in Bosnia Erzegovina – è vista come un meccanismo di blocco dello stato di diritto, che potrebbe impedire lo sviluppo del Kosovo e il funzionamento normale dello Stato.

D’altra parte, questo accordo prevedeva che i serbi potessero integrarsi nelle istituzioni del Kosovo (nella polizia, nei tribunali, etc.) e – informalmente – potessero essere rappresentati da un partito politico, la Lista Srpska.

Prima di questo accordo, i serbi avevano posizioni politiche eterogenee. Mentre ora, con questa realtà del partito unico sotto dettatura di Belgrado, gli interessi rappresentati sono quelli di Belgrado, anziché quelli dei cittadini serbi di Kosovo.

Da quel momento, la comunità serba di Kosovo ha avuto un’unica voce, imposta da Belgrado.

MD: Quindi i serbi non sarebbero veramente rappresentati?

IB: Ci sono voci diverse tra i serbi del Kosovo, soprattutto quelli che vivono in zone diverse dal nord. Tanti non sono d’accordo con le politiche della Lista Srpska e non si sentono rappresentati o, almeno, non si sentono sufficientemente rappresentati.

Quasi ogni giorno leggo giornali o siti d’informazione serbi e leggo opinioni in disaccordo con la Lista Srpska. Perché, in fin dei conti, la linea è dettata dal Presidente (serbo) Vučić, per mettere fuori scena i “poco sottomessi” serbi del Kosovo che non sono d’accordo con lui. Perciò, quelli che fra loro si oppongono alla voce ufficiale di Belgrado vengono un po’ emarginati, messi da parte.

E questo si percepisce: in alcuni casi, i serbi che la pensano diversamente non vengono solo messi da parte, ma addirittura considerati “traditori”. 

MD: La comunità internazionale ha criticato l’atteggiamento del premier Kurti. Non ritiene che la “determinazione” dimostrata dal primo ministro sia poco utile al Kosovo in termini di opportunità politica?

IB: Anche una parte della popolazione ha dei dubbi riguardo la legittimità delle elezioni. C’è da dire che ai serbi era stato dato un periodo di due settimane di campagna elettorale, poi prolungato di cinque giorni.

Comunque, i serbi hanno deciso di boicottare queste elezioni.

Invece, i partiti politici albanesi – che sono in netta minoranza al nord – hanno partecipato alla gara elettorale e, ovviamente, sono stati eletti dai pochi votanti.

Queste elezioni sono state riconosciute legali dagli Stati Uniti e da gran parte della comunità internazionale. Ovviamente, però, è emersa la questione della legittimità. È logico che una persona eletta con meno del 4% dei voti non possa essere considerata legittimamente scelta, sebbene lo sia legalmente. Nel momento in cui il premier ha deciso di procedere, si sono scatenate le proteste e la violenza.

Però la violenza non è giustificata; inoltre, pare sia stata causata anche da “bande” infiltrate da Belgrado e non solo da manifestanti serbi di Kosovo.

La tensione è stata esacerbata dalla decisione dei sindaci albanesi eletti di insediarsi fisicamente negli edifici delle municipalità, mentre avrebbero potuto lavorare senza insediarsi.

Gli Stati Uniti, infatti, hanno insistito che i sindaci non dovessero lavorare per forza in quegli edifici: la loro presenza ha dato un motivo in più per la contestazione. 

Personalmente, non condivido la decisione di Kurti di andare avanti sulle elezioni dei sindaci albanesi, però non credo che questo dia il diritto ai manifestanti serbi di usare violenza, aggredire la polizia, la KFOR o i giornalisti. 

Inoltre, trovo che questa vicenda abbia dimostrato la mancanza di volontà della Serbia di collaborare nell’integrazione dei serbi di Kosovo nelle istituzioni kosovare.

Anche se pubblicamente non viene ammesso, i serbi sono consapevoli di vivere in uno Stato diverso da quello serbo. Loro non accettano che sia un sindaco di un’altra etnia a decidere dell’amministrazione della loro città. 

E credo sia interessante aggiungere che i serbi di Kosovo sono legati a Belgrado, anche perché Belgrado, sostanzialmente, li paga. Intendo dire che laddove vive una comunità di serbi in Kosovo, il sistema educativo e quello sanitario e sociale vengono finanziati e gestiti da “organi provvisori” illegali, dipendenti dalla Serbia.

Invece, il Kosovo gestisce la parte amministrativa, i servizi pubblici, le municipalità.

Quindi, molti dipendenti pubblici come gli insegnanti, i medici, i professori universitari, etc., sono stipendiati dalla Serbia. Per questo motivo, i serbi di Kosovo sono vincolati a Belgrado, che spesso li strumentalizza.

I serbi di Kosovo vengono strumentalizzati anche in modo organizzato: ad esempio, in occasione dell’ultima manifestazione di Vučić a Belgrado, i serbi del Kosovo sono stati trasportati con delle corriere – in modo organizzato – a manifestare il loro sostegno al presidente (si trattava di una contromanifestazione organizzata dal premier serbo in risposta alle manifestazioni contro la violenza tenutesi in seguito alle due stragi nelle scuole di inizio maggio).

Nei giorni della contro-protesta organizzata da Vučić, al nord del Kosovo era difficile poter lavorare: le scuole, ad esempio, erano state chiuse.

Questo episodio non è il primo che succede: anche durante la campagna elettorale del presidente serbo era stata organizzata una cosa simile.

Quindi ad oggi, al nord del Kosovo, c’è un sorta di doppia sovranità e i serbi kosovari sono vincolati da Belgrado. Credo che storicamente i serbi del Kosovo siano stati manipolati dalla Serbia, ma in questi ultimi dieci anni, con Vučić al potere, la situazione è molto peggiorata. 

Non sto dicendo che quelli che hanno attaccato la polizia e la KFOR siano direttamente comandati da Vučić, ma che queste persone seguano la sua linea politica. E di sicuro, la politica di Vučić non è una politica di riconciliazione e di dialogo, ma di rifiuto, di diffidenza, di opposizione a prescindere. 

MD: Crede che esternazioni fatte dal premier Albin Kurti in passato, ad esempio sull’unione con l’Albania, siano dannose per la stabilità del Kosovo?

IB: Da quando è nato, nel programma di Vetëvendosje (il partito di Kurti) c’è l’unione con l’Albania. Ma c’è anche da dire che lo stesso Albin Kurti negli anni è molto cambiato rispetto ai propositi di partenza.

La stessa popolazione albanese del Kosovo – anche se gli ultimi sondaggi rivelano che più del 70% sarebbe favorevole all’unione con l’Albania – è consapevole che questa opzione non è un obiettivo realistico. Innanzitutto perché il Kosovo in questo momento ha altre priorità. Tutti noi sappiamo che il Kosovo non è ancora uno stato “a pieni diritti” sul piano internazionale. Per cui, l’obiettivo, anche a lungo termine, è quello del consolidamento come Stato democratico, in cui nessuno si senta escluso o discriminato, compresi i cittadini di etnia serba.

Al di là dell’immagine internazionale, è prima di tutto interesse dello stesso Stato kosovaro che tutti i cittadini siano e si sentano integrati.

Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.

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