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Del Colle: razzismo, argomento difficile da trattare in Italia
Religione
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Riportiamo di seguito l'intervento scritto di Beppe Del Colle, tenuto mercoledì scorso a Trento dal titolo 'Come sarebbe la nostra terra senza immigrati?' nel quale il giornalista di 'Famiglia Cristiana' ripercorre le tappe della polemica sugli editoriali del settimanale cattolico a commento del 'pacchetto sicurezza' proposto dal Governo. Ringraziamo l'autore per la gentile autorizzazione.
Tutto è cominciato per 'Famiglia Cristiana' con il numero 27 dell'anno 2008, in data 27 luglio, e con il "Primo Piano", la rubrica con cui si apre ogni settimana quella rivista: un appuntamento abituale, anonimo e dunque da attribuire direttamente alla direzione oggi condivisa fra due sacerdoti paolini, don Antonio Sciortino, direttore, e don Giusto Truglia, condirettore.
Quel "Primo Piano" recava questo titolo: "Prima però le impronte dei parlamentari e dei figli", preceduto dall'occhiello: "Silenzio assordante contro l'indecente proposta di Maroni" (cioè il ministro dell'Interno).
Quell'aggettivo, "indecente", ha fatto scoppiare il caso. Un caso di cui si è parlato a lungo per tutta la scorsa estate ed ha fatto arrivare alla rivista della Pia Società San Paolo, il più diffuso settimanale italiano, una pioggia di articoli, editoriali, interviste su giornali, tv e radio, più migliaia di lettere, di telefonate, di e-mail, non esagero, da tutto il mondo (ne ho ricevuta una io personalmente dall'Australia, dove un amico mi aveva visto mentre una mia intervista veniva diffusa da Rai International).
Di questo caso parliamo qui stasera, con una precisazione rispetto a quanto ho appena detto: quella enorme massa di interventi, pubblici e privati, di politici, opinionisti, semplici cittadini, ma anche sacerdoti, religiosi e religiose, ha espresso in buona maggioranza una piena, cordiale, spesso affettuosa approvazione, l'incoraggiamento ad andare avanti con la critica libera, non faziosa ma democratica, alle decisioni dei governi di qualunque colore, così come era stato fatto ad esempio con quello precedente di Romano Prodi, in più occasioni.
Qualcosa di simile era del resto stato fatto poco prima, nel numero del 15 giugno, non nei confronti del governo ma del maggior partito di opposizione, il Partito democratico, e in particolare il suo segretario Veltroni, accusato di tenere i cattolici in secondo piano per favorire i radicali, con i quali del resto aveva confezionato prima delle elezioni quel "pasticcio veltroniano in salsa pannelliana" che la stessa Famiglia Cristiana aveva denunciato il 2 marzo senza tuttavia sollevare troppi scandali, benché il giorno dopo il voto non si potesse dire che non era stata profetica: l'80 per cento dei voti dei cattolici praticanti e impegnati in politica era andato a Berlusconi.
Non erano mancate, in quelle due occasioni, risposte polemiche in ambito politico, compresi i cattolici del Partito democratico che potevano sentirsi in imbarazzo venendo giudicati ininfluenti nella formazione parlamentare in cui erano confluiti, ma in quelle voci non c'era nulla di paragonabile con le reazioni suscitate dalla critica alle impronte digitali da prendere ai bambini rom. In quest'ultimo caso molti messaggi contrari, sia di lettori della rivista, sia di persone che non la leggono mai, come alcuni articoli di giornali del centrodestra, ci hanno dolorosamente colpito, non perché esprimevano opinioni diverse dalle nostre, e anche opposte - il che era perfettamente naturale in un Paese democratico - ma per il tono, il linguaggio, la durezza delle offese, l'augurio di malanni. Su tutto, dominava l'accusa di "cattocomunismo", che mai ci saremmo aspettati con il nostro passato.
Alcuni personaggi autorevoli, come un sottosegretario del Governo, cattolico, e un vescovo lombardo, hanno addirittura suggerito che i parroci non consentano più la distribuzione di 'Famiglia Cristiana' nelle chiese. Il clamore è stato tale che la Sala Stampa vaticana ha dovuto intervenire, per bocca del suo direttore padre Lombardi, per avvertire che comunque la rivista paolina, pur essendo "una testata importante della realtà cattolica, non ha titolo per esprimere la linea né della Santa Sede né della Cei", e che "le sue posizioni sono responsabilità esclusiva della direzione". Cosa che si è sempre saputa e che non ci siamo mai sognati di mettere in dubbio.
Lungo i mesi di agosto, settembre e ottobre, prima che lo tsunami finanziario obbligasse tutti - politici, giornali, cittadini di ogni tendenza politica e stato sociale- a occuparsi di un fenomeno che non aveva e non ha nessun contenuto ideologico, ma ci tocca personalmente tutti fin nel profondo, è infuriata una polemica fondata sostanzialmente sul concetto di razzismo.
E poi, come per inevitabile ma non del tutto illogica conseguenza, sul possibile ritorno del fascismo, sia pure "sotto altre forme" rispetto al passato Ventennio. Così si esprimeva "Esprit" in una conversazione fra suoi collaboratori pubblicata nel numero di agosto che io citavo brevemente su 'Famiglia Cristiana', aprendo in tal modo, del tutto involontariamente, un'altra polemica. Questa sì senza molto senso, come del resto doveva dimostrare una tavola rotonda organizzata da 'Micromega' in cui assieme a me hanno discusso, senza logicamente arrivare a nessuna conclusione concreta, Walter Veltroni, Pancho Pardi, Ferruccio De Bortoli e il direttore di quella rivista, Flores d'Arcais.
Ci sono vari fenomeni politici, come l'autoritarismo, il populismo, il decisionismo dei governi spinto fino alla riduzione dei Parlamenti all'irrilevanza, ai quali si può dare disinvoltamente e genericamente il nome di fascismo, ma il fascismo come lo abbiamo storicamente conosciuto, non solo in Italia, non è pronosticabile nel mondo di oggi.
Il razzismo è invece un argomento difficile da trattare in un Paese come l'Italia, che non lo ha mai toccato direttamente con mano nella sua complessità, ma che quando lo ha messo in pratica lo ha fatto lontano, avvolto nei segreti di Stato, come durante i pochi anni del nostro impero in Africa orientale, quando una direttiva del Governo impose ai militari, agli imprenditori, agli amministratori italiani di quel territorio di non intrecciare relazioni con donne indigene e non dar vita a bambini "meticci": un ordine non sempre rispettato, ma ufficialmente valido, che derivava concettualmente da un convincimento, che la razza indigena fosse inferiore.
Così come, nei medesimi anni, l'antisemitismo - che c'era sempre stato, sia pure più riferito alla religione che alla razza - prendeva anche in Italia un carattere politico, con le leggi discriminatrici dei cittadini ebrei, anche se molto meno drastiche e omicide di quelle adottate in Germania dal nazismo.
Il fatto è che per la prima volta l'Italia ha che fare con un fenomeno opposto a quello che negli ultimi cent'anni ha caratterizzato in varia misura la sua società: l'immigrazione al posto dell'emigrazione. Oggi ci sono in Italia intorno ai quattro milioni di stranieri (a maggio-giugno la rivista "Servizio migrantes" della Fondazione Migrantes riferiva che al 31 dicembre erano esattamente 3.690.000).
Secondo un calcolo della Caritas il novanta per cento di loro sono o sono stati per un certo periodo della loro vita dei clandestini. Una condizione che li espone per periodi più o meno lunghi, e magari stabilmente, a trattamenti da razza inferiore: lavoro incerto, precario, in nero, senza protezione o assicurazione; affitti carissimi a vantaggio di speculatori italiani, proprietari di alloggi spesso fatiscenti, da condividere con molti compagni e connazionali; estrema difficoltà opposta sia alla concessione del permesso di soggiorno che al cosiddetto ricongiungimento famigliare, che pure dal punto di vista semplicemente umano aiuterebbe molto la loro così difficile integrazione. Le domande di regolarizzazione presentate dopo l'ultimo decreto flussi del 2007 erano 740.000, finora ne sono state esaminate 170.000, di cui solo 76.869 sono state accolte.
Questa umiliante condizione di vita è la prima, evidente spiegazione di certi comportamenti che prima o poi sfociano in infrazioni più o meno gravi delle leggi. Come tutti sappiamo, e non è dunque il caso di parlarne troppo, i settori di malaffare in cui l'immigrato extracomunitario è più facilmente arruolabile sono lo spaccio di droga e lo sfruttamento della prostituzione. Così come il nomadismo è la condizione sociale più esposta all'esercizio dei furti nelle case o per le strade.
'Famiglia Cristiana' è proprio partita da qui, dall'analisi e dal giudizio sul modo in cui i nomadi, in particolare i bambini "rom", sono stati oggetto di una specifica attenzione da parte del Governo: la schedatura attraverso il prelievo delle impronte digitali, la misura che é stata definita "indecente" facente parte di un cosiddetto "pacchetto sicurezza" deciso nella seconda metà di giugno.
Il ragionamento esposto in quel "Primo Piano" era molto semplice, lo cito testualmente: "La schedatura di un bambino rom, che non ha commesso nessun reato, viola la dignità umana. Così come la proposta di togliere la patria potestà ai genitori rom è una forzatura del diritto: nessun Tribunale dei minori la toglierà solo per la povertà e le difficili condizioni di vita. E' giusto -continuava l'articolo- reprimere, con forza, chi nei campi nomadi delinque, ma le misure di Maroni non servono a combattere l'accattonaggio (che non è un reato)".
In quello stesso numero di 'Famiglia Cristiana' nel mio editoriale si leggeva questa frase: "Il ministro Maroni propone le impronte digitali per tutti i bambini rom, come se fossero milioni e tutti girassero per le nostre strade chiedendo l'elemosina; ma quell'impronta significherà per ognuno di quei piccoli l'iscrizione in un registro di probabili futuri criminali; e questo si chiama razzismo. Il ministro non ci pensa, così come trascura il fatto che, partendo dal medesimo rifiuto dell'altro, i nazisti giunsero a sterminare nei loro lager mezzo milione di zingari". Come si può capire facilmente, si tratta di obiezioni che discendono da una cultura che comprende in sé, fondamentalmente, due istanze: quella evangelica e quella del diritto comune, che si fondano entrambe sul non rifiuto dell'altro, del prossimo, e in sostanza sul rispetto della persona umana.
In particolare, si mette l'accento su un fatto specifico: sulla decisione di prendere le impronte digitali di un solo gruppo etnico-sociale, i nomadi conosciuti sotto il nome di rom, fra le decine di comunità straniere immigrate, comunitarie (come i romeni) o extracomunitarie; e, fatto più notevole ancora, quella norma si deve applicare anche ai bambini delle famiglie rom che abitano nei campi nomadi nelle periferie delle maggiori città.
'Famiglia Cristiana' sottolinea il fatto che una misura del genere non è mai stata presa da nessuno dei Governi italiani, quasi tutti a guida democristiana fino a una quindicina di anni fa. Ci si obietta che una volta, una sola volta, è stata presa una decisione analoga, quando nell'immediato dopoguerra si decise di rilevare le impronte digitali a tutti i cittadini italiani che erano stati costretti ad abbandonare con la forza le loro case sulla costa dalmata, passata sotto la sovranità della Jugoslavia comunista.
La motivazione di allora era grave e ragionevole: si temeva che fra loro potessero essersi inseriti individui esposti a tentazioni terroristiche, e quella misura era dunque volta a tutelare la sicurezza dei cittadini. Rispondiamo che l'eccezione conferma la regola e che del resto quell'unica eccezione era perfettamente comprensibile e giustificabile.
Con i bambini rom, no. Imporre loro un marchio che li distinguerebbe come possibili, anzi probabili delinquenti una volta giunti all'età compatibile con il codice penale, é non solo ingiusto, ma ingiustificabile. Nemmeno con il tentativo, fatto dal ministro Maroni, di spiegarlo con il desiderio di censire quei bambini al solo scopo di mandarli a scuola e sottrarli al rischio di delinquere su istigazione dei genitori; tentativo effettuato dopo l'esplosione delle polemiche non solo su 'Famiglia Cristiana', ma su molti altri media e soprattutto dopo le censure internazionali, culminate con il voto di condanna emesso dal Parlamento di Strasburgo il 10 luglio, con il concorso di decine di deputati del Partito popolare europeo, del quale fanno parte anche partiti di maggioranza in Italia.
Per qualche giorno, lungo il mese di agosto, sembra che 'Famiglia cristiana' sia sola a sostenere, in campo cattolico, quelle critiche al Governo. Non é così. Il 2 settembre un lungo articolo sull'Osservatore Romano reca questo titolo: "I giovani zingari nella Chiesa e nella società", e si apre con queste parole virgolettate: "Se tocca agli individui contribuire al giusto ordine morale e sociale della comunità con generosità e coraggio, a maggior ragione spetta ai governi e agli Organismi internazionali e nazionali la protezione della dignità e della identità di ogni essere umano e dell'intera umanità".
Questa frase é stata pronunciata il giorno prima dal cardinale Renato Raffaele Martino nel discorso da lui tenuto durante l'inaugurazione del sesto congresso mondiale della pastorale per gli zingari a Frisinga, in Germania, promosso dal Pontificio Consiglio pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Un congresso che dura quattro giorni sul tema "I giovani zingari, il loro posto nella Chiesa e nella società". Un congresso che lo stesso quotidiano della Santa Sede segue con molta cura nei giorni successivi, dando spazio anche a voci di netta condanna di alcuni episodi di violenza nei confronti dei nomadi avvenuti in Italia, sia ad opera di singoli individui, sia di autorità civili, come lo sgombero forzato, di notte, da un campo nomadi a Milano.
Una delle relazioni, da parte di una sociologa romana appartenente alla Federazione dei rom e sinti in Italia, afferma: "Si dovrebbe anche ricordare la triste indifferenza, a volte l'indispettita approvazione, con cui vengono accolti i vari provvedimenti del "pacchetto sicurezza", dalla proposta di schedature etniche alle iniziative di sindaci-sceriffi contro l'elemosina e i bivacchi. Come possiamo parlare di prospettive di futuro per i giovani rom e sinti se partiamo da questi presupposti?".
Ho raccolto tutti gli interventi dell'Osservatore Romano sul tema dell'immigrazione in settembre e ottobre. Cito alcuni titoli: "C'erano una volta gli albanesi sporchi e cattivi", per riassumere i risultati di una ricerca della Caritas Migrantes; "Gli Stati devono ascoltare la voce degli zingari", come sintesi di un'intervista all'arcivescovo Agostino Marchetto a conclusione del congresso di Frisinga; "Impegno europeo contro la discriminazione dei rom", come presentazione del raduno della Commissione europea in programma il 16 settembre a Bruxelles sul tema dell'immigrazione; "Poca memoria pochissima speranza", come titolo a un articolo di prima pagina del direttore nazionale della Caritas italiana mons.Vittorio Nozza, in cui si legge fra l'altro questa frase: "La politica è creazione di opinioni non tenute al guinzaglio dell'opinione corrente; è capacità e coraggio di influire sul giudizio politico dei cittadini; è azione capace di operare affinché si determinino cambiamenti nell'opinione pubblica imperante", un'opinione pubblica in cui, continua mons.Nozza, arrivano invece continuamente dalla politica "segnali contrari che -per mitigare le frustrazioni di chi vede riflesse nell'altro, nel diverso, le proprie insicurezze- alimentano un clima di paura e di intolleranza"; "Formazione e pari opportunità per favorire l'integrazione", a commento del documento finale del Congresso di Frisinga, in cui si indicano "due regole d'oro suggerite dagli stessi giovani: saper ascoltare, cioè avere tempo di comprenderli per conoscerli meglio; agire "per loro, ma soprattutto con loro"; e infine: "Nella Chiesa non c'è posto per discriminazioni e distinzioni di razza": sintesi del magistrale messaggio preparato dal Papa Benedetto XVI per la 'Giornata mondiale del migrante e del rifugiato' del prossimo 18 gennaio.
Un messaggio che contiene questa affermazione perentoria: "L'insegnamento e l'esempio di San Paolo umile-grande Apostolo e migrante, evangelizzatore di popoli e culture, ci sproni a comprendere che l'esercizio della carità costituisce il culmine e la sintesi dell'intera vita cristiana". Naturalmente il giornale vaticano non parla per conto proprio: quello che lo muove é la stessa preoccupazione manifestata dal Papa il 18 agosto, nel pieno della bagarre mediatica su 'Famiglia Cristiana' e sul tema razzismo-non razzismo, con queste parole in un contesto di fortissimo tono: "Una delle grandi conquiste dell'umanità è proprio il superamento del razzismo. Purtroppo, però, di esso si registrano in diversi Paesi nuove manifestazioni preoccupanti, legate spesso a problemi sociali ed economici, che tuttavia mai possono giustificare il disprezzo e la discriminazione razziale".
E' inutile ricordare qui tutti gli episodi di cronaca nera, in cui sono rimasti recentemente implicati o vittime degli stranieri, e culminati con la strage di sei immigrati africani a Castel Volturno ad opera di una banda particolarmente feroce della camorra. Una strage che ha suscitato una protesta rabbiosa da parte di migliaia di immigrati nella zona, con violenze di strada, simili a quelle che caratterizzarono il disordine pubblico in molte città americane fra il 1964 e il 1968.
Possiamo anche non definire tutto questo come manifestazioni di razzismo, ma non è questo ciò che conta. Ciò che conta è che esse rappresentano la ripetizione per l'Italia di storie vissute in altri Paesi di immigrazione ben prima che da noi. Mi riferisco in particolare agli Stati Uniti che fra l'Ottocento e il Novecento, prima e dopo l'abolizione della schiavitù, e durante la lunga fase dell'immigrazione bianca prima dall'Europa poi dall'America latina, fino a oggi, ha conosciuto durissimi scontri di natura razziale, compresa la guerra civile durata quattro anni e che costò agli Stati del Nord vittoriosi e quelli del Sud sconfitti complessivamente 685mila caduti.
L'immigrazione è sempre stata un problema. Lo sanno anche Paesi di alta civiltà e tolleranza, come la Francia che tre anni fu sconvolta dai disordini sanguinosi nelle banlieues. E' un problema da noi, che la proviamo per la prima volta e in termini di massa. E' naturale che i Governi, tutti i Governi, non solo quello attuale, si sentano imbarazzati e talvolta impotenti di fronte a questioni che non riguardano solo la politica o l'economia, ma in primo luogo i sentimenti umani. Quelli dei cittadini italiani e quelli degli stranieri: da una parte l'insicurezza, mai provata prima, che degenera spesso in paura e in incubo, e che non è senza ragioni; dall'altra parte la disperazione, il rischio di annegare in mare e, una volta approdati a riva, di incontrare ostilità, rifiuto, estrema difficoltà a trovare un lavoro, facilità a cadere in preda alla malavita per non morire di fame, e così via.
C'è tuttavia un particolare che merita di essere segnalato. La politica può ispirare ai governanti, di fronte a fenomeni come questo, atteggiamenti duri e provvedimenti che poi qualcuno definisce "indecenti". Ma attenzione: quella schedatura dei bambini rom tanto discussa è poi stata praticata in misura ridottissima, poche decine di vittime (chiamiamole così, per intenderci); a Roma, che detiene il record dei campi nomadi, il sindaco e il prefetto si sono accordati per affidare la schedatura dei bambini rom alla Croce Rossa, che ha usato e continua usare altri metodi, più tradizionali e non offensivi della dignità umana.
Lo stesso ministro Maroni, dopo le proteste interne e il voto del Parlamento europeo, ha spedito il 1° agosto alla Commissione europea una spiegazione del "pacchetto sicurezza", letta la quale il commissario Barrot ha fatto dichiarare dal suo portavoce che quelle misure "non sono discriminatorie". Finora nulla di quella spiegazione è stato reso ufficialmente noto, ma dal Consiglio europeo sono arrivate altre critiche molto dure. Più recentemente lo stesso ministro dell'Interno ha dovuto ritirare la mozione, presentata in Parlamento dal suo partito, la Lega, e già approvata dalla Camera, in cui si proponeva l'istituzione di "classi-ponte", successivamente ribattezzate "d'inserimento", dove sistemare gli alunni stranieri delle scuole che non siano in grado di capire fin da subito la lingua italiana. Una proposta subito oggetto di molte critiche, fra cui si segnala quella del patriarca di Venezia, Scola, il quale ha difeso l'integrazione scolastica fin da subito, senza divisioni di classe, con queste parole: "La varietà di provenienza, equilibratamente scelta, è una autentica ricchezza".
A Torino un intero quartiere molto popolare, Porta Palazzo, dove nelle scuole in molte classi gli allievi stranieri sono ormai maggioranza, da anni si sperimentano strumenti e modi diversi di alfabetizzazione, ma tutti escludenti la ghettizzazione delle classi separate, con soddisfazione di insegnanti, studenti e famiglie, sia italiane che di origine straniera. Per il momento, dunque, sembra che non se ne faccia niente, anche se è fuori dubbio che qualcosa bisogna fare.
Ad esempio, si può prendere in considerazione il modo in cui agì la Germania degli Anni cinquanta, in cui l'immigrazione necessaria di milioni di cittadini stranieri aveva posto il medesimo problema di inserire nei processi di educazione e di istruzione i molti figli degli immigrati, compresi naturalmente gli italiani. Uno di questi modi fu l'iscrizione di quei ragazzi a un corso propedeutico di apprendimento della lingua tedesca prima dell'inizio del normale curriculum scolastico, da proseguire poi senza divisioni dai coetanei indigeni.
In conseguenza dei veti europei il Governo, e per esso Maroni, ha dovuto rinunciare per ora a perseguire con l'espulsione la circolazione dei cittadini comunitari (i rumeni) senza permesso di soggiorno, e soprattutto la punizione dell'ingresso clandestino in Italia (considerato un reato) con il carcere, mentre basterà una multa. Ma il ministro dell'Interno ha detto che non cambia idea e che comunque sta provvedendo a modificare le norme progettate per l'espulsione degli immigrati clandestinamente (che rimarrà, un reato anche se cambierà la sanzione, dalla prigione alla multa).
Dopo tutte queste contrastate vicende la questione merita una riflessione politica. La maggioranza di centrodestra non è compatta sul problema dell'immigrazione, e le posizioni della Lega in materia vi incontrano crescenti ostilità. Soprattutto, va detto, da parte di Alleanza nazionale. Ciò si spiega sempre più chiaramente con il timore che si stia aprendo un contenzioso con la Chiesa. Lo prova chiaramente una dichiarazione del sindaco di Roma, Alemanno, il quale ha chiesto a proposito delle "classi ponte" una "pausa di riflessione" e un confronto con il mondo del volontariato e dell'associazionismo cattolico".
Tale "confronto" è già in atto, da mesi, sia pure sotto silenzio. Se ne è accorto un attento commentatore della politica, Massimo Franco del 'Corriere delle Sera', che ha più volte citato proprio il rispetto delle posizioni assunte sempre più autorevolmente dalla Chiesa, che inducono molti parlamentari del Pdl ad atteggiamenti meno condiscendenti verso le proposte della Lega. Che in tutto questo ci sia forse una inedita funzione di supplenza esercitata dalla Chiesa in argomenti squisitamente politici con riflessi sociali sulla condizione umana degli ultimi, siano essi gli immigrati o i poveri nazionali, mentre i partiti e gli stessi sindacati appaiono in tutt'altre faccende affaccendati, è un discorso che non intendo aprire qui, ma che ha la sua importanza.
Se è lecita una conclusione non pessimistica di tutto questo discorso, dirò che 'Famiglia Cristiana' può attribuirsi un merito, sulle cui proporzioni si può discutere, ma che non si può negare: di aver aperto, sia pure in toni bruschi e non abituali per un medium cattolico, un dibattito sulla questione - di grandissimo rilievo - del trattamento dell'immigrazione. Con la crisi finanziaria in atto ci aspettano anni difficili, ma degli immigrati non si potrà fare a meno, come abbiamo dimostrato con un'inchiesta in uno degli ultimi numero della rivista.
Quel dibattito ha prodotto anche un altro effetto, più specificatamente politico: quello di far riflettere su un sistema di rapporti fra governo e parlamento che non è indifferente per una democrazia. Oggi si dice, non so quanto ragionevolmente, che in Italia, a causa della presente legge elettorale, ma anche per la diminuita influenza del voto cattolico e per la profonda crisi d'identità della sinistra, l'opposizione non ha molte possibilità di influire sulle decisioni governative, anzi è talvolta definita addirittura "inesistente".
Se così stanno le cose, che un giornale come 'Famiglia Cristiana' si assuma apertamente un compito di critica, se non di opposizione (che non le compete) è un bene per la democrazia. Tanto più che essa, non avendo alle spalle nessun partito né alcun potere economico condizionante, non deve rispondere a nessuno delle proprie idee, tranne che alla propria coscienza e alla propria vocazione, consegnatale settantasette anni fa, in pieno fascismo, dal suo fondatore, il beato Alberione: parlare di tutto, cristianamente.
Beppe Del Colle
Sull'argomento si veda anche il recente editoriale di 'Famiglia Cristiana': Si dice 'classi ponte'. Leggasi 'classi ghetto' (26 ottobre 2008)