Castelvolturno: la voce delle associazioni vicine agli immigrati

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"Le proteste di venerdì pomeriggio sono state innescate dalle notizie riportate dai media. La manifestazione inizialmente era tranquilla e pacifica, ma ha cominciato a degenerare quando i telegiornali hanno parlato di droga, etichettando le vittime come spacciatori. In realtà le sei persone uccise non erano coinvolte nello spaccio di droga". Non ha dubbi Gianluca Castaldi (l'intervista a Nimedia), responsabile del centro di accoglienza per gli immigrati di Caserta: i cassonetti bruciati e le auto rovesciate dopo l'assassinio di sei giovani africani a Castelvolturno sono frutto della leggerezza della stampa nel riportare "a caldo" la notizia, ma sono anche "sintomo di una problematica che è stata a lungo trascurata".

Una scintilla che ha aperto le porte a rabbia e frustrazioni. "Da anni si parla di immigrati soltanto a livello di cronaca e questo diventa uno strumento che si presta a strumentalizzazioni politiche" - prosegue Castaldi, parlando anche a nome della comunità africana. "Gli immigrati sono consapevoli di essere ormai oggetto di uno sciacallaggio politico e mediatico senza precedenti. Chiedono che i mezzi di comunicazione di massa siano più giusti. Soprattutto in questo caso, in cui i disordini sono iniziati proprio a causa di un montaggio televisivo e di un servizio giornalistico fatto male, credo opportuno che giornali e telegiornali comincino una riflessione sulle loro responsabilità morali nel diffondere notizie che riguardano categorie così vulnerabili, come quelle degli immigrati".

Una visione, questa, condivisa anche da padre Giorgio Poletti (l'intervista a Nimedia), comboniano della pastorale per gli immigrati di Castelvorturno, secondo cui in Italia siamo ancora dei dilettanti nel modo di rapportarci con le nuove culture. "Sta crescendo un mondo di frustrazioni, di rabbie represse, di situazioni difficili e irrisolte" - dice Poletti "ed è chiaro che tutto questo emergerà sempre più, perché oggi l'integrazione nel nostro paese è una favola, un processo su cui occorre investire subito, anche economicamente, altrimenti ci troveremo a dover fare i conti con enormi esplosioni di rabbia".

Una rabbia che in questo caso almeno, grazie anche all'intervento delle associazioni laiche e cattoliche che lavorano con gli stranieri, non ha avuto pesanti ripercussioni. Anzi. Gli africani sono tornati in strada il giorno dopo, reagendo alla sfida dei clan e alle etichette dei media con orgoglio e dignità. Hanno convocato giornalisti e telecamere per farsi vedere in faccia, per raccontarsi. Vogliono che la gente sappia, che veda come e dove vivono. Vogliono farsi ascoltare. Denunciano gli sfruttatori e chiedono allo Stato le stesse tutele garantite ai cittadini italiani. "Non siamo tutti spacciatori" dicono "la maggior parte di noi lavora duro, sfruttata nei campi o nell'edilizia per 12-14 ore al giorno per poco più di 20 euro". "Arrestate i camorristi - dicono - non noi, che pagati male e in nero mandiamo avanti l'economia locale".

Quei volti di donne e ragazzi segnate dal dolore e dalla stanchezza sono la vera notizia. E la loro paura resa pubblica è anche un incitamento diretto a tutti i casertani, un invito a reagire, a non chiudersi in casa. Un invito che sarà ribadito il 4 ottobre, quando a Caserta si terrà una manifestazione anti-razzista, per la quale gli organizzatori prevedono la partecipazione di 8-10mila immigrati.

Lo Stato, intanto, ha risposto alla strage camorristica del 18 settembre inviando 400 uomini delle forze dell'ordine. Una scelta discutibile per chi conosce bene il territorio: "Non crediamo che l'arrivo di polizia e carabinieri sia la soluzione" commenta padre Poletti "la soluzione sta, invece, in un lavoro più delicato di intelligence. Occorre scoprire dove sono i gangli della malavita e colpire quelli, mentre il rischio, così, è che si proceda solo ad una serie di espulsioni di stranieri irregolari". Alcuni suggeriscono di indagare sugli interessi che stanno dietro al progetto di riqualificazione dell'intera area di Castelvolturno, un progetto che prevede, tra l'altro, un nuovo porto e un centro clinico specializzato nella cura dei tumori. "La presenza di immigrati è un ostacolo a certi interessi economici - conferma Castaldi - e quindi questo può essere un ambito nel quale forze dell'ordine e magistratura potrebbero indagare".

Michela Trevisan
Da: Nigrizia

Sull'argomento si veda anche:
- Sergio Nazzaro: Castelvolturno: la strage di San Gennaro (Libera Informazione)
- Roberto Saviano: Lettera a Gomorra, tra killer e omertà (La Repubblica)

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