Territori occupati: la speranza sta nella società civile israeliana

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Il ruolo della società civile, l’importanza di proteste, manifestazioni e iniziative: tra successi parziali e sconfitte, attivisti israeliani e palestinesi proseguono, spesso uniti, con azioni di sensibilizzazione rivolte all’intera comunità internazionale, ma soprattutto ai loro concittadini. Perché, come spiega Daniel Ducharevitch, membro del Sheikh Jarrah solidarity movement, parlando dei successi ottenuti proprio grazie alle proteste organizzate settimanalmente dal suo movimento, “la cosa più importante che è successa fin'ora è che migliaia di israeliani sono venuti per la prima volta in Palestina”. Per vedere, con i propri occhi, cosa sta succedendo e avvicinarsi a una realtà totalmente sconosciuta a molti di loro. Scoprendo fatti e misfatti relativi alla situazione di Gerusalemme est, chiave del conflitto israelo-palestinese, che negli ultimi mesi si ritrova sempre più al centro di notizie e avvenimenti.

Come nasce un’iniziativa come quella che, da anni, si svolge a Sheikh Jarrah?

La protesta a Sheikh Jarrah è cominciata circa tre anni fa, quando un piccolo gruppo di attivisti israeliani andò a vivere insieme ai palestinesi che venivano evacuati dalle proprie case, proprio per impedire che ciò accadesse. Intorno al novembre del 2009 scoppiarono ondate di protesta e iniziammo le marce da Gerusalemme Ovest a Sheikh Jarrah. Il motivo per cui cominciammo a marciare fu perché nell'aria si percepiva la sensazione che i coloni fossero in grado di occupare sempre più case e quartieri a Gerusalemme Est. Inizialmente eravamo una ventina di persone, ogni settimana si univa sempre più gente.

Quali sono i risultati ottenuti dalle vostre proteste e manifestazioni?

La cosa più importante che è successa fin'ora è che migliaia di israeliani sono venuti per la prima volta in Palestina per vedere cosa sta succedendo. La più grande manifestazione alla quale abbiamo assistito ha visto la partecipazione di 5000 persone. Un altro risultato è che continuiamo a lottare unitamente ai nostri amici palestinesi.

Le decisioni vengono prese da israeliani e palestinesi congiuntamente?

Decidiamo insieme cosa fare: si tratta di un atteggiamento profondamente diverso rispetto a quanto era stato fatto per anni dalla sinistra israeliana, che agiva sola senza considerare i leader e gli attivisti palestinesi. All’interno dei nostri movimenti e delle nostre associazioni le decisioni vengono prese insieme per quanto riguarda Sheikh Jarrah, ma anche Silwan ed in generale i quartieri e i luoghi dove c’è la presenza di coloni israeliani. Bisogna essere uniti per contrastare i coloni che stanno lavorando a Gerusalemme Est dichiarando molto apertamente che il loro obiettivo è quello di costruire quartieri ebraici dentro a quelli palestinesi e circondare la Città vecchia per bloccare ogni tentativo di accordo di pace tra Israele e la Palestina. È una mossa strategica che impedirà ogni tentativo di accordo di pace in futuro.

Vi sono mai stati problemi con le forze dell’ordine?

Alla prima marcia parteciparono 150 persone e la polizia non si oppose. Ma poi le forze dell’ordine decisero di dare un taglio alla storia arrestando 26 attivisti, attaccandone molti altri e decidendo di mettere fine alla protesta. Non avevano però considerato che la loro azione avrebbe provocato la reazione opposta. Sempre più israeliani, soprattutto giovani che non erano mai stati coinvolti in attività politiche, si unirono alla protesta. Ogni volta che la polizia tentava di impedire la manifestazione, la questione si ingigantiva sempre di più.

Le attività da voi svolte sono legali?

Qualsiasi attività politica svolta a Gerusalemme Est è praticamente illegale. Non parliamo solo di Sheikh Jarrah, ma anche di Bil'in, Nil'in e di ogni altro luogo in cui palestinesi ed israeliani manifestano assieme. Si tratta di manifestazioni non violente, che vengono comunque represse dalla polizia e dall'esercito israeliano. È importante dire che qui ogni protesta è una lotta comune tra attivisti palestinesi del quartiere e israeliani e sono convinto che proprio in questa unione Israele veda la minaccia più grande, specialmente nelle proteste non violente: israeliani e palestinesi cooperano per tentare di fermare qualcosa che viene fatto nel nome di Israele. Questa è una questione molto più complessa da gestire sia per le forze dell’ordine che per il Governo israeliano rispetto ad una resistenza armata. Per questo cercano di vietare la protesta a Sheikh Jarrah proprio come fanno in ogni altro luogo della Palestina.

La reazione è uguale sia nei confronti di israeliani che di palestinesi?

No, e la differenza non sta solo nella reazione, ma anche nella legge che viene applicata. Un esempio: quando un attivista israeliano viene arrestato, ci vogliono solamente 24 ore prima che sia portato dinanzi al giudice, mentre i palestinesi possono rimanere agli arresti per 7 giorni prima di ricevere udienza, e la loro detenzione può essere prolungata fino a 14 giorni. E in ogni caso ogni volta si vede che sono proprio gli attivisti palestinesi ad essere presi di mira dalla polizia e dall'esercito per evitare che continuino a protestare.

Michela Perathoner inviata di Unimondo

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