Lasso pone fine al Socialismo del XXI in Ecuador

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Quito, Ecuador - Foto: Unsplash.com

“Inizia una nuova tappa per l'Ecuador, in cui tutti possiamo vivere meglio. Oggi hanno trionfato la democrazia, la libertà e le famiglie ecuadoriane”. Così il popolo ha deciso. Guillermo Lasso è il nuovo presidente dell'Ecuador. Sessantacinquenne, uomo d'affari, ex presidente e attualmente maggiore azionista del Banco de Guayaquil. Era giunto ormai al suo terzo tentativo come candidato alla presidenza, questa volta strappando per un soffio il pass del ballottaggio al leader del movimento indigeno-ambientalista Yaku Perezil quale aveva ottenuto il 19,4% dei consensi al primo turno, rispetto al 19,7% di Lasso (poco più di 32 mila voti di differenza). La cerimonia di successione con l'uscente Lenin Moreno si realizzerà il prossimo 24 di maggio, alla quale sono stati invitati anche gli esponenti dei governi progressisti o di sinistra del continente latinoamericano, tra i quali i presidenti di Messico, Argentina, Nicaragua e Cuba. Tutti tranne il venezuelano Nicolas Maduro.

Guillermo Lasso, candidato di CREO, a sua volta alleato con il partito Social-Cristiano, è riuscito nell’impresa di spodestare il dominio del partito socialista di Rafael Correa che durava ufficialmente da 14 anni (2007), sebbene l’attuale governo di Lenin Moreno (lanciato dallo stesso Correa) ne avesse ampliamente preso le distanze già dopo il primo anno di operatività. Un ribaltamento della prima tornata elettorale, per certi versi sorprendente, che aveva visto il delfino di Correa, Andrés Arauz (UNES), pregustare la vittoria finale, ottenendo in quell’occasione già più del 32% dei voti. In questi due mesi la squadra di Lasso ha avuto il merito di attirare un enorme numero di nuovi voti anti-correisti che appartenevano agli altri candidati in lizza, mentre Arauz non ha saputo aumentare la propria massa critica, probabilmente scontando l’eredità di un’ormai radicata intolleranza per Correa che il paese vive da diversi anni. Correa non si è mai dato per sconfitto nonostante la condanna del 2020 a 8 anni di detenzione in via definitiva per fatti di corruzione ricollegati al partito da lui fondato, Alianza País, e la costrizione a vivere in Belgio dal 2018 a causa di un ordine d’arresto per un suo coinvolgimento in un sequestro di persona durante il suo mandato presidenziale. 

La tenacia politica e la dialettica autoritaria di Correa, che ha continuato a farsi sentire dalla sua residenza belga, è stata riadottata da Arauz, il quale tuttavia non ha saputo andare oltre al cocktail di proposte di sostegno alla crescita finanziata da spesa pubblica (3 miliardi di dollari per opere infrastrutturali) e sussidi a pioggia (metà dello stipendio base per un anno a 400 mila lavoratori). Nonostante la scarsità di risorse per poterlo fare, la stringente fiducia degli investitori internazionali ed il crescente indebitamento statale raggiunto. Proposte in maggioranza condite di un populismo pericoloso per la sostenibilità del bilancio pubblico (che ricade su stipendi, pensioni, sistema sanitario, etc.). E gli ecuadoriani, evidentemente, non si sono fidati. Prima tra tutte l’idea di distribuire nella prima settimana di governo $1.000 a un milione di famiglie ecuadoriane usando le già insufficienti riserve della Banca Centrale (1% in più di indebitamento su PIL). Cosa, che se implementata, avrebbe avuto una modesta ricaduta sulla ripresa economica, ma avrebbe esposto il paese ad un rischio considerevole di shock esterni, visto che quei soldi servono da riserva di garanzia monetaria. Inoltre, non gli ha certo giovato la titubanza mostrata sul rispetto degli accordi con il FMI, o i dubbi sollevati sul rischio di abbandono della dollarizzazione. Potrebbe magari ricordare qualcuno in terra nostrana.

Lasso d’altro canto ha improntato la sua campagna elettorale su premesse radicalmente opposte: liberalizzazioni e riforme per favorire un’economia più aperta, consolidamento fiscale e maggiore attrattività di investimenti esteri, volti a sostituire gradualmente il debito, costoso, contratto con la Cina. La dinamizzazione del settore privato, per promuovere l’occupazione con contratti di lavoro più flessibili, l'estensione di nuove linee di credito per gli imprenditori, la circoscrizione dei sussidi su benzina ed elettricità a categorie mirate, la definizione di accordi commerciali con le principali economie globali e la riduzione dei dazi su importazioni ed esportazioni, tra i punti del suo programma economico.

L’atteggiamento conciliatore di Lasso verso gli accordi sul debito estero ha favorito l’ottimismo dei mercati internazionali all’indomani della vittoria: il rischio paese è immediatamente sceso di 345 punti, mentre il rendimento dei buoni del tesoro a 20 anni è diminuito dal 13,6% al 10,1%. Tuttavia la trama del nuovo governo sarà intessuta di ostacoli, anche dal punto di vista dei diritti civili. Non ultima la frattura sociale che il movimento indigeno ha esternato con entrambi i candidati finalisti. Dapprima appoggiando il voto a Yaku Perez, e successivamente, con una partecipazione sensibilmente ridotta al ballottaggio, appellandosi al voto “bianco”. In Ecuador, a più di un secolo dall’inizio dei processi di inclusione democratica, i popoli indigeni non sono ancora riusciti a trovare un’unità nazionale contro il “nemico”. Ma per la prima volta sono stati inclusi nell’immaginario politico e sono oggi più vivi e desti che mai, come dimostra il notevole successo di Yaku (“agua” en quechua). Il fantasma delle rivolte indigene di ottobre 2019 é lí a ricordarlo.

Il paese rimane quindi ingessato in una polarizzazione politica e ideologica di non facile gestione per il futuro presidente. Inoltre, la nuova Assemblea Nazionale avrà una predominanza progressista in capo ad Arauz (49 seggi su 137, contro i 31 di Lasso), fattore che costringerà il governo a negoziare con gli altri partiti ogni iniziativa: a cominciare da Pachakutik di Yaku Pérez (27 seggi), e Izquierda Democrática di Marcelo Xavier Hervas Mora (18). Quindi una politica di più ampie vedute, che nel gioco della democrazia, dovrà cercare di risanare la rischiosa divisione del paese tra conservatori e progressisti, destra e sinistra, presunte o fasulle, che ha eroso l’opinione pubblica e la capacità del paese di proporre riforme serie volte a rilanciare la crescita. Si, perché L’Ecuador si trovava già da prima della pandemia in una difficoltosa fase di stagnazione socio-economica, provocata inizialmente dalla caduta del prezzo del petrolio – principale voce della produzione nazionale, equivalente a circa il 54% delle esportazioni del paese - nel 2015, dalla quale non si è più saputo sollevare. Staremo a vedere se agli annunci elettorali seguiranno azioni coerenti, e se il nuovo presidente saprà dimostrare la forza e il carisma necessari a risollevare la barca naufragata.

Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.

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