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Boko Haram arriva in Ciad
Popoli minacciati
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Nelle mappe delle guerre che generano profughi e rifugiati è entrato di diritto anche il Ciad per mano dell’organizzazione terroristica jihadista soprannominata Boko Haram. Se fino ad adesso l’epicentro del conflitto scatenato da questa setta che ha dichiarato guerra “all’educazione occidentale” era il Borno State, in Nigeria, dove si registrano attacchi regolari e indiscriminati che colpiscono in modo particolare i civili, ora anche in Ciad l’insicurezza è decisamente aumentata a partire dal mese di luglio. In queste ultime settimane però i violenti attacchi di Boko Haram stanno causando una crisi umanitaria sempre più grave nell’area del Lago Ciad, dove il flusso di persone sfollate è continuo e il numero di persone costrette a fuggire dalle proprie case è più che raddoppiato, portando il numero totale degli sfollati nell’area a 75.000.
“La paura instillata nella popolazione composta da persone provenienti dal Niger, dalla Nigeria e dal Ciad stesso - ha spiegato Medici Senza Frontiere (Msf), che ha équipe mediche in azione in tutti questi tre stati - è acuita dalla violenza incessante che non mostra segni di cedimento. I bisogni in termini di cure psicologiche sono elevati e, considerato anche l’ultimo aumento di violenza, continueranno soltanto a crescere”. Tra i pazienti trattati da Msf ci sono molti bambini e sono stati riportati diversi casi di abusi sessuali su donne e bambine. “Donne e bambini sono particolarmente vulnerabili in questa situazione e i bisogni medici sono molti” ha detto Federica Alberti, Capo missione di MSF in Ciad. “Abbiamo conosciuto donne incinte che hanno camminato per chilometri in un caldo torrido per cercare assistenza medica. Le persone vivono senza ripari adeguati e non hanno accesso a cibo e acqua. Con queste difficili condizioni di vita e la stagione delle piogge in corso, stiamo già trattando casi di diarrea, malaria, infezioni respiratorie e riceviamo molti bambini malnutriti”.
Msf al momento presidia Kousseri, al confine con il Ciad, dove decine di migliaia di sfollati vivono sparsi intorno alla città e i rifugiati del campo di Dar Es Salam. Per rispondere ai loro bisogni, le equipe di Msf forniscono supporto chirurgico all’ospedale e cure pediatriche contro malnutrizione e malaria. Dall’inizio delle sue attività in risposta alla crisi in Ciad Msf ha però riscontrato subito anche l’immediata necessità di integrare il sostegno psicologico con le altre attività mediche. Gli psicologi ascoltano le storie di orrore e continua paura che affliggono la vita quotidiana dei sopravvissuti. Tra i pazienti che necessitano di supporto psicologico nella clinica del campo rifugiati, uno su quattro mostra sintomi di depressione. Disordini del sonno, gravi reazioni emotive o stress post-traumatico sono all'ordine del giorno.
“Ho incontrato Abeni [solo il nome è di immaginazione], una ragazza di 16 anni fuggita da Baga, in Nigeria” ha raccontato Forline Madjibeye, psicologa del team di Msf. “Entrambi i suoi genitori sono stati uccisi, così come i suoi vicini. Ha preso per mano il piccolo fratellino, suo nipote e i figli dei vicini ed è fuggita fino ad arrivare qui. La fuga da questa situazione e le condizioni di vita estremamente difficili si aggiungono ai già persistenti effetti psicologici di un tale trauma". Secondo Forline, la responsabilità di prendersi cura di sei bambini in un campo rifugiati, in aggiunta a ciò che ha vissuto in Nigeria, ha avuto un forte impatto su Abeni. La ragazza continua a rivivere la paura, non riesce a dormire, è estremamente stressata e soffre di depressione a causa del suo futuro del tutto incerto. “Vorremmo restituire ad Abeni il suo equilibrio psicologico, in modo che possa gestire meglio la paura e la tristezza che sta vivendo e prendersi cura di se stessa e dei bambini - ha detto Forline - Così la incoraggio a condividere la sua esperienza con gli altri rifugiati e a non rimanere da sola”.
Aurelia Morabito, una psicologa che ha lavorato per Msf nella regione del Lago Ciad negli ultimi due mesi, da spiegato come i sintomi che i pazienti presentano sono strettamente legati agli eventi traumatici che hanno vissuto, ma anche alle condizioni di vita e al sentimento di paura che si trovano ad affrontare prima e dopo l’arrivo. Con l’aumento della violenza nella regione, infatti, l’insicurezza accompagna questi rifugiati sin dalla loro partenza. "Sebbene possano aver creduto di fuggire verso la salvezza, sono invece ancora traumatizzati, non si sentono al sicuro e, quindi, continuano a rivivere il trauma. Il processo di recupero è lungo. Le persone hanno assistito a cose orribili, sono diventate rifugiati e poi sono arrivate in un campo dove la vita è triste e molto dura. Inizialmente, soffrono di stress post-traumatico, non riescono a dormire. Ma non hanno altra scelta che rimanere” ha spiegato la Morabito.
Dall’avvio del programma a marzo, gli psicologi di Msf hanno assistito 524 pazienti. L’obiettivo è fornire supporto ai rifugiati per attenuare il peso del trauma e assicurarsi che abbiano un esperto a disposizione con cui parlare ogni volta che ne hanno bisogno, in uno spazio sicuro e confidenziale. Per questo le équipe offrono consulti individuali, familiari o di coppia e i bambini possono prendere parte a un workshop di disegno settimanale per esprimere ciò che sentono. “È più facile per i bambini esprimere le loro paure attraverso il disegno” ha detto Aurelia. “Dopo, parliamo dei disegni con loro e i loro genitori per aiutarli a controllare le loro paure. Ad ogni sessione, i bambini raccontano storie orribili attraverso i loro disegni. Vediamo immagini di armi, elicotteri e di persone decapitate. […] Molti di loro sono fuggiti da soli nella notte o hanno trascorso la notte nascosti in acqua, sperando che nessuno li trovasse.”
Le vittime di Boko Haram, quindi, non sono solo i morti. Occorre aiutare i sopravvissuti con un tetto, acqua, cibo e medicine, ma uomini, donne e soprattutto bambini e minori devono affrontare un processo psicologico non banale per accettare la vita da rifugiato, prendersi cura di loro stessi in un luogo diverso e non avere idea di ciò che succederà domani. “Attraverso le nostre sedute, gli psicologici di Msf ascoltano e provano a riportare alla normalità le reazioni dei rifugiati”, ha concluso la Morabito. “Questo aiuta e rassicura i pazienti mentre entrano in contatto con gli altri e condividono le loro esperienze. Siamo consapevoli di non poter annullare del tutto la sofferenza, ma possiamo aiutarli ad affrontare meglio le loro reazioni”. Per questo oltre al suo programma di supporto psicologico nel campo rifugiati di Dar Es Salam, Msf sta attivando cliniche mobili che forniscono assistenza sanitaria di base alla popolazione residente e agli sfollati, cliniche che la ong doterà presto il supporto psicologico.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.