Riyadh cancella la pena di morte per minorenni. Ma ha il record di esecuzioni nel 2019

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Foto: Unsplash.com

L’Arabia Saudita non comminerà più la pena di morte alle persone che, all’epoca in cui hanno commesso il reato, erano ancora minori di età. È quanto ha annunciato la Commissione nazionale per i diritti umani, sottolineando che il provvedimento segue un decreto reale di re Salman e la decisione - presa nel fine settimana - di abolire la fustigazione come forma di punizione, in particolare nei casi di violazione alla Sharia. 

La convenzione Onu per i diritti dell’infanzia, che Riyadh ha sottoscritto, afferma che la pena capitale non va applicata per reati commessi da minorenni. Una prassi comune nel regno wahhabita, fra le nazioni al mondo con il maggior numero di repressioni ai diritti umani, perpetrati anche e soprattutto da apparati dello Stato.

Una nota pubblicata Awwad Alawwad, presidente della Commissione saudita, fa emergere che il decreto reale cancella le esecuzioni in casi di reati commessi da minori di età. Al posto del boia, verranno comminate pene fino a un massimo di 10 anni da scontare in un carcere minorile. “Il decreto - aggiunge - ci aiuta ad attuare un codice penale più moderno”. Tuttavia, al momento non vi sono indicazioni ufficiali sui tempi dell’entrata in vigore del provvedimento.

Nella monarchia saudita di re Salman e del numero due (ma vero uomo forte) Mohammed bin Salman (Mbs), nel fine settimana la Corte suprema ha abolito la fustigazione, perché ritenuta una forma di condanna che “macchia” l’immagine “riformista” impressa dalla leadership wahhabita. In realtà, nel Paese arabo - nel disinteresse della comunità internazionale, più attenta all’economia e ai petrodollari - si susseguono violazioni ai diritti umani: dalla morte in carcere di oppositori al record di esecuzioni in un anno, fino allo sfollamento di oltre 20mila persone per soddisfare la grandeur del principe ereditario, che vuole costruire dal nulla una metropoli grande 30 volte New York.

A dispetto dei proclami di modernità, secondo dati di Amnesty International, nel 2019 l’Arabia Saudita ha eseguito un numero record di 184 condanne a morte, il più elevato in un solo anno. Il boia ha giustiziato 178 uomini e sei donne, oltre la metà dei quali stranieri. Nel 2018 le esecuzioni si erano fermate a 149. Il dato sulle esecuzioni conferma un trend in continua crescita, visto che nei cinque anni di re Salman - ma il dato ha subito un’accelerazione con l’ascesa di Mbs - sono state giustiziate oltre 800 persone. Si tratta di una cifra “doppia” rispetto al quinquennio precedente quando al potere vi era il predecessore re Abdullah, sotto il quale fra il 2009 e il 2014 erano finiti fra le mani del boia 423 individui.

Gli oppositori e le voci critiche non vengono messe a tacere solo con la pena capitale, perché spesso finiscono per morire in carcere in seguito a malattie e cure mediche negate. Ne è prova quanto si è verificato la scorsa settimana con il decesso in cella di Abdullah al-Hamid, 69enne figura di primo piano del Paese e fondatore dell’Associazione saudita per i diritti civili e politici.

Egli si trovava in prigione dal 2013 in seguito a una condanna a 10 anni per la sua opera a favore delle libertà e dei diritti; per la sua scarcerazione si erano spesi in passato ong e movimenti in patria e all’estero. Da due settimane l’attivista, deceduto per ictus, versava in condizioni di salute precarie ma nessun medico ha potuto visitarlo.

Da Asianews.it

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