Rifugiati e pandemia: un attivismo nel segno della solidarietà

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Foto: Unsplash.com

Raccolte fondi, distribuzione della spesa per gli anziani e i malati, produzione di mascherine, diffusione delle informazioni e molto altro. Dovevano essere tra le categorie più vulnerabili e a rischio durante la pandemia, eppure in questi mesi molti rifugiati in Italia non sono stati con le mani in mano, dando l’avvio a una serie di iniziative di solidarietà in molte città, dal nord al sud del Paese, rivolte a chi si trovava in difficoltà, straniero o italiano che fosse. Come a Camini, piccolo comune in provincia di Reggio Calabria, dove i rifugiati ospiti dello Sprar/Siproimi, in gran parte donne, hanno portato avanti un laboratorio solidale e creato a mano migliaia di mascherine che poi hanno distribuito gratuitamente a migranti, cittadini, enti e associazioni. “Le abbiamo mandate in tutta l’Italia e abbiamo avuto richieste anche in Francia e Germania – racconta Douaa Alokla, assistente di progetto tecnico del laboratorio AmaLà di Eurocop Servizi, Pro Loco Camini – Sono arrivata con la mia famiglia a Camini quattro anni fa e i primi mesi sono stati molto difficili, dovevamo abituarci alla nuova cultura e imparare da zero l'italiano. Ma la comunità ci ha accolto e aiutato perciò, quando durante questo periodo di difficoltà ci hanno chiesto di produrre le mascherine, abbiamo accettato con tanta gioia”. Douaa Alokla ha raccontato la sua esperienza durante un incontro organizzato nell’ambito del Sabir Festival, il festival diffuso delle Culture Mediterranee, che quest’anno a causa della pandemia si è svolto con una ricca edizione straordinaria online. Ma non era sola. A questo incontro, moderato da Jasmine Mittendorf dell’UNHCR, sono state diverse le realtà e le associazioni di rifugiati presenti, che finalmente si sono raccontate attraverso la voce dei protagonisti stessi.

Come Il Grande Colibrì, associazione di volontariato a favore delle persone LGBTQI che vuole fare emergere e raccontare l’importanza delle differenze. “Quando è iniziata la pandemia a febbraio molte persone erano disorientate, le direttive ministeriali avevano un linguaggio poco chiaro, figuriamoci per i rifugiati – racconta il vicepresidente dell’associazione, Lyas Lamari –. Le persone non sapevano cosa fare, dove andare, come presentare la domanda di asilo, o chiedere delle analisi in ospedale. Abbiamo perciò deciso di produrre del materiale informativo in un italiano semplificato, e di tradurlo in varie lingue. Pian piano le richieste aumentavano, da scuole, servizi sociali, comuni, anche dall’estero. Alla fine abbiamo creato 180 pdf aggiornati ogni 24 ore, decine di video, e raggiunto 50 lingue”. Sul mutuo aiuto e la solidarietà punta invece l’esperienza dell’associazione Irpinia Altruista raccontata da Yahya Juwara: durante il lockdown hanno organizzato con i rifugiati attività di consegna di farmaci e cibo alle persone che ne avevano bisogno, italiane e straniere, portato aiuto per le richieste del bonus affitto e organizzato tante attività. “Quando sono arrivato ad Avellino, dopo il viaggio in mare, si sono presi cura di me, così ho deciso di ricambiare – racconta Juwara – Questa esperienza ci ha fatto sentire più vicini e uniti alla comunità. Ho scoperto qui un tipo di società che vorrei per i miei figli”. 

C’è l’associazione Ikenga, nata a Palermo dalla collaborazione di un gruppo di attivisti e artisti provenienti da Biafra, Italia, Bangladesh, Gambia, Senegal, Nigeria e Tunisia, che a marzo ha organizzato un crowdfunding riuscendo a raccogliere 5 mila euro in una sola settimana: i fondi sono stati utilizzati per acquistare cibo, medicine, buoni spesa da donare alle persone che vivono in strada. “Il Covid ci ha dato una grande responsabilità – ha commentato Frank Obidike – ora in tantissimi conoscono la nostra associazione e vengono a chiederci aiuto”. Sempre a Palermo, c’è stata l’esperienza preziosa dell’associazione culturale Blitz, che ha fornito ai ragazzi rifugiati spazi di incontro virtuale per continuare parlare e a formarsi in ambito teatrale, con laboratori di scrittura creativa e moment condivisione di sentimenti ed esperienze. Mentre a Torino l’associazione Mosaico - Azione per i rifugiati, risultato di un percorso sociale di un gruppo di rifugiati arrivati molti anni fa, ha avviato tra le tante attività dei progetti con la Compagnia di San Paolo e consegnato pasti e kit igienici in luoghi difficili, come le occupazioni, in cui hanno trovato anche tanti italiani in difficoltà. 

Queste sono solo alcune delle esperienze che hanno visto i rifugiati come protagonisti durante la pandemia: “Benché quasi sempre rappresentati come soggetti passivi, senza diritto di produrre narrazioni proprie, in questa situazione si sono mobilitati nei vari territori per dare il loro supporto, in Italia e non solo” ha commentato Jasmine Mittendorf. Visione confermata anche dal rappresentante UNHCR per la Francia e il Principato di Monaco, Paolo Artini, che durante il “think tank” online organizzato da Unimondo il 15 giugno e dedicato proprio a “Migranti e rifugiati al tempo della pandemia”, ha raccontato come i rifugiati, pur essendo tra le categorie più vulnerabili, a livello globale non siano stati colpiti in maniera pesante dal virus: questo grazie all’intervento dell’agenzia e delle ong sul campo, ma anche e soprattutto grazie ai rifugiati stessi. “In tantissimi, tra medici, infermieri, tradutori e non solo, si sono messi a disposizione durante la pandemia, tanto che in Francia il tema centrale del 20 giugno, Giornata Mondiale del Rifugiato, è proprio il contributo positivo dei rifugiati in tempo Covid-19 – ha detto Artini – L’UNHCR fin dall’inizio ha sottolineato l’importanza di includere i migranti e i rifugiati nei piani di risposta e prevenzione. Essi stessi fanno parte della soluzione e mai come in questo momento la solidarietà si è dimostrata una necessità: proteggendo i rifugiati proteggiamo anche noi stessi”.

Anna Toro

Laureata in filosofia e giornalista professionista dal 2008, divide attualmente le sue attività giornalistiche tra Unimondo (con cui collabora dal 2012) e la redazione di Osservatorio Iraq, dove si occupa di Afghanistan, Golfo, musica e Med Generation. In passato ha lavorato per diverse testate locali nella sua Sardegna, occupandosi di cronaca, con una pausa di un anno a Londra dove ha conseguito un diploma postlaurea, sempre in giornalismo. Nel 2010 si trasferisce definitivamente a Roma, città che adora, pur col suo caos e le sue contraddizioni. Proprio dalla Capitale trae la maggior parte degli spunti per i suoi articoli su Unimondo, principalmente su tematiche sociali, ambientali e di genere. 

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