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Quando gli altri se ne vanno, arriviamo noi
Giovani
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Ad agosto di quest’anno ho ripetuto l’esperienza del 2013, quando tramite Legambiente andai a lavorare in un campo di volontariato internazionale. Questa volta ho deciso di partire per i Balcani, che in maggio sono stati colpiti da una delle peggiori alluvioni degli ultimi 120 anni. Questo è il racconto delle due settimane trascorse in Serbia e, più in generale, delle conseguenze del disastro ad alcuni mesi di distanza.
Partire per un progetto di volontariato internazionale è relativamente facile. Legambiente offre diverse possibilità e ci sono altre ONG che offrono lo stesso servizio. Basta una ricerca su Google per trovare un campo di volontariato, in Italia o all’estero. Quest’anno, la maggior parte dei progetti internazionali erano indirizzati a Serbia, Bosnia-Erzegovina e Croazia, i tre Paesi colpiti dalle alluvioni. Lo scopo di questi progetti è subentrare ai corpi di primo soccorso una volta che l’emergenza è passata e resta il lavoro di ricostruzione, materiale: lo slogan è “when others leave, we go in”, “quando gli altri se ne vanno, arriviamo noi”.
Io sono arrivato nella località che è stata colpita più duramente di tutte dall’alluvione di maggio. A 33 chilometri da Belgrado, stretta tra i fiumi Sava e Kolubara, Obrenovac è una piccola cittadina di circa 70.000 abitanti che è diventata il simbolo della catastrofe. Qui, come in altre località dei Balcani, tra il 15 e il 18 maggio è caduta la quantità di pioggia che di solito cade in tre mesi. Oltre la metà degli abitanti sono stati evacuati durante le alluvioni e oggi alcuni di loro stanno tornando nelle loro abitazioni; ma la città rimane desolata. Camminare per le vie del centro è un’esperienza surreale: a tre mesi dal disastro, Obrenovac ricorda una ghost town del far west. La vita ha ripreso a scorrere nella via dove si trovano alcuni locali pubblici, il municipio e un piccolo parco, ma la maggior parte dei negozi sono distrutti e tutti gli appartamenti situati al piano terra rimangono inagibili: alcuni abbandonati, altri, un poco per volta, stanno venendo ricostruiti.
Passata l’alluvione ci sono state molte polemiche rispetto alla tempistica e alla gestione degli aiuti umanitari. Le persone con cui ho parlato accusano il governo di essere intervenuto tardi e male. Pare che la polizia non abbia allertato le famiglie e così in molti si sono svegliati alle 5 del mattino con l’acqua alle soglie di casa. La piena del fiume Kolubara a Obrenovac è arrivata nel cuore della notte. Nel giro di poche ore molte case erano completamente sott’acqua. Dalla mia posizione è difficile capire come siano andate veramente le cose. Quello che è certo è che il governo serbo ha ricevuto aiuti finanziari sia dai Paesi vicini sia dall’Unione Europea: parte di questi fondi sarà utilizzata per aiutare le famiglie colpite; un’altra parte sarà invece indirizzata ai lavori di ricostruzione delle dighe che sono andate distrutte. Ad oggi, tuttavia, la diga vicino Obrenovac non è ancora stata ricostruita, nonostante la stagione delle piogge sia ormai vicina, con le prime piene in programma attorno ai primi giorni d’autunno.
Il lavoro del mio gruppo di volontari consisteva in due attività. La principale era il supporto alle famiglie le cui case erano state rese inservibili dall’alluvione. Le famiglie si rivolgevano al comune, il comune si rivolgeva a una ONG locale, e l’ONG locale si rivolgeva a noi. Il nostro compito era generalmente quello di demolire le parti della casa danneggiata dall’acqua e dal fango e ripulire tutti i detriti. Una seconda attività, svolta assieme all’ONG Save the Children che aveva attrezzato alcuni campi tutt’attorno la città e vicino alle scuole, era l’intrattenimento dei bambini tra i 4 e il 12 anni. In due settimane abbiamo lavorato in sette case private, un negozio, un campo sportivo, e tre scuole.
Non saprei dire quanto è importante quello che abbiamo fatto. Certamente abbiamo dato un piccolo contributo in termini materiali; ma probabilmente l’aiuto maggiore lo abbiamo dato con la nostra presenza. Per le persone, soprattutto quelle che si sentivano abbandonate dal governo, era una sorpresa vedere giovani stranieri volontari internazionali trasferirsi a Obrenovac per lavorare senza chiedere niente in cambio. Molti ci hanno chiesto come mai lo abbiamo fatto. A noi, tutto sommato, sembrava abbastanza logico. Ancora oggi non riesco a pensare a un modo migliore di trascorrere le mie vacanze.