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Lettera al ragazzo afghano morto lungo i binari di Verona
Giovani
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Foto: Antoine Beauvillain da Unsplash.com
Lunedì 21 agosto 2023 un giovane afghano è stato investito da un treno tra Verona Porta Nuova e Verona Porta Vescovo. Queste parole sono per lui.
Caro ragazzo,
non so come ti chiamavi, i giornali non l’hanno detto. Per loro sei solo un migrante, uno dei tanti, deceduto in un tragico incidente. Uno dei tanti.
So però che stavamo percorrendo lo stesso itinerario, io per un motivo, tu per un altro.
Lunedì scorso, verso l’ora di pranzo, le nostre vite si sono quasi incrociate. Si sarebbero incrociate veramente, se tu avessi fatto un passo diverso, se tu fossi stato meno stanco, se tu fossi stato meno solo. E io non sarei mai venuta a conoscenza di te, di ciò che stavi cercando di fare e di dove volevi andare.
È successo tutto velocemente, in un attimo la tua vita è finita. E pensare che ce l’avevi quasi fatta.
Sai, vorrei tanto avere la stessa abilità di De André, quella volta che con una canzone riuscì a cambiare la tragica fine di una ragazza uccisa per mano di un uomo violento. Vorrei parlare di te, condividere la tua storia, parlare di ciò che hai visto, vissuto e provato. Ma le informazioni sul tuo passato mi sfuggono, non saprei chi contattare e come.
Stavi percorrendo quei binari maledetti, questo lo so, come so che avevi ancora tutta la vita davanti, anche se probabilmente di cose ne avevi già vissute per tre, di vite. Te, che appena ventenne sei dovuto fuggire dal tuo paese per cercare il sorriso in Europa.
Di sicuro immagino che non volessi restare in Italia. Probabilmente volevi raggiungere qualche amico o familiare al nord. Anche io lo avrei fatto al tuo posto. Non so se però avrei avuto il tuo stesso coraggio, che ti ha portato ad affrontare un viaggio così rischioso.
I giornali dicono poco, quasi nulla. Parlano dei ritardi causati alla circolazione. Ad agosto noi italiani andiamo in vacanza e vogliamo divertirci, dimenticare, viaggiare. Andiamo negli stessi posti dove sei stato tu, sai? In Grecia ad esempio. Ma noi viaggiamo in aereo. Tu il viaggio lo hai fatto via strada, nascosto dentro un tir lungo la rotta balcanica, fino a Trieste.
Una volta in Italia poi, immagino che tu sia rimasto vari giorni in attesa, aspettando documenti che non sono mai arrivati e vivendo al limite della decenza, probabilmente dentro qualche rudere industriale abbandonato, in continua tensione assieme ai tuoi compagni. La stampa triestina parla della zona del silos, dove stanno trovando rifugio decine e decine di migranti. Forse anche te sei passato da là. Forse è lì, bordo ferrovia, che hai deciso di continuare il percorso verso ovest.
I binari erano a due passi, in effetti. Quei dannati binari.
Provo a immaginare cosa devi aver provato una volta in Italia: sollievo, felicità, anche tristezza e paura? Probabilmente pensavi già a quale lavoro avresti iniziato a fare, magari ne avevi anche parlato con la tua famiglia. La tua famiglia sarà rimasta in Afghanistan? Sapranno che non ci sei più? Quando avrai comunicato con loro per l’ultima volta?
I giornali parlano incessantemente di migrazione. Morti annegati, morti asfissiati, centri di prima accoglienza saturi di vite. Ma nonostante gli italiani siano martellati quotidianamente da queste notizie divulgate con toni allarmistici, e sembra quasi che il paese intero sia preso d’assalto, rimane un’enorme divisione tra noi, cittadini europei con legali documenti alla mano, e voi, che i documenti non li avete e cercate rifugio e riparo qua.
Questa divisione la si vede nel quotidiano, approcciando una semplice discussione sul tema della migrazione. E sai che succede? Quando diventate l’oggetto delle nostre conversazioni o piovono giudizi, o la conversazione si blocca, prende altre strade, si cambia argomento, perché in generale non piace parlare di voi. Rappresentate un tema triste, scomodo, molto scomodo sì.
Mi colpisce questo periodo storico. Flussi di persone che devono spostarsi oltre confine, in modo illegale e pericoloso e noi non ne parliamo, quasi mai di sicuro in modo costruttivo. Siete sotto gli occhi di tutti ma raramente sappiamo chi siete, quali sono le vostre storie. Migranti, profughi, richiedenti asilo, rifugiati. Avete tanti nomi, ma non sappiamo nulla di voi.
Mi chiedo anche cosa tu provassi nei confronti di noi europei. Eri arrabbiato? Indifferente? Forse pensavi solo a raggiungere la tua destinazione e a costruirti un futuro.
Quando a mezzogiorno sono salita su quel treno, ero pronta a rientrare a casa. Quel treno però non è mai partito, perché dagli altoparlanti del vagone è uscita una voce strozzata che ha comunicato ai passeggeri che c’era stato un incidente. Quell’incidente eri tu. Mi chiedo come sia successo, forse non si saprà mai. Mi sento inutile di fronte a quanto hai sacrificato e a quanto in molti stanno sacrificando.
Sappi che mi dispiace.
Lucia
Lucia Michelini

Sono Lucia Michelini, ecologa, residente fra l'Italia e il Senegal. Mi occupo soprattutto di cambiamenti climatici, agricoltura rigenerativa e diritti umani. Sono convinta che la via per un mondo più giusto e sano non possa che passare attraverso la tutela del nostro ambiente e la promozione della cultura. Per questo cerco di documentarmi e documentare, condividendo quanto vedo e imparo con penna e macchina fotografica. Ah sì, non mangio animali da tredici anni e questo mi ha permesso di attenuare molto il mio impatto ambientale e di risparmiare parecchie vite.