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La partecipazione tra retorica e consapevolezza
Giovani
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L’idea nasce dal concetto di partnership veicolato dal diciassettesimo obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Partecipazione e comunità ne sono due possibili declinazioni. Per un intero anno scolastico migliaia di studenti hanno riflettuto sul significato delle due parole, sui punti di forza, sulle modalità di implementazione di un percorso sociale e politico che le potesse includere entrambe: è la World Social Agenda. Hanno scoperto quanto impegnativo sia assumersi la responsabilità del partecipare, perché implica un’azione. Qualcuno lo ha fatto: si è avvalso della possibilità non solo di esserci di fronte ad una questione da risolvere, di esprimere il proprio disagio, ma anche di influenzare e decidere nella relazione fra soggetti appartenenti ad una comunità.
È stato il caso di una classe di una scuola alberghiera del padovano che ha deciso di prendersi cura degli spazi della biblioteca scolastica elaborando una progettualità concreta, dove i sogni erano tradotti in costi, benefici e fattibilità, che è stata consegnata al Presidente del Consiglio d’Istituto con l’idea di poter essere ascoltata e dibattuta. Un’altra classe ha elaborato in modo partecipato un’applicazione turistica finalizzata alla conoscenza del territorio e un’altra ancora si è documentata e ha fatto delle indagini sulle strutture alberghiere dismesse al fine di poter presentare un’ipotesi di recupero e riutilizzo sostenibile sottoponendone la valutazione ad un’amministrazione comunale.
Centinaia di studenti della secondaria di secondo grado si sono spostati sul territorio, dentro la vita familiare o fuori, a scuola, nel mondo del volontariato o del tempo libero, nella politica per incontrare soggetti attraverso la mediazione di una tecnica giornalistica, l’intervista. Si è trattato di veri propri incontri attraverso i quali si è voluto attivare pratiche di riconoscimento e legittimazione dei soggetti stessi e del contesto comunità. Per capire un po’ di più il meccanismo delle regole che sottendono le pratiche comunitarie, il senso delle reti e della costruzione del bene comune.
Se l’incontro è interazione, questo ha dato modo ai ragazzi e ragazze di conoscere, prendere coscienza del fatto che dentro i luoghi dove vivono ci sono attori, risorse, strategie e norme. Attraverso questo esercizio di ricerca essi hanno assunto un ruolo, senza il quale non ci sarebbe potuta essere partecipazione, e attraverso di esso hanno raccolto ed espresso problemi, elaborato soluzioni, cercato di promuovere lo sviluppo del senso di appartenenza ai luoghi e alle comunità plurali che essi abitano. “Attraverso questo progetto ho imparato ad essere più curioso ed indagare il parere altrui”.
Al di là dei sogni o di quello che si pensava all’inizio del percorso – il contenitore semantico “partecipazione” evocava sempre l’idea di amicizia, gruppo, fare insieme progetti, collaborazione, ecc. – quello che è emerso con forza alla fine è che il processo partecipativo è soprattutto esigente. “La coordinazione tra le parti, il rispetto dei tempi, l’ascolto e l’equa distribuzione del lavoro da svolgere sono aspetti difficili della partecipazione”. “Abbiamo incontrato delle difficoltà nel lavorare in gruppo: c’è chi dice ‘faccio io perché lo faccio meglio’ o ‘non lo so fare’ o ‘non lo sapevo’; chi invece pensa ‘meglio che facciano gli altri’”; così “abbiamo trovato delle strategie: dividersi i compiti e ognuno rispetta il proprio; avere una condizione autorevole; darsi una data di scadenza da rispettare”.
Inoltre non basta esserci, non è sufficiente condividere un’aula o una casa o una palestra, non basta esprimere un bisogno o un problema, serve dell’altro. In molte interviste svolte in famiglia sul tema delle regole è stato riportato chiaramente di come proprio la famiglia sia uno dei luoghi in cui si viene più spesso esclusi dal processo di decisione. La conclusione dei giovani intervistatori è stata che se le persone, poco importa l’età, il genere, o altro, vengono escluse dal processo di decisione e non hanno potere di influenzamento, significa che la partecipazione è viziata.
Èstato smentito il detto “partecipare è inutile perché quelli che contano hanno già deciso”: per noi è “prendere parte ad un progetto partecipando in modo attivo e con interesse, condividendo idee, spunti di riflessione e interagendo con gli altri componenti del gruppo per raggiungere un obiettivo comune”.
La partecipazione è qualcosa di rivolto alla collettività; richiede volontarietà, collaborazione, propositività”– sostengono le studentesse e gli studenti di un liceo delle scienze umane. Su questa considerazione si può far leva per riattivare le condizioni per lo sviluppo del senso di responsabilità o di proprietà rispetto al problema, per abilitare le competenze a partecipare, per far percepire alle persone che hanno un potere, per accrescere il senso di appartenenza alla comunità.
Partecipare infatti significa aumentare lo spazio di possibilità di influenzare, cambiare, trasformare la realtà o le realtà alle quali si appartiene. Si tratta di un sentimento di controllo rispetto alla propria situazione, al proprio contesto di vita. È la capacità percepita o effettiva di influenzare le decisioni. È una modalità per accrescere il proprio potere. A livello personale, quindi, ognuno di noi ha bisogno di occasioni per diventare attivo/a nel processo decisionale in modo da migliorare il proprio spazio di vita.
Tutto questo e chiaramente ben altro, è stato vissuto da migliaia di giovani della scuola primaria e secondaria di Padova e Trento durante l’anno scolastico appena trascorso. Cosa resta di tutto ciò nelle loro menti? Forse qualche frammento sbiadito del complesso puzzle che compone la World Social Agenda.
Noi ripartiamo con un nuovo anno in cui alle parole partecipazione e comunità, agganceremo territorio e responsabilità. Indagheremo le relazioni tra i progetti sociali e le logiche ambientali. Proveremo a scoprire cosa regola le decisioni che riguardano i territori e quanto l’ambiente sia attore o spettatore di queste dinamiche.“Collaborare ed organizzarci meglio prendendoci più responsabilità” è uno degli insegnamenti appresi che un gruppo di liceali del primo anno riporta come esito del progetto. Infine, la sollecitazione proveniente da chi ha dichiarato che uno degli aspetti da approfondire maggiormente è il “ruolo attivo di ogni cittadino nella vita della comunità locale, statale, globale nelle loro reciproche relazioni”, può solo darci una spinta per continuare nel percorso educativo intrapreso.
Sara Bin

(1976) vive in provincia di Treviso e lavora a Padova. É dottore di ricerca in geografia umana; ricercatrice e formatrice presso Fondazione Fontana onlus dove si occupa di progetti di educazione alla cittadinanza globale e di cooperazione internazionale; è docente a contratto di geografia politica ed economica; ha insegnato geografia culturale, geografia sociale e didattica della geografia. Collabora con l’Università degli Studi di Padova nell'ambito di progetti di educazione al paesaggio e di formazione degli insegnanti. Ha coordinato lo sviluppo e l'implementazione dell'Atlante on-line in collaborazione con il Ministero dell'Istruzione, del'Università e della Ricerca. Dal 2014 fa parte del gruppo di redattori e redattrici di Unimondo. Ha svolto attività didattica e formativa in varie sedi universitarie, scolastiche ed educative ed attività di consulenza nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Tra i suoi principali ambiti di ricerca e di interesse vi sono le migrazioni, la cittadinanza globale, i progetti di sviluppo nell’Africa sub-sahariana, lo sviluppo locale e la sovranità alimentare. Ha svolto numerose missioni di ricerca e studio in Africa, in particolare in Burkina Faso, Senegal, Mali, Niger e Kenya. E' membro dell'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia e presidente della sezione veneta.