Il lavoro come pratica di riscatto: buone pratiche e prospettive di comunità

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Foto: Unsplash.com

Con l’incontro dello scorso 13 gennaio gli appuntamenti formativi della World Social Agenda cominciati a settembre 2020, rivolti agli insegnanti di ogni ordine e grado e dedicati ad approfondire alcune delle molteplici prospettive sul tema del lavoro si sono conclusi e lo hanno fatto all’insegna di una riflessione sul lavoro degno che ha ripreso gli spunti iniziali non solo sul diritto al lavoro, ma proprio sul diritto a un lavoro dignitoso.

La scelta, per questo incontro conclusivo, non poteva che cadere su tre testimonianze di rilievo all’insegna di buone pratiche ed esperienze positive per quanto riguarda l’inclusione professionale e la tutela di un lavoro che guardi al futuro. Protagonisti di quest’ultima riflessione sono stati tre esperti dei territori di Trento e Padova, che hanno raccontato le loro storie personali e professionali all’interno di contesti dediti all’inclusione e alla valorizzazione del lavoro e dei lavoratori stessi.

La prima voce è stata quella di Angie Rocio Diaz Plazas, antropologa e responsabile dell’ufficio progettazione di Caritas Vittorio Veneto, che ha portato il suo punto di vista sul lavoro minorile: da oltre dieci anni collabora infatti anche con l’associazione NATS per… Onlus (Niños Adolescentes Trabajadores), in qualità di ex bambina lavoratrice a Bogotà, in Colombia, in uno dei quartieri più popolari della capitale. Una realtà segnata da marginalità sociale ma anche economica, dove il lavoro è estremamente precario e fragile e il livello di istruzione basso, fattori che determinano una vita incerta non solo per i genitori ma anche per i loro figli. Ecco perché molti bambini iniziano in tenera età le attività produttive, a volte fuori dalla famiglia ma spesso dentro la comunità, con ruoli specifici di supporto e cura. Una posizione che, nelle sue forme legali e dignitose, non ha solo un peso economico sulle dinamiche familiari, ma marca anche un’identità specifica in termini valoriali a livello sociale e comunitario, riconoscendo uno status anche decisionale nelle relazioni. È un punto di vista sul lavoro minorile che indubbiamente sposta la riflessione oltre l’indispensabile tutela di bambini e bambine e mette in luce come, se declinato nelle giuste forme, il lavoro sia strumento di inclusione, crescita e consapevolezza determinante per il tessuto sociale ma prima ancora per lo sviluppo della personalità e del benessere stesso dei minori coinvolti.

A seguire è intervenuta Ornella Favero, giornalista e direttrice responsabile della rivista Ristretti Orizzonti, nonché presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, che ha condiviso una testimonianza sul contesto delle carceri patavine, nello specifico del carcere Due Palazzi. Indubbiamente la dimensione della reclusione aumenta la complessità, anche per il tema del lavoro, le cui dinamiche sono messe in discussione non solo dal fatto che la persona è in quel momento in una condizione di svantaggio, ma anche autrice di reati a volte anche gravi. Chi non lavora nel linguaggio del carcere è un “oziante”, un concetto desolante per una realtà che in Italia, su circa 53.000 detenuti, conta solo circa 15 mila persone che lavorano (più che altro per coprire i costi di piccole spese all’interno del carcere stesso), con numeri ancor più bassi per coloro che vengono coinvolti in attività esterne, per esempio nelle cooperative. Esiste purtroppo ancora una diffusa mentalità che vede nella pena un’espiazione mai sufficiente e che ritiene giusto essere privati di tutto per ripagare il crimine commesso, senza considerare che in questi ultimi anni spesso il carcere è l’esito del fallimento di servizi mancanti per i cittadini, che quindi non diventano criminali per scelta ma anche per necessità. La strada, impervia, che in ogni caso vale la pena percorrere è quella che va oltre il puro reinserimento lavorativo e prende al contempo in considerazione percorsi di assunzione di responsabilità del reato e della pena, nonché momenti di profonda riflessione sui comportamenti e sulle conseguenze, in costante esercizio nella capacità di vedere e riconoscere l’altro da sé.

E proprio la sfida di vedere l’altro e di dare valore al lavoro la accompagna, nel suo essere ricca e stimolante, la Cooperativa ALPI di Trento, di cui Silvano Deavi è direttore. Si tratta di una cooperativa sociale di tipo B che ha lo scopo prioritario di offrire e creare opportunità di lavoro per persone in condizioni di disagio, focalizzandosi sull’“avviamento al lavoro su progetti individualizzati”, non a caso acronimo proprio di A.L.P.I. che è al tempo stesso cooperativa e impresa. Nata all’interno di un’aula scolastica grazie al carisma di un’ex insegnante che ha fortemente voluto costruire un ponte tra il momento formativo e quello lavorativo, considerati entrambi come tappe di quell’investimento su se stessi necessario per crescere, imparare e diventare, la Cooperativa persegue con costanza e convinzione il desiderio di investire sulle persone, rendendole parte di un percorso da fare insieme. 

Tre sguardi diversi quelli di Angie, Ornella e Silvano su tre orizzonti che, pur nelle loro specificità, restano uniti da un filo sottile e determinante per la riuscita di questi progetti: il diritto a un lavoro dignitoso per tutti e tutte come condizione imprescindibile per lo sviluppo dell’identità dei singoli e di una comunità consapevole e in continua evoluzione. Tre sguardi che si concretizzano in tre desideri…

Per Ornella… che la passione sia sempre motore delle nostre azioni

Per Silvano… che le sfide siano sempre condivise, perché mondi e istituzioni diverse possano convergere sugli stessi obiettivi

Per Angie… che la sperimentazione del rispetto, del riconoscimento e della fiducia accompagnino sempre la crescita professionale e personale di ciascuno.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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