Lavoro, dignità e identità: la grammatica dei diritti

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Foto: Unsplash.com

Anche per quest’anno scolastico la World Social Agenda non si è lasciata sfuggire l’occasione di approfondire l’Agenda 2030 e i traguardi ambiziosi che pone. Da qui viene il desiderio di interrogarsi, assieme al mondo della scuola, sul tema del lavoro e dei diritti a esso connessi o con esso negati, proprio perché il lavoro è strumento di godimento della vita, che non si traduce solo in prestazione stipendiata ma che è uno dei tanti modi di costruire la propria identità e di esprimere il proprio sé.

La formazione, dedicata ai docenti di ogni ordine e grado e pensata interamente online per far fronte alle difficoltà che il periodo pone in termini di distanziamento fisico e prevenzione, è iniziata il 30 settembre scorso con un incontro introduttivo che ha esplorato il lavoro a partire proprio dai diritti di tutti e tutte con l’aiuto del professor Andrea Sitzia, associato di diritto del lavoro nella Scuola di Economia e Scienze Politiche dell’Università di Padova e membro del patavino Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”. Partendo da alcune domande cruciali: come siamo arrivati a costruire questo diritto e a definirlo universale? Quali criticità pone la sua universalità? Con quali sfide ci mette a confronto il diritto al lavoro a livello nazionale e globale, sapendo che per una buona parte di umanità è ancora negato? Come si combina con la crescita economica, considerando che spesso è essa stessa produttrice di sfruttamento e disuguaglianze?

È evidente che le ombre non mancano, a maggior ragione se si considera, come suggerito in apertura, che la Convenzione n. 29 dell’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) per l’eliminazione del lavoro forzato, ratificata da un gran numero di Paesi, è del 1930, ma che il suo principale obiettivo risulta ancora non ovunque raggiunto, o non rispettato da tutti i firmatari. Eppure il cosiddetto travail décent, il lavoro dignitoso, è focus primario che si pone l’ILO, quantomeno facendo riferimento alla dichiarazione del Direttore Generale Juan Somavia del 1999, che aveva tracciato un’indicazione generale proprio di lavoro dignitoso e produttivo, qualificandolo come lavoro che si svolge “in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità”… e quindi non delineando un diritto a un lavoro “qualunque”, ma specificandolo come tale solo se svolto in determinate condizioni. Ma come si declinano queste affermazioni, deducendole dalle Convenzioni internazionali e in particolare dalla Dichiarazione ILO del 2008, quella sulla giustizia sociale? Creando opportunità di occupazione e remunerazione per tutti/e, garantendo i principi e i diritti fondamentali nel lavoro, rafforzando ed estendendo la protezione sociale e promuovendo il dialogo sociale. In pratica: il lavoro non è una merce, è parte integrante della lotta alla povertà, deve prevedere l’affermazione della libertà di associazione ed espressione e deve garantire parità di condizioni alle rappresentanze sindacali. Elementi che, guarda caso, collimano con l’Obiettivo 8 dell’Agenda 2030.

Eppure un diritto del lavoro maturo (come quello italiano, che sta però attraversando una fase di progressiva regressione) ha una funzione anti-concorrenziale, affermazione di una verità evidente e origine stessa delle istanze di flessibilità che si fanno sempre più presenti e sempre più attuali. Abitiamo una terra di mezzo dai confini labili, dove la vulnerabilità non sta solo nelle persone, ma anche nella debolezza contrattuale che definisce i loro rapporti di lavoro. Basti pensare alla recente firma del contratto collettivo per i riders, contrastata conquista di garanzie che pure porta a galla i lati oscuri di un controllo sempre più pervasivo grazie alla tecnologia, supporto irrinunciabile dei nostri tempi, ma anche strumento di una presenza datoriale più sottile e più nascosta (si pensi semplicemente alla questione della geolocalizzazione). Un pensiero che, di necessità, va di pari passo con un diritto fondamentale alla disconnessione…

Il professor Sitzia non esita in chiusura a profilare alcune criticità, che non hanno a che vedere solo con il ruolo del digitale, ma anche con il rapporto tra subordinazione, autonomia e delocalizzazione (lavoro agile, costi della regolazione aziendale), con la relazione tra privacy e intelligenza artificiale (controllo umano delle macchine, profilazione automatica dei candidati), nonché con la libertà di associazione sindacale e la rappresentanza collettiva (in Italia abbiamo più di 700 contratti collettivi e non esiste un criterio per capire quale sia quello applicabile, con il rischio di lasciare ingovernato il mondo delle relazioni industriali e della contrattazione).

Ma cosa impone il diritto al lavoro alla Repubblica? Impone di promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto (art. 4 co. 1, Cost). E, dunque, a che punto siamo su questo fronte?

Tra soprusi e tutele, sono temi che verranno approfonditi e declinati negli appuntamenti successivi, perché la formazione continuerà nelle prossime settimane con un calendario intenso e ricco di spunti e relatori di rilievo (qui tutti gli incontri e le informazioni per iscriversi), che accompagneranno i partecipanti in una riflessione di dignità, che permetta a ciascuno e ciascuna di pensare, anche in questi termini, il proprio futuro.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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