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Adolescenti e sessualità: proibire per proteggere… e ottenere cosa?
Giovani
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Immagine: Unsplash.com
Quando sento parlare di LGBTQ+, la prima cosa a cui penso è la frase, sicuramente non recentissima ma purtroppo ancora molto attuale, del giornalista Saverio Tommasi: “I diritti sono come la luce del sole. Se io mi abbronzo a te non rubo niente.” Mi è sempre rimasta impressa perché rende sinteticamente l’idea di quello che sembra uno dei nodi fondamentali della questione. Che sta, tanto per cambiare, in una domanda: anche se non fossi d’accordo con le scelte di vita e le possibilità di espressione che il godere di un determinato diritto apre a qualcun altro, cosa ne perdo io?
Il dibattito sembra troppo spesso infiammarsi proprio su queste rimostranze: se tu puoi vivere una vita migliore, che risponde alle tue aspettative, alle tue inclinazioni, al tuo bisogno di realizzarti e di esprimerti come persona, io ne traggo uno svantaggio. Intorno a questo presunto svantaggio vorticosamente ruotano ridicole argomentazioni morali, religiose, di decoro, di ciò che è naturale e ciò che non lo è. Intorno a questo presunto svantaggio si annidano l’ignoranza, la paura, la supponenza di immaginare che per tutti la vita sia a nostra immagine e somiglianza, senza possibilità di varianti.
Da qualche tempo però ripenso spesso anche a un’altra osservazione: un amico, professore in una scuola superiore, raccontandomi di come va la vita tra aule, adolescenti e genitori, ha commentato: “I ragazzi hanno solo il porno come riferimento”. Una frase che mi ha colpita, e non certo per un bigottismo di ritorno. Mi ha colpita perché se gli adolescenti di un tempo, cresciuti con una discreta educazione sessuale impartita dai film pornografici, sono diventati gli adulti insicuri di oggi, schiacciati sotto il peso degli stereotipi, delle aspettative, dell’ansia da prestazione... Come saranno gli adulti di domani, con il carico di avere sempre meno alternative? Saranno quelli che vivranno l’omosessualità come l’accettabile eccitazione di un filmaccio da quattro soldi? Quelli che penseranno al godimento come al risultato, e non come al percorso? Saranno persone che parlano sempre meno, che sempre meno si guardano negli occhi e sempre meno si scoprono umane, diverse, libere, piene di desideri e bisogni? Persone che alzano la voce contro i diritti degli altri, ma che si eccitano per una momentanea eccezione?
Un quadro che non si esime dalla repressione dei desideri, dai silenzi, dall’assenza di dialogo e dalla mitizzazione di atteggiamenti proibiti di cui essere copia privata e condanna pubblica. Una vita schizofrenica, che di rassicurante imitazione si nutre e che nell’imitazione si spegne.
E probabilmente proprio l’imitazione ha un peso psicologico determinante: messa al muro dal terrore che la sola vicinanza con la diversità sia pericolosa fonte di degrado del corpo e dello spirito, la società che si va delineando è una società che vive di identità negate. Per vergogna, per paura, per legge. Lo confermano battute, bullismo, aggressioni. Ma anche prese di posizione ufficiali come quella del presidente dell’Ungheria Viktor Orbán (estrema destra, in Europa alleato con i partiti italiani di Giorgia Meloni e Matteo Salvini, perché anche in Italia abbiamo fior fior di valorosi combattenti in nome della morale e della tradizione). Alla sua crociata contro il mondo LGBTQ+, Orbán ha recentemente aggiunto un nuovo tassello che rafforza le discriminazioni e le limitazioni già in atto: nella legge contro la pedofilia è stato inserito quatto quatto un emendamento che equipara l’omosessualità alla pedofilia in quanto pericolo per i minori e vieta la diffusione di materiali che affrontino temi di genere, per tutelare i più giovani da pressioni che possano compromettere il loro sviluppo e per offrire maggiore tutela alle vittime di abusi.
Insomma, si rischia la censura su prodotti televisivi come Bridget Jones, Billie Elliot, Friends, Harry Potter ma soprattutto si demanda l’educazione sessuale alle famiglie e la si estromette dalla scuola, senza considerare che le famiglie spesso sono luoghi di silenzio e condanna e che proprio la scuola, invece, dovrebbe garantire lo spazio di civiltà e confronto in cui la personalità di un adolescente si plasma nel contatto con gli altri.
Se l’Unione Europea ha ribadito il suo impegno per la non discriminazione, se dall’altra parte del mondo intanto si improntano intere politiche di governo sulla tutela dei diritti LGBTQ+, se le organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International stanno monitorando e contrastando episodi di ostilità e le proteste si sono riversate nelle piazze, sono anche i fatti, l’esperienza e innumerevoli studi afferenti a diverse discipline come psicologia, sociologia e pedagogia a dirci ben altro. Se qualcosa compromette lo sviluppo di un individuo è l’assenza della libertà di potersi pensare in modo unico, di sentirsi visto, riconosciuto, accettato. E il rischio si annida proprio nella limitazione di quelle libertà che non fanno danno ad altri, ma permettono all’essere umano di realizzare se stesso e le proprie potenzialità, in una sana identificazione di se. Perché, in fondo, non è semplicemente questa l’identità di genere?
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.