Profitto vs foreste

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Foto: Unsplash.com

La Giornata dell'Amazzonia del 5 settembre scorso (data in cui, nel 1850, il Príncipe D. Pedro decretò la creazione della Província do Amazonas oggi Estado do Amazonas) ci ricorda che il sovra-sfruttamento della foresta (non solo amazzonica) ha un prezzo enorme in termini di biodiversità. Il profitto di pochi a scapito della foresta genera perdite a livello eco-sistemico inestimabilinonostante uno sviluppo più sostenibile sia possibile senza dover distruggere questa importante fonte di servizi ecologici. Eppure anche quest'anno in Amazzonia sono stati stabiliti dei record negativi: da gennaio ad agosto di quest'anno sono stati registrati il 5,8% in più di incendi boschivi rispetto allo stesso periodo del 2020 e nel solo agosto l'aumento su base annua è stato ancora maggiore, pari al 17,1%. In quel mese l'agenzia spaziale brasiliana INPE ha registrato 28.060 incendi. I tre anni con più incendi boschivi sono stati il 2019, il 2020 e il 2021 proprio gli anni in cui il Governo del presidente brasiliano Jair Messias Bolsonaro è al potere. Un caso? Per Associazione per i Popoli Minacciati (APM), “Questo mostra chiaramente la dimensione politica del problema: Bolsonaro incoraggia lo sfruttamento economico dei territori con tutti i mezzi facendo il gioco della lobby agricola e mineraria, che può così esportare più merci  anche in Europa". Per i popoli indigeni dell'Amazzonia, per il clima e per l'ambiente a livello mondiale, questa politica risulta però fatale.

Secondo l'APM, infatti, le azioni, la retorica e i vari progetti di legge del governo del Brasile stanno spingendo verso la distruzione dell'Amazzonia e dei popoli indigeni: “il governo Bolsonaro sta puntando su progetti di legge che danneggiano l'ecosistema amazzonico. In particolare, si tratta di leggi che mirano a indebolire i diritti degli indigeni. E questo perché gli abitanti indigeni dell'Amazzonia cercano di proteggere i loro territori dagli intrusi e di preservare le foreste e la biodiversità”. Oltre al disboscamento illegale e all'accaparramento delle terre per l'industria agroalimentare, l'estrazione illegale dell'oro è uno dei più grandi problemi dell'Amazzonia. Per i satelliti di osservazione dell'INPE, “il 72% di tutte le ricerche d'oro in Amazzonia quest'anno hanno avuto luogo in territori indigeni o in aree protette”. Per l’APM “la ricerca illegale di oro in Amazzonia è aumentata in pochi anni del 13,44%. Nella sola terra indigena di Ituna-Itatá, le invasioni dei cercatori d'oro sono aumentate del 650%. L'anno scorso, nessun territorio indigeno ha visto un disboscamento più aggressivo. Ora il 94% di questo territorio indigeno è rivendicato come proprietà privata”.  

Anche questo fa parte della strategia di Bolsonaro: “Diversi progetti di legge mirano ad assegnare territori indigeni a privati e imprese non indigene. Si stima che il disegno di legge PL 2633/20 abbia il potenziale di liberare da 55 a 65 milioni di ettari di terra per lo sfruttamento. Il disegno di legge PL 510 aprirebbe la strada all'occupazione di 24 milioni di ettari di foreste pubbliche. Il disegno di legge PL 191/20 legalizzerebbe l'estrazione mineraria, l'energia idroelettrica, l'agricoltura industriale e l'esplorazione di petrolio e gas nelle aree protette indigene”. Non c’è poi da stupirsi se secondo alcuni studi, l'occupazione illegale della terra in Brasile è aumentata del 274% tra il 2018 e il 2020. Ma il metodo predatorio ed illegale di gestire la foresta non si limita, lo sappiamo bene, al solo Brasile e spesso attraverso il commercio e la globalizzazione varca molti confini, compresi quelli europei e del Belpaese. Secondo il network internazionale Salva le Foresteche riprende il rapporto pubblicato dall’Environmental Investigation Agency (EIA) dal titolo “The Italian Job”,  “L'Italia è un crocevia del commercio di legname sotto embargo proveniente dal Myanmar”. Di fatto, anche se in seguito al colpo di stato militare, l’Unione Europea ha stabilito sanzioni sul commercio con questo paese, il legname birmano continua a entrare in Europa attraverso l’Italia. 

A dirlo sono i risultati di diciotto mesi di investigazioni che sollevano interrogativi gravi su come le autorità italiane e quelle dell'Unione europea abbiano permesso a questo commercio di continuare praticamente incontrastato sotto i loro occhi. Per Faith Doherty dell'EIA. “Numerose sentenze hanno reso ben chiaro che è impossibile importare teak o altri legnami dal Myanmar e rimanere in conformità con il Regolamento europeo sul legname (EUTR)” e “Questo era già ben chiaro prima che quest’anno fossero decise sanzioni mirate a tutelare lo sfruttamento delle risorse naturali del Myanmar”. A chi ha continuato ad importare legname del Myanmar sono state comminate solo multe irrisorie e questo commercio ha continuato a crescere. Dal colpo di stato in poi, tra marzo e maggio di quest'anno, alcuni importatori italiani hanno acquistato tra 1,3-1,5 milioni di euro di prodotti in legno dal Myanmar, operazione che gli importatori hanno dichiarato di effettuare con tutta la documentazione in regola. Eppure “Continuando il normale commercio di legname, queste imprese stanno sostenendo la giunta militare e la sua brutale repressione del popolo del Myanmar, oltre che la continua distruzione delle foreste del paese”, ha continuato Doherty.

L'Italia ha una lunga storia di scambi commerciali con il Myanmar. Secondo i dati ufficiali le importazioni di legname dal Myanmar in Italia sono aumentate nel corso degli ultimi anni, arrivando a dominare il commercio dell’Unione Europea anche dopo il golpe. L'indagine di EIA mostra come diverse aziende italiane stiano triangolando il legname del Myanmar anche verso altri paesi europei, mentre in altri Stati membri dell'Unione come Belgio, Germania Olanda, le importazioni di legname sono crollate in ottemperanza ai nuovi limiti previsti dalla legge europea. “La popolazione del Myanmar ha chiesto di fermare il flusso di fondi che sostengono i militari golpisti”, ha concluso Doherty. “Sono state imposte sanzioni all’impresa statale Myanmar Timber Enterprise e alle entità commerciali militari che supportano la giunta. Gli Stati membri dell’Unione Europea, e in particolare l'Italia, non possono continuare a voltare le spalle al popolo del Myanmar”.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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