“Mangia come parli”: quando il cibo diventa azione e narrazione

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Fin da bambini le fiabe e le storie ci lanciavano un messaggio importante: le parole hanno potere. Quello di liberarci da un incantesimo, così come di sottometterci, quello di mostrarci la verità delle cose così come quello di nasconderla. Non solo: le parole ci definiscono e ci raccontano, trasformando il loro significato nel tempo perché riflettono il nostro cambiamento e quello delle nostre abitudini, anche e soprattutto negli atti più “naturali” e indispensabili come quello del mangiare. E' così che Cinzia Scaffidi, direttrice del Centro studi di Slow Food, nel suo libro intitolato “Mangia come parli - Com’è cambiato il vocabolario del cibo”, è stata capace di ritrovare e restuirci le storie che queste parole legate al cibo raccontano di noi, insieme a tutti i collegamenti che in quest'epoca di bombardamenti mediatici e velocità supersonica – dell'informazione, delle mode, dei ritmi di vita – abbiamo in gran parte perduto. Avvalendosi dello strumento perfetto allo scopo: appunto, il vocabolario. 

Si tratta infatti di cento parole, dalla A di “agricoltura” alla Z di “zappare”, che, come le formule magiche della nostra infanzia, se lette con attenzione hanno il potere di liberarci dal sortilegio dell'ignoranza e, di conseguenza, di restituirci la nostra capacità di scelta: non solo di ciò che mangiamo ma di ciò che vogliamo essere, oggi e nel futuro, in relazione a ciò che ci circonda e vive insieme a noi. E quindi gli esseri umani, certo, ma anche gli animali, le piante e l'ambiente in generale. Che è anche il motivo per cui questo libro è stato presentato la settimana scorsa alla sala stampa della Camera dei Deputati: “Parlare di cibo significa parlare di cultura, educazione, lavoro, economia, legalità. Significa anche parlare di democrazia, di sovranità e di politica” ha detto Gianni Cuperlo del Pd, tra i relatori della giornata, che coglie anche l'occasione per una piccola autocritica: “Dietro alla parola cibo c'è un intero governo. Non averlo saputo comprendere è stato, purtroppo, uno dei nostri grandi limiti”.

Tantopiù in un periodo in cui il cibo è diventato un concetto abusato – si pensi alla bulimia televisiva di programmi culinari, a tutte le ore e in tutte le salse – che però nel libro della Scaffidi si trasforma in un “piede di porco” (espressione usata da Susanna Cenni, deputata Pd, organizzatrice dell'incontro) per scardinare e rimettere in discussione concetti che apparivano immutabili. “Il vocabolario in realtà è un trucco per mettere insieme una serie di racconti che gli oggetti e le parole legate al cibo evocano nel tempo” spiega Cinzia Scaffidi. Come “biodiversità”, che si è imposta con fatica ma oggi gode di dignità e rispetto, o parole rivalutate soprattutto in questi tempi di crisi, come “vecchio” e “lento”; parole dai molteplici significati come “mercato”, che evoca scenari spaventosi o positivi a seconda che sia scritto con la lettera maiuscola o minuscola, e ancora parole che invocano difesa e protezione come “sementi”, o “bambini”: “Oggi bambini significa piccoli clienti, e guarda caso il cliente ideale é proprio quello poco maturo e meno informato” commenta il giornalista Paolo Volterra, qui in veste di moderatore, riferendosi al bombardamento pubblicitario di cui i piccoli sono vittime inconsapevoli e spesso inermi. Ecco qui che il cibo diventa anche “educazione”, concetto che a seconda del racconto ci porta dritti a parole come “sicurezza” e  “legalità”. Perchè una delle domande più importanti de nostro tempo è: quanto sappiamo di quel che mangiamo?

Pensiamo alla parola “etichetta”, che dovrebbe elencare gli ingredienti di un prodotto, di un alimento. Ma basta così? Ovviamente per la Scaffidi no. Ad esempio, sappiamo che i cosiddetti “aromi naturali” sono in realtà quasi sempre prodotti di sintesi? E se acquistiamo un prodotto di origine animale, sappiamo da che allevamento provengono quegli animali? Cosa hanno mangiato, di quale razza sono, come sono stati trattati? Sappiamo chi sono le persone che si sono incaricate della trasformazione in alimento, e quale tipo di relazione hanno con quel lavoro? “Ci vuole ben altro che un secco elenco di ingredienti senza specificazioni, senza storia – afferma l'autrice – Quella che Slow Food chiama l’Etichetta Narrante non è dunque solo un elemento di comunicazione, di promozione (di cibi e territori) e di educazione alimentare. È uno strumento di democrazia, di realizzazione del bene per i molti”.

Ed ecco anche come, da una sola parola – in questo caso “etichetta” – esplode un contesto tutto da esplorare, che parte dall'oggetto e spazia nei campi dell'economia, dell'etica, della legge e, ancora una volta, della politica. Dal particolare all'universale e viceversa, perché alla fine anche il comportamento del singolo, insieme alla sua maggiore consapevolezza, può fare la differenza. “Un volume in cui ricerca e gesti si combinano per dare vita a un vocabolario indispensabile per affrontare le questioni della modernità” commenta infatti il responsabile Ambiente di Coldiretti, Stefano Masini; mentre Chiara Braga, deputata e responsabile ambiente del Pd, mette l'accento sul concetto di sovranità alimentare e della costruzione di “un nuovo rapporto con il cibo” che possa portare a “un nuovo modello di sviluppo che metta finalmente al centro la qualità e la sostenibilità ambientale”.

“Ho provato a raccontare come siamo cambiati in questi anni, come società e come individui – spiega Scaffidi – Come è cambiato la nostra relazione con il cibo, l’ambiente e l’acquisto. Quando le cose e le persone cambiano anche le parole che le descrivono assumono un diverso senso, o un diverso segno, e finiscono per raccontare di noi, mentre noi le usiamo per raccontare altro”.

Anna Toro

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