L’opposizione a Netanyahu e le sfide per la democrazia israeliana

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La  Knesset - Immagine da Unsplash.com

L’intervento della deputata Naama Lazimi alla Knesset — in cui ha rivolto al primo ministro Benjamin Netanyahu l’accusa esplicita: «Ti accuso… di finanziare Hamas e di incoraggiare il terrorismo per tuo tornaconto» — (era il 12 novembre 2025) è un gesto politico che sintetizza la tensione drammatica tra opposizione e governo in Israele.Le parole di Lazimi non sono isolate: sono parte di una serie di attacchi pubblici, proposte parlamentari e mobilitazioni civiche che cercano di mettere in discussione la linea e la legittimità dell’esecutivo.

La radice del conflitto è duplice. Da una parte c’è il profilo della coalizione guidata da Netanyahu, tra le più a destra e religiose della storia recente: un blocco che include partiti nazionalisti e ultrareligiosi, favorevole a politiche di espansione e a un deciso ridimensionamento dei controlli giudiziari. Dall’altra c’è un’opposizione eterogenea — dalla sinistra sionista ai centristi laici — che denuncia la riforma giudiziaria come un attacco all’indipendenza della magistratura e contesta la gestione della guerra a Gaza, accusando il governo di usare l’emergenza per consolidare il potere. Le proteste di piazza contro la riforma e gli appelli alla tutela dei diritti hanno mantenuto la questione pubblica al centro del dibattito.

Negli ultimi mesi vari esponenti dell’opposizione hanno preso la parola con tono sempre più aspro. Yair Lapid, leader di Yesh Atid e capo formale dell’opposizione, ha chiesto in più occasioni di salvaguardare i principi laici e democratici del Paese, mettendo in guardia contro la trasformazione della vita pubblica in una piattaforma di odio e di esclusione. I suoi interventi pubblici — anche in grandi manifestazioni — sono serviti a ricompattare una parte dell’elettorato preoccupata per la deriva istituzionale. Anche Benny Gantz e altri esponenti di centro-destra moderato hanno lanciato critiche nette sulla gestione della sicurezza e sul rapporto con gli alleati estremisti di governo.

Accanto a parole forti come quelle di Lazimi, l’opposizione usa strumenti parlamentari e legali per contestare l’esecutivo: mozioni, interrogazioni, richieste di commissioni d’inchiesta (in particolare sull’attacco del 7 ottobre e sulla gestione del dopo-attacco), e proposte di legge volte a limitare gli eccessi di potere del governo. Recentemente è cresciuta la tensione sulla possibile istituzione di una commissione statale d’inchiesta per il 7 ottobre: i tentativi del governo di ostacolare o circoscrivere la portata dell’indagine sono stati interpretati dall’opposizione come il modo di evitare responsabilità politiche, e ciò ha aumentato lo scontro verbale in aula. Vladimir Beliak e altri membri di Yesh Atid hanno denunciato manovre per “esentare” responsabilità politiche; Lazimi stessa ha indicato nomi e mosse parlamentari che, a suo avviso, mirerebbero a proteggere il premier.

La lettura della composizione numerica della Knesset è essenziale per capire la dinamica politica. Il Parlamento conta 120 seggi; la maggioranza è sottilissima e il governo si regge su una coalizione di partiti di destra, nazionalisti e religiosi. La ripartizione effettiva dei seggi (stato attuale del 25° Knesset, risultati elezioni 2022 e successive sostituzioni) è la seguente, che aiuta a comprendere perché il governo sia forte ma fragile:

La composizione della Knesset e il peso della coalizione di governo

La 25ª Knesset conta 120 seggi. L’attuale maggioranza che sostiene Benjamin Netanyahu è formata da una coalizione di partiti di destra, nazionalisti e ultraortodossi. La distribuzione dei seggi è la seguente:

  • Likud (Netanyahu): 32 seggi
  • Shas: 11 seggi
  • United Torah Judaism: 7 seggi
  • Religious Zionist Party: 7 seggi
  • Otzma Yehudit: 6 seggi
  • Noam: 1 seggio

La componente dell’estrema destra nazional-religiosa — Religious Zionist + Otzma Yehudit + Noam — conta complessivamente 14 seggi, fondamentali per mantenere la maggioranza a Netanyahu.

Nel campo dell’opposizione, la distribuzione è la seguente:

  • Yesh Atid (Lapid): 24 seggi
  • National Unity / Blue & White (Gantz): 8 seggi
  • Yisrael Beiteinu: 6 seggi
  • Labor: 4 seggi
  • Hadash–Ta’al: 5 seggi
  • Ra’am – United Arab List: 5 seggi
  • Altri piccoli gruppi e indipendenti: resto dei seggi

Questa geografia parlamentare spiega perché il governo, pur numericamente stabile, sia politicamente fragile: basta la defezione di uno dei tre partiti dell’estrema destra o di uno degli ultraortodossi per far cadere la maggioranza.

Questa distribuzione spiega due cose: 1. perché Netanyahu, pur essendo il partito singolo più grande, ha bisogno di partner spesso radicali per conservare la maggioranza; 2. perché eventuali defezioni anche di un solo partito di coalizione — come è successo in passato con United Torah Judaism — possono mettere a rischio la sopravvivenza dell’esecutivo. Reuters ha documentato come l’uscita di un partner ultra-ortodosso abbia reso la maggioranza estremamente fragile, lasciando Netanyahu in una posizione di continua negoziazione.

Dal punto di vista dell’opposizione, la fragilità interna della coalizione apre diverse possibilità politiche.L’opposizione può cercare di indebolire progressivamente l’alleanza di governo, alimentando il dibattito pubblico e mettendo in evidenza le contraddizioni tra i partiti che sostengono Netanyahu. L’obiettivo è duplice: provocare fratture che facciano cadere la maggioranza oppure creare le condizioni politiche per portare il Paese a elezioni anticipate.

Ma ci sono limiti concreti: l’opposizione rimane frammentata, con difficoltà a offrire un progetto alternativo unitario che concili sicurezza, diritti civili e prospettive economiche. Le parole d’ordine più incisive (salvaguardia della magistratura, richiesta di commissioni d’inchiesta, tutela delle libertà civili) servono a catalizzare l’opinione pubblica e a tenere alta l’attenzione internazionale, ma non bastano — finora — a ricompattare una maggioranza alternativa.

Infine, il contesto internazionale influisce moltissimo: pressioni dagli USA, dall’Unione Europea e dalle ONG internazionali aumentano il costo politico di misure che sembrano indebolire lo stato di diritto. L’opposizione cerca di sfruttare questo terreno — presentandosi come custode della democrazia e usando relazioni esterne per mettere sotto pressione il governo — ma rischia di essere accusata dal centro-destra di “strumentalizzare” forze esterne contro l’interesse nazionale. È una partita a più livelli: parlamentare, giudiziaria, mediatica e geopolitica.

L’attacco diretto di Naama Lazimi a Netanyahu è il sintomo più visibile di un conflitto profondo: non è solo una disputa sulle scelte di politica estera o di sicurezza, ma su quale Israël voglia essere — uno Stato in cui la separazione dei poteri e il pluralismo resistono, oppure una realtà in cui decisioni strategiche e limiti istituzionali vengono rimodellati secondo logiche di potere. L’opposizione ha oggi la capacità di mobilitare l’opinione pubblica e di mettere in luce nodi istituzionali cruciali; la sua sfida sarà trasformare questa pressione in una proposta politica unitaria e credibile, capace di sostituire una coalizione che, numeri alla mano, rimane forte ma esposta a scosse.

Di Giacomo Cioni

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