La banca delle evidenze

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Banca. Per investimenti economici, patrimoni, mutui e assicurazioni. Per i semi, in modo da preservare germogli di futuro per coltivazioni antiche e biodiversità. Per il tempo, da condividere con competenze e disponibilità. Per il sangue, per farsi fautori di una società più generosa e solidale. Ma anche per le evidenze, perché in un mondo dove tutto viene messo in discussione occorre avere un luogo dove poter trovare informazioni sicure, depositate da chi ha strumenti e basi per fornirle. 

L’idea è di un gruppo di scienziati che ha percepito la necessità di elaborare un piano decisamente ambizioso per contribuire a risolvere un’annosa questione che riguarda la comunità scientifica chiamata a supportare le decisioni governative: fornire le prove. Quello che stanno elaborando è un progetto con un budget di 70 milioni di dollari da investire nello sviluppo di strumenti che possano generare una rapida sintesi delle principali questioni scientifiche nel mondo. Lo scopo è garantire ai cosiddetti policymakers, ovvero coloro che prendono decisioni importanti e con conseguenze a livello globale, di potersi avvalere di “compendi scientifici” che li aiutino a mettere in campo politiche basate sui fatti, per affrontare temi anche molto critici, come per esempio quello del cambiamento climatico, o della salute mentale, o della disoccupazione.

Will Moy, a capo della Campbell Collaboration, organizzazione internazionale no-profit dal pay-off parlante che suona più o meno come “tutto ciò che il mondo ha bisogno di sapere per risolvere problemi di vitale importanza, in un unico posto”, ha dichiarato a Nature che “potremmo in effetti beneficiare immensamente di un mondo in cui ci siano sintesi che includano le prove per capire come affrontare le maggiori problematiche sociali”.

Da dove scaturisce questa necessità? Anche se i ricercatori generano un gran numero di studi in aree rilevanti per la politica, quei compendi che si trovano per alcune materie scolastiche e che facilitano l’operazione del “farsi un’idea” a tanti studenti, mancano di fatto per i decisori. Sprovvisti, oltre che di tempo per farsi o farsi fare ricerche più accurate e approfondite, anche di utili sintesi che mostrino il peso delle prove su svariate tematiche, si trovano a prendere decisioni in rappresentanza di una comunità, locale o globale che sia, senza avere – purtroppo molto spesso – la minima cognizione in materia. Tra l’altro, come rilevano dall’Economic and Social Research Council (ESRC), uno degli enti finanziatori britannici (insieme alla londinese Wellcome), “quella dei compendi è una domanda molto forte proveniente dai decisori, che però non trova corrispondente riscontro nell’offerta disponibile”. Ciò che serve è più o meno quello di cui già beneficiano i medici, ovvero (perdonate la semplicità con cui ve lo riassumo) revisioni sistematiche e meticolose che mostrano se un trattamento faccia bene o male. 

È evidente che nei gabinetti della politica l’idea di trascorrere mesi (o addirittura anni) per estrarre i nodi cruciali di una tematica sulla quale esistono massicce quantità di studi e ricerche, resta impensabile ed economicamente insostenibile. E visto che, a differenza di tante ricerche che beneficiano di consistenti disponibilità di denaro per i propri lavori, per preparare versioni accessibili e sintetiche di quei lavori il mondo investe pochissimo, ecco l’annuncio lo scorso settembre, in occasione del Summit of the Future delle Nazioni Unite a New York, di un ingente importo destinato proprio alla creazione di questi prodotti “di sintesi” che possano dare vita a un mondo migliore, anche attraverso la scienza. 

La scelta risponde anche all’urgenza di prendere posizione rispetto all’incremento degli strumenti che utilizzano l’IA e che, se da un lato possono favorire l’accesso a compendi anche riguardanti temi molto complessi, dall’altro le chatbot spesso generano prodotti che suonano come credibili, ma che potenzialmente inducono a incomprensioni o interpretazioni questionabili. Una sfida davvero da non sottovalutare, che ci pone ancora una volta davanti a una domanda tanto potente quanto inquietante, che già ci siamo posti in molte altre occasioni (dall’epidemia di Covid-19 alle guerre in corso alle scie chimiche, tanto per citare casualmente alcuni dei tanti fronti suscettibili) e cioè: troveremo il modo di dare credito a ciò che è davvero scientificamente provato e confermato e renderlo così inattaccabile rispetto a ciò che invece credibile non è?

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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