Estremo Oriente: nuovi venti di guerra tra le due Coree

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È il 26 marzo, quando al largo dell’isola di Baengnyeong, nel Mar Giallo, la corvetta sudcoreana “Cheonan”, con 104 uomini di equipaggio a bordo, viene centrata da un siluro e scende a picco verso il fondale. Quarantasei marinai non ce la fanno e muoiono nell’incidente, il più grave nella storia del Paese. Immediatamente parte lo scambio di accuse tra Seoul e Pyongyang. Giorno dopo giorno, la tensione tra i due Paesi si fa sempre più alta, anche se il regime di Kim Jong Il nega ogni coinvolgimento.

Il 20 maggio, l’indagine di un pool internazionale dichiara colpevole la Corea del Nord e la tensione arriva ai massimi livelli. Secondo gli esperti, la nave sarebbe stata colpita da un siluro lanciato da un sottomarino nordcoreano. Dal Nord minacciano di adottare “misure forti”, fino ad arrivare ad una “guerra generale”, se il Sud promuoverà nuove sanzioni. Ma il premier sudcoreano Lee Myung-bak non ci sta e non si lascia intimidire: prima sospende ogni tipo di scambio commerciale e chiede le scuse del regime comunista, poi annuncia di ricorrere al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per sanzionare Pyongyang .

La vicenda diventa, ogni giorno che passa, sempre più un caso internazionale. Gli Stati Uniti offrono il pieno appoggio alla Corea del Sud e il presidente Obama chiede alle Forze armate americane di coordinarsi con quelle sudcoreane per “assicurare la sicurezza e impedire future aggressioni”. Sulla stessa linea il vicino Giappone, da sempre ai ferri corti con Kim Jong Il. Mentre la Cina, che nella regione è l’unico Paese a sostenere il dittatore rosso, presa tra i due fuochi si spinge a definire “deplorevole” l’accaduto, invita alla calma e definisce il “dialogo” la via preferibile “al braccio di ferro”. Ma senza tuttavia appoggiare Seoul. Il resto è tutta una escalation di provocazioni, che rischiano ora di far affondare in un conflitto armato le due coree.

Pyongyang mette in stato di guerra i soldati e non accenna ad abbassare i toni. I militari annunciano che non si atterranno più ai termini dell’accordo sottoscritto tra le parti al fine di prevenire scontri tra le rispettive unità navali. Dal Sud fanno sapere che ogni interscambio commerciale con il Nord è interrotto, ad eccezione del distretto di Kaesong, al confine tra i due Paesi, che si trova su territorio del Nord. Kim Jong Il, in risposta, annuncia l’espulsione dal complesso di otto funzionari governativi del Sud. Altri 2mila sudcoreani, per la maggior parte quadri, dirigenti e manager, rischiano di fare la stessa fine in pochi giorni.

Sulla linea di demarcazione tra i due paesi, intanto, è molto plausibile riprenda la propaganda contro il regime che i militari sudcoreani avevano cessato da qualche anno, mentre il fronte marittimo rimane il più caldo. La flotta di Seoul, scortata da navi americane è uscita dai porti del Mar Giallo, mentre il Nord ha spostato navi verso il Sud. La capitale Seoul, 20 milioni di abitanti e vicina al confine con il Nord, rischia di avere i missili puntati contro e la popolazione ha già cominciato a prendere d’assalto i supermercati per fare scorte di cibo. L’incubo dell’ultima guerra che fu combattuta tra il 1950 e il 1953 torna a farsi sentire tra i coreani.

Seoul gioca le sue carte cercando di indebolire il nemico senza ricorrere alle armi. Ma lentamente sembra stia abbandonando anche questa soluzione. Gli stranieri, ha detto ieri il governo, sono invitati a lasciare il Paese.

Tra provocazioni e annunci, l’aria in estremo oriente si fa pesante. Tra le due Coree spirano venti di guerra e c’è il rischio concreto che la penisola coreana venga trascinata in un nuovo conflitto armato.

Andrea Bernardi (Inviato di Unimondo a Bangkok)

 

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Andrea Bernardi per il Corriere online:

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