Dossetti, aspettando l’aurora

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Il centenario della nascita di Giuseppe Dossetti, il 13 febbraio, cade negli ultimi giorni di campagna elettorale per un voto tanto significativo quanto incerto. L’Italia rimane un paese a rischio democratico, non a causa di derive autoritarie, molto improbabili dato il contesto europeo, ma piuttosto per un generale sfaldamento del tessuto connettivo che unifica le varie espressioni della società in un quadro di insieme il più omogeneo possibile. È evidente come il nostro paese abbia sempre faticato a trovare valori condivisi in grado di cementare il senso di nazione e di fortificare istituzioni intrinsecamente fragili e poco riconosciute dai cittadini.

Dossetti insegna che ogni crisi politica è soprattutto una crisi valoriale, non denunciata secondo la retorica della decadenza morale, del lassismo dei costumi o del relativismo culturale, ma colta nella sua valenza esistenziale e sociale e, per i cristiani, anche ecclesiale. Certo non possiamo paragonare la crisi che stiamo attraversando a quella precedente e successiva alla seconda guerra mondiale da cui, dopo le macerie e la devastazione, scaturì negli italiani una spinta di appartenenza collettiva a un unico destino di democrazia e di liberazione. Allora nacque la Costituzione, ardita sintesi tra diversi, positivo incontro delle migliori energie del paese. La carta costituzionale, della cui stesura Dossetti è stato uno dei principali artefici, rappresentò la risposta a quella crisi: essa non sancisce soltanto i principi democratici e liberali ma pure delinea una traiettoria possibile per lo sviluppo e la ricostruzione, materiale e morale, dell’Italia. Il fondamento sul lavoro, il pressante invito a rimuovere gli ostacoli verso una piena uguaglianza dei cittadini, il ripudio della guerra sono infatti indicazioni in positivo, che oggi dovrebbero trovare un nuovo significato.

Difficile trovarlo nell’attuale contesto politico pur in presenza di rari dirigenti di partito in grado di guardare oltre i sondaggi e le dichiarazione dell’ultimo minuto. Crediamo tuttavia che sia il mondo del no profit, del terzo settore maggiormente attrezzato per rinnovare – in maniera fedele al passato ma allo stesso tempo profondamente radicale nel cambiamento – lo spirito della nostra legge fondamentale. Rinnovarlo nella concretezza dei progetti dell’economia civile, del protagonismo civico delle comunità, del volontariato, del servizio civile nazionale; ravvivarlo negli appelli delle associazioni contro la corruzione, per la trasparenza, per i diritti di tutti, a cominciare dagli immigrati, nell’impegno attivo a superare l’odierna bufera.

Negli anni della Costituente Dossetti maturava una chiara visione del contesto internazionale che lo allontanò sempre di più da Degasperi, fautore di una politica più pragmatica e vicina agli Stati Uniti: l’ingresso dell’Italia nella NATO sancì la rottura definitiva tra i due statisti. Alla prova dei fatti aveva ragione Degasperi, ma Dossetti riusciva a intuire meglio la direzione in cui si incamminava la storia contemporanea, cioè quella di una progressiva globalizzazione. I due blocchi est e ovest sarebbero inesorabilmente caduti lasciando spazio a un mondo disarticolato dove il dialogo tra le culture e le religioni sarebbe stata l’unica via alternativa ai conflitti. Per questo Dossetti condivideva con Giorgio La Pira, Lelio Basso e molti altri l’anelito verso una pace costruita a partire dalla coscienza individuale per risalire poi ai popoli e all’intera comunità internazionale. Utopista, profeta intransigente, accusato dagli avversari di essere un visionario o addirittura un simpatizzante “comunista”, controverso e bistrattato anche oggi, nel corso della sua vita Dossetti incarnò le principali questioni del nostro tempo che ora vediamo squadernate davanti a noi. La guerra e la pace intese come alternative radicali e completamente inconciliabili; la necessità di un governo globale; la vicinanza alle persone e alle nazioni sofferenti e impoverite; il senso di giustizia che passa attraverso un “disarmo” dei modelli economici portatori di disuguaglianze planetarie; il rapporto con l’ambiente vissuto nel tentativo di vivere armonicamente dentro il paesaggio tanto amato degli Appennini; questi sono solo alcuni versanti del grande lascito di Dossetti. Un’eredità molto cara ad Unimondo che vede in essa il germoglio per un mondo meno ingiusto e forse più unito. La cultura della pace si costruisce qui e ora con la lotta per la riduzione delle spese militari e per il ripensamento dell’inutile progetto bellico dell’acquisto degli F35: la politica è spesso un muro di gomma che può essere abbattuto solo con il costante impegno di tutti.

Sappiamo che negli anni ’50 la politica gli chiuse le porte: ma la sua vocazione andava altrove, a un modo tutto suo di partecipare alla vita pubblica, dedicandosi poi soprattutto alla sua Chiesa. Don Giuseppe, sacerdote dal 1959, fondatore della “Piccola famiglia dell’Annunziata”, si ritirò a Monteveglio – là dove indelebili sono le tracce tragiche della guerra – da dove fu vigile osservatore dell’Italia e del mondo. Soltanto l’ascesa di Berlusconi lo portò a denunciare, con la stessa forza della giovinezza, i pericoli insiti in un populismo basato sul successo e sull’apparire (e politicamente sulla retorica dell’“uomo forte”), capace di scardinare i principi costituzionali. Dossetti citava la Bibbia: “Sentinella, quanto resta della notte?”; era il 1994.

Oggi possiamo riproporci questa domanda. Il comitato per il centenario di Dossetti ha messo in campo una serie di iniziative con un titolo intenzionalmente di buon auspicio “Voglio svegliare l’aurora!”, altra citazione biblica, che suggerisce la necessità di scrollarsi di dosso il torpore, di alzarsi per costruire qualcosa di nuovo. Sperare che questo avvenga con le prossime elezioni è volere troppo. Che almeno non siano un ulteriore passo verso il baratro. Affinchè ciò non accada le forze più responsabili dovranno unirsi in convergenze non più “parallele” ma incidenti per raggiungere il bersaglio di uno sviluppo innovativo per l’Italia.

Piergiorgio Cattani

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