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Andare dove si vuole
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Foto: M. Canapini
“Un giorno ci siamo domandati perché accoglievamo solo per poco tempo questi ragazzi. Ci affezionavamo e regolarmente li vedevamo partire per altri paesi, mentre a noi restava dentro una sorta di nostalgia. Perché allora non presentare una richiesta regolare d’accoglienza? Nulla è accaduto sino a una domenica mattina, quando, usciti da messa, abbiamo incontrato per caso due volontarie dell’associazione per le adozioni internazionali Ai.Bi - racconta Piera, vigile urbano - Ci hanno proposto di frequentare un corso per l’affido temporaneo. Dopo meno di due mesi qualcosa si è mosso. Seydou, un ragazzo senegalese di sedici anni, soccorso dalla missione Mare Nostrum il 4 gennaio 2014, è arrivato a casa nostra, nel giorno del compleanno di nostra figlia Maria. Quel giorno abbiamo fatto festa fino a mezzanotte. L’accoglienza, da ambo le parti, è un’esperienza meravigliosa, che voglio co nsigliare a tutti. Abbiamo insistito affinché Seydou mantenesse i rapporti con la famiglia di origine. Ci piacerebbe un giorno andare a Tambacounda per conoscerla di persona”.
Il ventiduenne, un sorriso bianco e delicato a mascherare una punta di imbarazzo, sede al banchetto. Piera si domanda come migliaia di ragazzi come suo figlio trovino la forza di viaggiare fino in Europa. Concordiamo che il movente sia la fame. Non intesa come miseria o l’inghiottire alimenti in senso pratico, bensì mordere la vita, avere fede in sé e non voler barattare i propri diritti. La famiglia di Seydou aveva del bestiame, venduto tutto per coprire le spese del viaggio. Quella di Lazar, invece, annegato nel 2015, non aveva nulla. Sposato con due figlie di tre e sei anni, l’uomo voleva raggiungere l’Italia per curarsi. Da quattro anni conviveva con un tumore al fegato, ma il consolato italiano gli ha ripetutamente negato il visto per motivi di salute. Lazar ha giocato l’ultima carta: dopo essersi legato all’addome le cartelle cliniche che testimoniavano lo stato avanzante del cancro maligno, si è tuffato, smarrendosi nelle onde. Naufragar m’è dolce in questo mar.
Paola la Rosa, attivista del Forum Solidale Lampedusa, parte dalle piccole cose: “La quotidianità di Lampedusa è la quotidianità di un posto lontano che è Italia ma anche periferia. Se si è santi, confusi o arrabbiati lo si è anche qui. È Italia a tutti gli effetti, anche ciò che concerne mode e propagande. Qua i problemi sono raddoppiati perché manca la consapevolezza dei propri diritti. Alcuni di noi, tuttora, sono visti come intellettuali stranieri che hanno in testa un’impresa ardua: fare cultura. C’è tanta ignoranza di fronte allo stato delle cose, un egoismo tutto italiano, se non europeo. Pur vivendo qui le migrazioni le fiuti solo se ci metti il naso, se sei sensibile ed empatico, altrimenti potresti venire a sapere di uno sbarco tramite la Tv. Viviamo due mondi paralleli: la realtà e quello che i media e tutto l’apparato statale vuole creare e divulgare. Mostrano un’immagine dell’isola non veritiera, dunque o contempli e comprendi, o continui a vivere dentro una bolla. La Libia è qui dietro ed è fatta di bombe, violenze, stupri. Qui non se ne parla minimamente, pur essendo, Lampedusa, la fetta di terra geograficamente più vicina alla guerra. L’uomo moderno non ha paura della guerra ma di coloro che dalla guerra scappano, quando basterebbe fermarsi un attimo, parlarci per strada, anziché creare l’humus perfetto per un conflitto tra poveri. Nonostante gli alti e bassi, ringrazio di essere qui e avere l’opportunità di aprire gli occhi e vedere la realtà. Se non fossi qui non sarei quella che sono. La frontiera ti permette di svegliarti dal letargo, ma fa male. Spesso si preferisce continuare a dormire, scegliendo una realtà fittizia, accomodante”.
Ci spostiamo al Bar delle Rose per fumare la quarta sigaretta, misura e filtro della cronaca. “Non occorre essere esperti di legislazione per capire che c’è qualcosa di marcio sotto. Io odio la parola accoglienza, non voglio accogliere nessuno (come se fossero bambini stupidi), io vorrei che ognuno fosse libero di andare dove vuole. Dobbiamo utilizzare la poesia e la cultura per condividere pensieri e combattere il Potere, l’ignoranza, la nostra superiorità occidentale priva di ragione. Il Forum nasce come un’assemblea aperta a tutte e tutti, che si riunisce con cadenza settimanale e il cui fine è non solo quello di cercare risposte alle tante problematiche che affliggono l’isola. Tra le tante cose, ci occupiamo anche del cimitero di Cala Pisana: non esiste che un europeo venga sepolto senza sapere nemmeno il suo nome, giusto? Eppure, il sistema non prevede un nome per le vittime del mare. Attraverso alcune ricerche, quel nome a volte siamo riusciti a ritrovarlo, e l’abbiamo voluto trovare perché la dignità non è un tornaconto. Un giorno noi saremo quelli che non hanno neppure messo un nome sulle lapidi di questi ragazzi e la Storia ci giudicherà.
E infine, chi l’ha detto che bisogna accogliere solo chi scappa dalla guerra? Articolo 2 della Costituzione: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo. Questo continuo parlare di noi e loro... prima ci cascavo, ma poi ho fatto un passo indietro perché è vero che la divisione c’è, ma non la risolvi negandola bensì dialogandoci. Il loro diventa lui, lei, noi. Quel muro crolla in un attimo guardandosi negli occhi, e se cade con uno, cade con tutti, quel muro. Dietro il nome inciso su una tomba ci sono i diritti dei sopravvissuti. I superstiti della Shoah hanno parlato quarantasei anni dopo, nella loro lingua, a casa propria. - riprende Paola, arrotolandosi una sciarpa intorno al collo - Chissà quando capiterà di poter ascoltare di nuovo un Primo Levi o una Anna Frank? Chissà quando, i migranti, figli dell’ingiustizia, avranno la possibilità di sedersi, denunciare, condividere le memorie? Un genio universale, senza vere colpe, stava per essere bruciato in un forno. Quante genialità potranno esserci su quei barconi? Di quanti lampi, culture, sforzi priviamo il mondo? Nella speranza che la memoria di queste vite non vada persa, occorre continuare a raccontare affinché si raggiunga una moltiplicazione delle voci, tale da essere assordante”. Se vuoi arrivare primo, corri da solo. Se vuoi arrivare lontano, cammina insieme.
Matthias Canapini

Matthias Canapini è nato nel 1992 a Fano. Viaggia a passo lento per raccontare storie con taccuino e macchina fotografica. Dal 2015 ha pubblicato "Verso Est", "Eurasia Express", "Il volto dell'altro", "Terra e dissenso" (Prospero Editore) e "Il passo dell'acero rosso" (Aras Edizioni).