I sommersi!

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Foto: A. Graziadei

Come abbiamo già avuto modo di scrivere anche in un recente articolo, lo scorso mese l’Istat ha presentato l’ottava edizione del Rapporto sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibileun'analisi sui progressi dell'Italia nel campo dei Sustainable Development Goals – SDGs adottati con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Lo studio, realizzato attraverso 320 statistiche e 148 indicatori proposti dall’Inter-Agency Expert Group on SDG Indicators delle Nazioni Unite (UN IAEG-SDGs), ci offre un affresco realistico dello stato dell'arte italiano di questi 17 Obiettivi. L’analisi dell’evoluzione temporale delle misure statistiche Istat-SDGs restituisce un quadro variegato che sottolinea, nel complesso, l’esigenza di un’accelerazione e nel dettaglio che su alcuni fronti facciamo acqua da tutte le partiIn che senso? Quello letterale, visto che gli scenari attesi per il Belpaese dall'Istat ci indicano, “La potenziale sommersione di circa 10.000 km quadrati lungo oltre 1.600 km di costa in base al sollevamento marino atteso, con l'amplificazione di eventi estremi causati da tempeste e tsunami”. Una situazione allarmante, dove per esempio a Venezia, anche il sistema di dighe mobili Mose potrebbe "Non essere sufficiente alla protezione della laguna in caso di eventi estremi già prima del 2100” e dove entro il 2070, le probabilità che uno tsunami superi le altezze massime di inondazione di uno o due metri “Saranno comprese tra il 10% e il 30% in più rispetto ai livelli attuali”.

Un allarme simile era arrivato anche dalla nuova mappa interattiva pubblicata dalla Nasa lo scorso aprile, uno strumento capace di mostrarci l’innalzamento previsto del livello del mare. Lo strumento, messo a punto dal Sea Level Change Team, consente agli utenti di cliccare su qualsiasi punto degli oceani o delle coste e visualizzare le proiezioni decennio per decennio a partire dal 2020 fino al 2150 grazie ai dati raccolti da satelliti e sensori terrestri e ai dati forniti dall'IPCC che valutano ogni 5-7 anni l’evoluzione del clima del pianeta attraverso informazioni cruciali sui cambiamenti di temperatura, sull’aumento dei gas serra, sul ritiro dei ghiacciai e sul livello medio dei mari, dati che vengono tutti integrati nello strumento Nasa per offrire una visione più precisa e comprensibile anche per i non addetti ai lavori. Alla base di queste previsioni c’è la conferma di una tendenza in rapido peggioramento: negli ultimi 30 anni, la velocità con cui il livello del mare si alza è raddoppiata. Se “Nel 1993 l’innalzamento era di 2,1 millimetri all’anno. Oggi siamo arrivati a 4,5 millimetri ogni 12 mesi. Se questa tendenza non cambierà, il mare potrebbe salire di ulteriori 169 millimetri entro il 2053, causando potenziali impatti devastanti per aree costiere e città basse sul livello del mare, come molte zone dell’Alto Adriatico”. In particolare se andiamo ad osservare l'evoluzione temporale di alcune aree costiere del Nordest italiano, come Venezia e Trieste, già soggette a fenomeni di subsidenza e acqua alta, risulta particolarmente evidente la loro vulnerabilità all’innalzamento dei mari e agli eventi estremi, come mareggiate, erosione costiera e allagamenti. Secondo i modelli proposti dal team Nasa, queste aree potrebbero essere tra le più colpite d’Europa, se non verranno messe in atto strategie efficaci di adattamento e mitigazione. Secondo Benjamin Hamlington, ricercatore a capo del Sea Level Change Team della Nasa, “Le cause principali sono il riscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacci dovuto alle emissioni di gas serra”, ha spiegato lo scienziato.

Se non bastassero queste due importanti analisi, sempre lo scorso aprile, a certificare il rischio di erosione con arretramenti della costa che arriveranno sino a 10 metri l’anno è stato anche lo studio tutto italiano pubblicato sulla rivista Estuarine, Coastal and Shelf Science” dai professori Monica Bini e Marco Luppichini del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. La ricerca ha analizzato i cambiamenti delle coste sabbiose italiane negli ultimi 40 anni, dal 1984 al 2024, con particolare attenzione ai delta fluviali, utilizzando un software che analizza immagini satellitari. Il risultato è che il 66% dei 40 principali fiumi italiani è soggetto all’erosione costierapercentuale che sale 100% se si escludono le aree protette da difese artificiali. Il cambiamento climatico sta avendo un impatto significativo sull'evoluzione delle coste italiane - ha spiegato Marco Luppichini - in particolare incidono la diminuzione delle precipitazioni e l’aumento degli eventi meteorologici estremi che alterano il ciclo idrologico e la capacità dei corsi d’acqua di trasportare sedimenti fino alla costa. A questo si aggiungono l’innalzamento del livello del mare, che contribuisce alla scomparsa di tratti di litorale, e l’incremento della temperatura delle acque superficiali del Mediterraneo che intensifica tempeste e mareggiate, accelerando il processo erosivo e riducendo la resilienza delle spiagge”. Secondo lo studio, le aree più a rischio erosione sono oggi il delta del Po, il Serchio, l’Arno e l’Ombrone in Toscana e infine il delta del Sinni in Basilicatatutte zone caratterizzate da un forte arretramento della linea di costa e da una significativa perdita di sedimenti dovuta a fattori climatici e antropici.

Se il delta del Po è una delle zone più vulnerabili, in Toscana le foci dell’Arno e del Serchio sono soggette ad un arretramento costante di 2-3 metri l’anno, mentre il delta dell’Ombrone registra una delle situazioni più critiche, con tassi di erosione fino a 5-6 metri l’anno. La ridotta disponibilità di sedimenti, dovuta a modifiche antropiche lungo il corso del fiume, e l'aumento delle mareggiate rende infatti questa zona particolarmente fragile, mettendo a rischio gli ecosistemi del Parco della Maremma e le attività economiche legate al turismo e all’agricoltura. Il delta del Sinni, in Basilicata, rappresenta infine uno dei casi più estremi, con un’erosione che supera i 10 metri l'anno, una delle più critiche in Italia. “È chiara l’urgenza di adottare strategie sostenibili per gestire le coste, mitigare gli effetti dell’erosione e proteggere le aree più fragili. Grazie al nostro studio abbiamo realizzato un database omogeneo per l’intero territorio nazionale così da aiutare una possibile pianificazione degli interventi a difesa delle zone più a rischio, come i delta fluviali, veri e propri “hotspot” della crisi climatica in corso”, ha concluso Luppichini. Ancora una volta il messaggio implicito di questi tre studi è piuttosto chiaro: il tempo per intervenire è ora. Conoscere l’entità del rischio permette di anticipare le misure, ma serve anche una riduzione concreta delle emissioni e delle misure di mitigazione del rischio serie ed immediate per evitare gli scenari peggiori. 

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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