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Dossier/ Materie prime critiche (3)
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immagine: Unsplash.com
La transizione energetica richiede un aumento vertiginoso della disponibilità di minerali critici come litio e rame. Tuttavia, la loro estrazione genera gravi impatti sociali e ambientali negli ecosistemi in cui avviene, generando tensioni e conflitti. Spesso l’acqua è al centro di questi conflitti, ma in generale l’estrazione genera gravi perdite di biodiversità, con miniere vicino a ecosistemi cruciali e specie a rischio. A ciò si aggiunge la mancanza di bonifiche e trasparenza, che aggravano il debito ecologico.
I conflitti ambientali
Costruire una neutralità climatica reale vuol dire trasformare radicalmente le economie e i sistemi energetici. Per intervenire sulle fonti dalle quali produciamo l’energia che alimenta il nostro mondo, però, sarebbe necessario un aumento vertiginoso – circa sei volte i livelli attuali – della disponibilità di minerali critici come rame, litio, nichel e cobalto entro il 2040. La cui estrazione potrebbe, d’altro cato, avere ulteriori impatti negativi sull’ambiente e su gli ecosistemi. Tra il 2010 e il 2024 sono stati 408 i casi accertati di danni ambientali. Con l’accelerazione verso la transizione la situazione sta peggiorando: 156 i casi dello scorso anno. I modelli mostrano l’interconnessione tra gli impatti negativi sulle comunità locali e quelli su lavoratrici e lavoratori. Gran parte dei progetti minerari è collocata quasi sempre su aree protette, terre indigene ed ecosistemi inesplorati. Questo vuol dire che la realizzazione di questi progetti è spesso accompagnata dalla violazione del diritto al consenso e ignorando la profonda interconnessione e i legami culturali delle comunità con il loro ambiente. Da parte delle istituzioni a tutti i livelli non esiste una risposta adeguata a questi rischi.
Guerra all'acqua
L’acqua è una risorsa al centro di numerosi conflitti perché essenziale nei contesti di estrazione mineraria e sempre più scarsa. Le stesse attività estrattive contaminano i bacini di acqua cui hanno accesso. Sempre tra il 2010 e il 2024, per esempio, ci sono stati 162 casi di inquinamento delle risorse idriche a causa della ricerca di minerali della transizione ecologica. 129 i casi di limitazione dell’accesso all’acqua per le comunità locali. Solo nel 2024, i danni ambientali a bacini di acqua dovuti al neoestrattivismo sono stati 45 in tutto il mondo. Gli impatti si concentrano in aree già sottoposte a stress idrico, come il deserto di Atacama in Cile o le aree rurali del sul del Perù. Negare l’accesso all’acqua per una comunità, o contaminare i bacini esistenti, vuol dire spesso attaccarne direttamente i mezzi di sussistenza perché dipendono da queste risorse per l’agricoltura e la vita quotidiana. Spesso a questo sono connesse tensioni sociali e aperti conflitti, oltre che fenomeni di migrazione. Le conseguenze macroscopiche sono da un lato l’aumento del debito ecologico, dall’altro un generale clima di sfiducia nella transizione energetica, percepita come a vantaggio di poche elite e a discapito delle popolazioni...
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Rita Cantalino

Napoletana, classe ‘88. Freelance, collabora con diverse testate. Si occupa di ambiente, clima e diritti umani, con uno sguardo particolare agli impatti sanitari e sociali delle contaminazioni di natura industriale.