Lo stress psicologico nella gig economy

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Foto: Unsplash.com

Dalla savana alla metropoli, come Homo sapiens è riuscito a trasformare lo stress da risposta adattativa ad arma di autodistruzione di massa. Le modalità lavorative legate alla gig economy, attivando sistematicamente la risposta allo stress, hanno un alto rischio di portare a un deterioramento delle condizioni di salute del singolo lavoratore, compromettendone l’efficienza e producendo come esternalità centinaia di migliaia di persone affette da patologie croniche e debilitanti. 

Gli avanzamenti scientifici dell’ultimo secolo hanno permesso di rivoluzionare il modo di vivere e di morire di Homo sapiens, secondo un’asimmetria globale tra i paesi cosiddetti “sviluppati” e il resto del mondo. Si sono creati così poli diversi tra chi continua a morire di malattie trasmissibili, tra cui tubercolosi, polmonite o infezioni gastrointestinali (le prime tre cause di morte globali nel 1900) e chi invece ha il discutibile privilegio di morire lentamente di malattie non trasmissibili, per lo più croniche, come malattie cardiovascolari, diabete o cancro che nel 2019 hanno rappresentato il 74% di tutte le cause di morte globali.

Utilizzare una misura binaria di vita o morte per comprendere l’effettivo peso e distribuzione delle diverse malattie nel mondo rischia però di non riflettere la realtà dei fatti, soprattutto in un mondo che non muore più per condizioni acute, ma che ha imparato a morire lentamente per condizioni croniche. Invece di contare le morti possiamo usare un indice di gravità delle malattie, il Disability Adjusted Life Years (DALY), che corrisponde agli anni di vita persa a causa di disabilità o di morte prematura. Una recente analisi sistematica ha confrontato i valori di DALY di 204 paesi dal 1990 al 2019 e ha rivelato una diminuzione globale - trainata dai paesi non sviluppati dove tali malattie sono ancora molto più frequenti - delle malattie trasmissibili, materne, neonatali e nutrizionali, che è stata però controbilanciata da un aumento del carico da malattie non trasmissibili, tra le quali anche i disturbi psichiatrici.

L’aspetto più allarmate è che queste analisi non hanno rivelato miglioramenti in quasi trent’anni nel DALY attribuito a 12 disturbi mentali, riscontrandone anzi un aumento - soprattutto nei paesi ad alto indice sociodemografico -; simili risultati sono stati rilevati per altre malattie non trasmissibili.

In alcune parti del mondo le preoccupazioni quotidiane sono radicalmente cambiate, si muore lentamente: vaccini, antibiotici e pratiche igieniche condivise hanno conquistato lo spazio occupato da millenni di morti aleatorie causate dalle malattie trasmissibili. Come gli ultimi anni ci insegnano, la conquista di questo spazio può sempre essere messa in discussione, ma è innegabile che nell’ultimo secolo ci sia stata una eliminazione (talvolta totale, si pensi al vaiolo) di quelle malattie enormemente temute dai nostri antenati in tempi poi non così lontani.

Eppure, siamo di fronte a un paradosso: in questi stessi anni in cui le condizioni di vita di una parte del globo sono migliorate, molte delle malattie che prima erano poco rappresentate hanno iniziato a sottrarci sempre più anni di vita o sono rimaste agli stessi valori di DALY di decenni fa. Queste sono le malattie non trasmissibili, nello specifico malattie cardiovascolari, metaboliche, psichiatriche e neurodegenerative, che a loro volta rappresentano i disturbi più sensibili agli effetti negativi dello stress cronico...

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