ONU, 80 anni dopo: sovranismi e guerre seppelliscono la pace

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Immagine: Ispionline.it

Dal 23 al 29 settembre ne abbiamo sentite di tutti i colori al Palazzo di Vetro di New York. 

Gli interventi alla consueta riunione dei leader mondiali all’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite hanno raccontato una storia differente da quel Meglio insieme: 80 anni e oltre di pace, sviluppo e diritti umani” lanciato come tema per il grandioso anniversario. Sì, perché viviamo in un mondo molto diverso da quello in cui nel 1945 l’ONU è stata fondata e, nonostante la globalizzazione abbia interessato ogni settore dell’attività umana, oggi gli Stati membri sembrano concentrati esclusivamente sui propri interessi, avanzando di continuo forme di chiusura sovranista. Contraddicendo, di fatto, i principi basilari del diritto umanitario. Negando interventi favorevoli alla pace. Dimenticando i diritti fondamentali contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti umani

Pace, dialogo, diplomazia non risultano più gli auspici, seppur talvolta fittizi, del dibattito all’ONU. Ne è un esempio l’intervento del 23 settembre in Assemblea Generale di Donald Trump, il 79enne presidente degli Stati Uniti, che ha spalancato lo scontro verbale sulla guerra in Medioriente, continuando l’azione di sberleffo verso le istituzioni multilaterali e i valori da esse propugnati. Trump ha cavalcato i leitmotiv del governo Netanyhau della lotta al terrorismo palestinese e della liberazione degli ostaggi del 7 ottobre 2023: “Ora, come se volesse incoraggiare il protrarsi del conflitto, una parte di quest’Assemblea cerca di riconoscere unilateralmente uno Stato palestinese… Invece di cedere alle richieste di riscatto di Hamas, chi desidera la pace dovrebbe unirsi in un unico messaggio: liberate subito gli ostaggi!”

La “Conferenza di alto livello per dare una soluzione pacifica alla questione palestinese e implementare la soluzione di due popoli in due Stati”, coordinata da Francia e Arabia Saudita, svoltasi il pomeriggio precedente ai margini dell’avvio dei lavori dell’Assemblea Generale, ha funto da detonatore per la decisione di ben 10 Paesi di riconoscere la Palestina: Canada, Australia, Regno Unito, Portogallo, Francia, Monaco, Lussemburgo, Malta, Andorra, San Marino. Ad oggi sono 157 (su 193 Stati membri dell’ONU) i Paesi che riconoscono la Palestina in quanto Stato. Restano fuori dalla lista, ovvero hanno annunciato di riconoscere lo Stato della Palestina con il rispetto di “alcune condizioni”: in Europa, Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Moldavia, Paesi Bassi, Macedonia del Nord e Svizzera; in Africa, Camerun, Eritrea; in Asia, Giappone, Nuova Zelanda, Corea del sud, Birmania, Singapore, Figi, Kiribati, Isole Marshall, Micronesia, Nauru, Palau, Samoa, Isole Salomone, Tonga, Tuvalu; nelle Americhe, gli Stati Uniti. E chiaramente Israele.

L’Italia ha fatto qualche passetto in avanti nella direzione del riconoscimento con quanto dichiarato da Giorgia Meloni lo scorso 25 settembre: la premier ha rilevato che l’intervento di legittima difesa di Israele dinanzi all’attacco terroristico sferrato da Hamas il 7 ottobre 2023 “ha superato il limite di proporzionalità con una guerra su larga scala che sta coinvolgendo oltre misura la popolazione civile palestinese (…), causando una strage tra i civili. Una scelta che l’Italia ha più volte definito inaccettabile (…). Però non ci accodiamo a chi scarica su Israele tutta la responsabilità di quello che accade a Gaza. Perché è Hamas ad aver scatenato la guerra. È Hamas che potrebbe far cessare le sofferenze dei palestinesi, liberando subito tutti gli ostaggi. È Hamas che sembra voler prosperare sulla sofferenza del popolo che dice di rappresentare. Israele deve uscire dalla trappola di questa guerra. Lo deve fare per la storia del popolo ebraico, per la sua democrazia, per gli innocenti, per i valori universali del mondo libero di cui fa parte”. Occorre, dunque, secondo il governo italiano, lavorare per la pace, con soluzioni concrete e condivise per la Regione.

La parola dunque ai soggetti principali del conflitto in corso.

Il Presidente dello Stato della Palestina Mahmoud Abbas è intervenuto in base allo status di Osservatore Permanente all’ONU (non Stato membro), in videoconferenza in quanto gli è stato negato il visto di accesso negli Stati Uniti. Abbas ha condannato l'attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 contro i civili israeliani, affermando che tali azioni “non rappresentano il popolo palestinese, né la sua giusta lotta per la libertà e l'indipendenza”. Indicibili i crimini commessi a Gaza per mano dell’esercito israeliano: in quasi due anni di combattimenti più di 220mila palestinesi sono stati uccisi o feriti, la maggior parte dei quali donne, bambini e anziani, mentre due milioni di persone stanno affrontando la fame a causa del blocco agli aiuti umanitari; oltre l’80% delle case, delle scuole, degli ospedali, delle chiese, delle moschee e delle infrastrutture di Gaza sono stati distrutti.

Di rimando il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyhau ha parlato dagli spalti dell’ONU dinanzi a una platea semivuota, in polemica con la politica genocidaria di Israele. Con un “se fosse capitato a voi, avreste fatto così” ha ipotizzato un attacco terroristico su suolo statunitense analogo a quello subito dagli israeliani. Una narrazione di autodifesa che sembra auto-assolverlo dalle responsabilità dei crimini di guerra a egli attribuiti.

Stessa tecnica narrativa quella adottata dal presidente dell’Iran, Masoud Pezeshkian, ma cercando di catturare l’empatia della platea in primis verso i palestinesi. “Tollerereste tali atti per voi stessi?” ha chiesto dagli scanni dell’ONU esortando l’Assemblea Generale a riconoscere da dove provengono le vere minacce alla pace e alla sicurezza: il genocidio di Gaza, la distruzione di case in Libano, la devastazione delle infrastrutture in Siria, la fame dei bambini in Yemen e l'assassinio di scienziati iraniani. “Tali ripetute violazioni della sovranità, compiute con il pretesto dell'autodifesa, prendono di mira i civili e destabilizzano intere regioni”.

E la pace appare sempre più lontana.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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